Una storia piccola, la definisce Ascanio Celestini, che ha presentato “Laika” ad Alessandria (in attesa di arrivare, il 27 gennaio, in Belgio, al Festival de Liège).
Del resto è la risposta che dà sempre quando gli si chiede di cosa parla un suo spettacolo. E in effetti è così, ma è anche il contrario.
La costruzione drammaturgica di questo suo ultimo lavoro parte da una manciata di protagonisti assolutamente quotidiani che vivono la routine di un tempo strano, come strano è il mondo di oggi.
Piccole storie che diventano simbolo e metafora di un contesto generale che scarseggia di passioni e idee comuni. L’albero celestiniano qui si ramifica, soprattutto se paragonato alle narrazioni precedenti, che ritornavano in partenza al termine del racconto, chiudendo il cerchio.
“Laika” è invece qualcosa di diverso, più complesso e intimo. C’è la consapevolezza, come ci racconta in questa videointervista, che “il mondo non lo si cambia con il teatro”, che l’esistenza è qualcosa di molto concreto e poco corretto: un cambio di visione che Celestini ha maturato negli anni, tanti, di teatro e racconto. Un procedere che ha aumentato le sue incertezze, minando i suoi punti fermi.
E allora, crisi per crisi, abbiamo parlato della situazione del teatro di narrazione che molti, Baliani in primis, definiscono appartenente ad un momento storico quasi esaurito. Ci ha dato una risposta inaspettata, scomodando con lucidità Leo De Berardinis per sostenere l’idea che difficilmente il teatro può esistere al di fuori di un punto di vista da cui iniziare.
La disponibilità al confronto e all’analisi, la consapevolezza di svolgere un mestiere prezioso, anche se “meno importante di tanti altri”, emergono da questo incontro che parte dal teatro come spunto per far affiorare ciò che resiste alla base della poetica di un grande narratore del nostro tempo.