Come può la più alta e venerabile “tradizione” attoriale negoziare la sua sopravvivenza e la sua necessaria permanenza nel confuso presente teatrale?
“Assassina” ne è esempio massimo. Lo spettacolo che Enzo Vetrano e Stefano Randisi hanno creato, confrontandosi per la seconda volta con un’opera di Franco Scaldati, racchiude nella sua sottile classicità quei segni di verità e di immortalità che la rappresentazione dal vivo ogni tanto riesce a far affiorare.
Qualche anno dopo “Totò e Vicè”, la coppia di artisti siciliani radicati in Emilia Romagna dagli anni vissuti a fianco di Leo de Berardinis, e oggi sostenuti meritoriamente dall’ERT, si confronta e si reimmerge nell’immaginario lunare e marginale di Scaldati.
Ne viene fuori un compendio di magia teatrale, fatto di carne, voce e aura, come suggerisce Cristina Ventrucci nel foglio di sala che introduce il lavoro, presentato all’Arena del Sole di Bologna dopo il debutto modenese.
In “Assassina” non si fa esperienza di cronaca nera ma, più sottilmente, del racconto di arcani spettri, di storie uccise, in bilico, fatte di sdoppiamenti, visioni e fantasmi. Sembianti personaggi in equilibrio tra vita e morte, nella confusione, un limbo nebbioso di due anime che, vicendevolmente, si ritrovano in casa uno sconosciuto, si accorgono della loro solitudine, delle loro ombre, delle loro fattezze.
Dentro un interno casalingo che Mela Dell’Erba ha concepito come un antro visibile in sezione o in rovina, le azioni quotidiane convivono con il pensiero alto. La messa in scena di un mondo infinitamente marginale e interiore, ma al contempo dotato di umana universalità, è fatta di ciclicità, tra spinte viscerali, ambiguità di genere e comico sotterraneo: dal pasto serale alla pulizia del corpo, dall’ascolto della radio fino ai bisogni corporali, tutto è pervaso da un agire rituale, misurato, ma con uno scarto verso il grottesco.
La dimensione notturna fa sì che si creino ripetute immagini, lampanti nella loro evanescenza, dilatate in una temporalità silente e silenziosa, con voci e corpi di ineffabile presenza, in costante dialogo con i morti (“la parola è morti” scriveva lo stesso Scaldati in “Totò e Vicè”).
Controparte in questo teatro dell’assurdo imbevuto di spirito siciliano, letteralmente inquadrati, incorniciati, in alto, sospesi, custodi di una lirica altra, i Fratelli Mancuso cantano e si fanno inedito coro di fattezze cortigiane, accompagnati da strumenti a corda e intonando versi che si accordano con gli umori della scena.
La lingua palermitana, straniante, oscura, d’un aulico che viene dal basso, è un’architettura che nutre la drammaturgia di tinte espressioniste, trasmutandosi in suono al pari del cantato dei fratelli Mancuso.
Citando Filippa Ilardo, le parole in Scaldati sono geroglifici, intrecciano l’elemento fonico-acustico con quello plastico-visivo, instaurano un legame profondo con la terra e i luoghi, con il sottosuolo, con un mondo popolato di dualità
Nel riferirsi continuamente in maniera dialogica al fuori scena, con dolente fragilità e titubanza figlia del sonno, Vetrano e Randisi fanno dello spettatore un interlocutore privilegiato a cui è dato accesso al segreto dell’intimità, tra ironia e quieta disperazione, tra cura del dire e del gesto, eleganza del passo e misura del mascheramento.
ASSASSINA
di Franco Scaldati
interpretazione e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Enzo Vetrano (la vecchina), Stefano Randisi (l’omino) e i Fratelli Mancuso (i genitori)
scene e costumi Mela Dell’Erba
luci Max Mugnai
musiche e canti originali composti ed eseguiti in scena da i Fratelli Mancuso
direttore tecnico Robert John Resteghini
direttore di scenaLorenzo Martinelli
capo elettricista Antonio Rinaldi
fonico Marco Calì
amministratrice Elisa Faletti
foto di scena Luca Del Pia
lo spettacolo è realizzato in collaborazione con Le Tre Corde società cooperativa
scene costruite nellaboratorio di Emilia Romagna Teatro da Gioacchino Gramolini (capo costruttore), Sergio Puzzo, Marco Fieni, Riccardo Betti
decoratrici Elena Giampaoli, Lucia Bramati
realizzazione video Alessandro D’Amico, Bernardo Giannone, Giuliana Di Gregorio
realizzazione costumi Elena Dal Pozzo
assistente alla regia Virginia Landi
assistente alla produzione (stage) Miriam Auricchio
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
durata: 1h 10′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Bologna, Arena Del Sole, il 5 febbraio 2017