Attila: Livermore alla scoperta del Verdi trentenne

Attila (photo: Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)|Attila (photo: Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)
Attila (photo: Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)|Attila (photo: Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)

Continuando il suo percorso alla scoperta delle prime opere di Verdi, il Teatro alla Scala di Milano, dopo la proposta di “Giovanna D’Arco” ed “Ernani”, ha deciso di inaugurare la stagione 2018/19 con “Attila”, opera creata quando il compositore aveva appena 33 anni.
La prima, in un prologo e tre atti, avvenne a Venezia al Teatro La Fenice il 17 marzo 1846. Ma Verdi, non del tutto soddisfatto del libretto, chiese a Francesco Maria Piave di apportare alcune modifiche a quello originale di Temistocle Solera che, resosi irreperibile in Madrid a causa dei debiti, si offese e non collaborò mai più col musicista. Il debutto con la seconda versione avvenne il 9 settembre 1846 al Teatro degli Avvalorati di Livorno.

L’opera si svolge attorno alla metà del V secolo e, come si evince dal titolo, vede al centro della storia il famoso Re degli Unni che, arrivato in Italia, sta saccheggiando con il suo esercito Aquileia. Già dal prologo vengono evidenziati i rapporti tra i personaggi principali e le loro caratteristiche. Attila non è solo il crudele e dispotico monarca che tutti conosciamo, ma è allo stesso tempo un uomo sensibile che crede nei valori dell’onore. Si innamora infatti di Odabella, figlia del signore di Aquileia, che però non ricambia il suo affetto, meditando vendetta dopo che l’invasore le ha ucciso la famiglia. La donna ha per di più un marito, Foresto, patriota italiano che aiuta i profughi della città assediata.

Della partita è anche Ezio, antico avversario di Attila e da lui ammirato, che gli propone di dominare il mondo, ma di lasciare a lui l’Italia. Ovviamente Attila, che come dicevamo ha anche un senso forte dell’onore, rifiuta sdegnato.
Tutti e tre dunque hanno un grave motivo per odiare l’invasore, il quale ha continuamente incubi che si materializzano con l’arrivo di Papa Leone I, che gli impone di stare lontano da Roma. Attila convinto dai presagi funesti che lo attanagliano, si comporta in modo magnanimo con i suoi nemici, ma i tre continuano nei loro progetti, intenzionati ad eliminarlo. Inutilmente Attila ricorda loro la sua magnanimità. Odabella per prima lo pugnala, vendicando così la morte del padre, mentre i Romani dilagano per il campo uccidendo gli Unni.

Ci troviamo dunque davanti a un rovesciamento dei ruoli: il barbaro è l’unico ad avere dei sentimenti puri e a conservare dei principi inviolabili rispetto a Ezio, Foresto e Odabella, quest’ultima mossa solo da sentimenti di vendetta. Sta qui l’originalità dell’opera verdiana, che vede però nei tre personaggi oppositori il nucleo della rivolta di un popolo rispetto all’oppressore.

Per il resto siamo davanti ad un’opera ovviamente ancora immatura, piena di stereotipi, di arie convenzionali con relative cabalette, ma qua e là notiamo gemme già fulgide, pensiamo subito all’iniziale meraviglioso preludio, a tutta la scena del primo atto che anticipa con “Mentre gonfiarsi l’anima” l’arrivo della grande scena con Papa Leone I e alla grande aria di Ezio dell’atto secondo “Dagli immortali vertici”.

Attila (photo: Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)
Attila (photo: Brescia/Amisano – Teatro alla Scala)

Una trama siffatta aveva bisogno di un allestimento molto particolare e fantasioso per non cadere nel pacchiano, e ciò avviene attraverso una regia veramente piena di invenzioni e fantasmagorie.
La regia di Davide Livermore trasporta la vicenda nel secolo scorso, anche attraverso i costumi di Gianluca Falaschi, che alludono a due schieramenti militari non ben identificati, giocando in modo allusivo anche con quelli delle numerose comparse popolari.
Un grande ponte attraversa la scena, che si dividerà durante il confronto fra Attila ed Ezio; appaiono anche le rovine della basilica di Aquileia e di alcuni famosi monumenti della nostra capitale.
Per ottenere uno sguardo d’insieme di assoluta eccezione, fondamentali sono le scene di Giò Forma e le videoproiezioni di D-Wok, che ci conducono anche nelle ragioni di vendetta di Odabella.
Come spesso accade a Livermore, ineludibili i riferimenti cinematografici, ai rosselliniani “Roma Città aperta” e “Germania anno zero” con la visione di una città in fiamme, avvolta in un fumo nero e scene di resistenza del popolo tra le vie e le strade.
Vi è poi nella definizione del banchetto del simulato matrimonio tra Attila e Odabella un chiaro rimando alle feste sfrenate e sfarzose del Terzo Reich, proposte nei capolavori di Visconti e Cavani, con forte riferimento anche a “Salon Kitty” di Tinto Brass.
Infine le citazioni pittoriche, su tutte ovviamente d’obbligo quella referente l’affresco di Raffaello della stanza di Eliodoro che rappresenta l’incontro tra Attila e il Papa.

Dunque un allestimento complesso, pieno di rimandi, condotto senza alcuna stramberia di sorta, ma con eccellente inventiva e fantasia compositiva nel solco di una tradizione, rinnovata con discernimento.
Impeccabile anche la parte musicale, partendo dalla direzione di Riccardo Chailly, attenta a ogni dettaglio, che ci ha perfino regalato una chicca, le cinque battute eseguite prima del terzetto del terzo atto, scritte da Gioachino Rossini.
Molto bene i quattro cantanti protagonisti, a cominciare da Ildar Abdrazakov, un Attila meno truce e baldanzoso del solito (indelebile nella nostra memoria Samuel Ramey) in cui traspare anche la sua natura umana più mite; Odabella è l’eccellente Saioa Hernández che già ci era molto piaciuta nella “Gioconda” a Reggio Emilia. Nel complesso un buon Fabio Sartori come Foresto e un ottimo George Petean nei panni di Ezio. Come sempre impeccabile il Coro della Scala ottimamente diretto anche in questa apertura di stagione da Bruno Casoni.

ATTILA
Giuseppe Verdi
Direttore Riccardo Chailly
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-wok
CAST:
Attila Ildar Abdrazakov
Odabella Saioa Hernández
Ezio George Petean
Foresto Fabio Sartori
Uldino Francesco Pittari
Leone Gianluca Buratto

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala

Durata spettacolo: 2h 20′ incluso intervallo

Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 21 dicembre 2018

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