Può uno sport, anche se del tutto particolare, accomunarsi alla danza?
Possono degli atleti, e per di più del tutto particolari, diventare attori sensibili e preparati per andare in scena?
Può una partita di calcio, seppur del tutto anomala, diventare, per il pubblico che vi assiste, una performance sensoriale, una riflessione sull’essenza stessa del tempo?
Se vi capitasse di assistere ad “Aurora”, ultimo spettacolo di Alessandro Sciarroni al suo debutto assoluto alle Fonderie Limone di Moncalieri per Torinodanza il 24 e 25 ottobre, capireste che la risposta a questi interrogativi è: sì.
“Aurora” rappresenta il terzo capitolo del più ampio progetto “Will You Still Love Me Tomorrow?”, trilogia dedicata ai concetti di resistenza, sforzo e concentrazione di cui avevamo già visto con estremo interesse “Folk-s” e “Untitled”.
Se in “Folk” era lo Schuhplattler, il tipico ballo bavarese e tirolese, e in “Untitled” la giocoleria ad interessare l’artista, qui è il goalball ad attrarre l’attenzione di Sciarroni per continuare a sviluppare la sua particolare poetica, unica nel panorama italiano nei modi e nei contenuti, riguardante il concetto soggettivo di visione e di tempo.
Per far questo “Aurora” mette in scena una vera e propria partita di goalball, disciplina sportiva rivolta a non vedenti e ipovedenti che viene giocata in palestre per non distrarre i giocatori con rumori esterni che potrebbero confondere il suono emesso dalla palla.
Le squadre, composte di tre giocatori e due riserve, devono lanciare una palla contenente sonagli metallici nella porta (rete) avversaria; quando il tiro è stato parato, la squadra avversaria può rilanciare il pallone, trasformandosi da difensore ad attaccante. Durante la partita, della durata di circa venti minuti, tutti i giocatori sono bendati con una maschera, in modo da garantire parità di condizione fra non vedenti assoluti ed ipovedenti.
Questo sport così particolare, che Sciarroni mette in scena lasciandone intatto l’impianto principale per destrutturarlo, riportandolo ad un contesto performativo, rappresenta un fantastico, particolarissimo, alfabeto sensoriale di segni, visivi e uditivi, anche altamente in contrasto fra loro.
Questo contrasto in “Aurora” viene amplificato da Sciarroni dal punto di vista visivo, cambiando la luminosità della scena, sino ad azzerarla, e da quello uditivo, aumentando ad un certo punto a dismisura l’impianto sonoro, che impedisce a pubblico e giocatori di comprendere suoni e parole.
Così al buio, il pubblico viene messo nella stessa condizione dei giocatori, e segue la partita solo attraverso i rumori che da essa giungono; allo stesso modo, quando la musica copre gli stimoli sonori, è la vista che supporta il tutto.
Alla medesima maniera, i giocatori ciechi, al buio, continuano imperterriti il loro gioco, mentre assordati dalla musica reagiranno spesso non comprendendo più le regole del gioco e frenando gli entusiasmi o i disappunti per gli esiti della partita.
Anche riguardo alla dimensione del tempo, lo spettacolo-partita cambia la sua percezione sia nei confronti degli spettatori che degli atleti-attori, preparati fra l’altro in modo teatralmente assai accurato per la performance, come restituisce il bel docufilm di Cosimo Terlizzi che è seguito allo spettacolo.
Ancora una volta Alessandro Sciarroni riesce a costruire una creazione di corroborante novità che, ampliando il concetto di spettacolo, ci invita a riflettere su noi stessi, sulla cangiante percezione che abbiamo tutti noi, indistintamente nella nostra diversità, delle cose del mondo e del tempo che passa in rapporto alla fragilità e alla mutevolezza dei nostri sensi.
Per “entrare” meglio in uno spettacolo così particolare abbiamo chiesto ad Alessandro Sciarroni di approfondirci alcuni aspetti dello spettacolo.
Partiamo dal titolo, perché Aurora?
Aurora è la luce che precede l’alba e che segue l’oscurità. Molti degli atleti con i quali ho lavorato presentano delle patologie croniche che, anno dopo anno, riducono il loro campo visivo e la luminosità delle loro immagini. Ho voluto pensare a questa condizione come ad una sorta di Aurora che apre a nuove percezioni, invece che ad un crepuscolo dei sensi.
E perché proprio la scelta del goalball?
Per il fatto che può essere giocato solo ad occhi chiusi. Volevo lavorare su qualcosa che fosse puro ritmo, energia. Senza dispersioni.
In che modo lo spettacolo si connette con i due precedenti?
Anche qui vi è la decontestualizzazione di una pratica dal suo luogo di origine a quello teatrale. La pratica viene rispettata e ricostruita fedelmente, ma alcuni dettagli risultano esasperati, per permettere agli aspetti che mi interessano di affiorare. Il tutto cercando di non dare giudizi e visioni troppo unilaterali, ma lasciando aperti molti significati possibili e nessuno in particolare.
In questa maniera “Aurora” si riconnette ai due capitoli precedenti della trilogia, come un evento senz’occhi, dove il tempo dell’azione sembra non coincidere mai con la durata, ma si contrae e si dilata in relazione alla percezione sensoriale soggettiva sia del performer che del pubblico.
Ha ancora senso parlare di danza per i tuoi spettacoli? E se c’è come si configura?
Queste sono domande a cui credo non debba rispondere io. Forse bisognerebbe chiedere ai programmatori di danza come mai invitino i miei lavori. Mi piace la definizione che dà Wikipedia di danza: dice che è un’arte performativa che si esprime attraverso il movimento del corpo umano, secondo un piano prestabilito che può essere strutturato e/o improvvisato chiamato coreografia.
Mi piace anche perché, mentre ora stiamo parlando, magari qualcuno ha appena aperto la pagina di Wikipedia e ha modificato questa definizione!
A me non interessa avere idee coreografiche, mi interessa fare quello che mi piace e che mi incuriosisce. Può essere il goalball, la giocoleria, lo schupplattler, oppure collaborare con una prestigiosa compagnia di balletto. Per me il genere è sempre lo stesso, non mi interessa dargli un nome.
Com’è avvenuta la preparazione dei ragazzi per lo spettacolo?
Ho fatto tre residenze di ricerca e in ognuna ho invitato un artista visivo e uno performativo a lavorare con me e con alcuni atleti (Francesca Foscarini, Francesca Grilli, Cosimo Terlizzi, Matteo Maffesanti, Eric Minh Cuong Castaig e Pablo Esbert Lilienfeld). In queste residenze abbiamo studiato lo sport e fatto alcune sperimentazioni, assieme anche a Sergio Lo Gatto che ha collaborato alla drammaturgia. Tutto ciò è avvenuto a partire dal settembre 2013.
Quest’anno, una volta composto il team di atleti, dividevamo la giornata in due: io insegnavo loro le mie pratiche sul corpo, e loro mi mostravano il loro sport. Alla fine la loro pratica ha vinto sull’azione della performance, che è quasi sport puro. Ma il lavoro fatto con me credo sia servito ad amplificare la loro capacità di diffondere energia mentre giocano, di essere magnetici.
Nel lavoro, mi pare assai interessante più che l’idea dello spostamento del concetto di tempo il lavoro sensoriale, con lo spostamento della percezione (vista udito).
Sì, anche a me. Ma l’ho capito tardi. Pensavo fosse un lavoro sul tempo, e invece è sulla percezione. Percezione sensoriale certo, ma anche sulla percezione dell’evento in generale. Fare dello sport, giocare una partita davanti al pubblico del teatro significa creare una piccola confusione rispetto al protocollo di comportamento dello spettatore. Ma questo l’ho capito solo l’altra sera, quando il pubblico ha visto il lavoro per la prima volta.
AURORA
invenzione: Alessandro Sciarroni
con Alexandre Almeida, Emmanuel Coutris, Charlotte Hartz, Matej Ledinek,
Damien Modolo, Emanuele Nicolò, Matteo Ramponi, Marcel van Beijnen, Sebastiaan Barneveld, Dimitri Bernardi
documentazione visiva, collaborazione drammaturgica: Cosimo Terlizzi
produzione: Marche Teatro – Teatro di Rilevante Interesse Culturale
avec le soutien de la Fondation d’entreprise Hermès dans le cadre de son programme New Settings
produzione esecutiva Corpoceleste _C.C.00#
Visto a Moncalieri (TO), Torinodanza, il 24 ottobre 2015