Il limite e la derivazione: reportage da Avignon 2010

Festival d'Avignon 64^ edition
Festival d'Avignon 64^ edition
Festival d’Avignon 64^ edition

Quando si torna da un festival si ha sempre la sindrome del bicchiere: mezzo pieno, mezzo vuoto? Si son viste cose eccelse e cose mediocri. I festival sulla contemporaneità poi sono delle vere incognite, nei riguardi dei quali si fa un atto di fede verso i curatori e gli artisti chiamati a dire la loro, a decidere, a proporre i loro linguaggi.
Molti avevano grandi aspettative per questa edizione numero 64 del Festival d’Avignon che associava artisti come Christoph Marthaler e Olivier Cadiot, ma come sempre accade le polemiche non sono mancate. Puristi e conservatori di una scena che non c’è più ormai da anni si chiedono ingenui se non si vada troppo oltre o se non si sia superato il limite.

Ecco, un tema del festival di quest’anno è stato, almeno per la programmazione ufficiale e probabilmente in modo involontario, il limite. Il limitare delle cose. Dove finisce un linguaggio e inizia un altro. Le triangolazioni, le mescolanze. L’omaggio di Platel a Pina Bausch e tantissima altra coreografia, come quella del duo Zimmermann&De Perrot con il loro “Chouf Ouchouf” interpretato dal Groupe acrobatique de Tanger. Il loro mondo è una piattaforma instabile, lo avevamo già visto in “Öper Öpis” ospitato al NTFI: si muove fra poesia e acrobazia, come questa messa in scena che richiama un po’ il Tetris, un mondo in cui i pezzi si muovono veloci e bisogna trovare sistemazione a tutto, pena l’incolonnamento instabile e la fine del gioco. Instabile è il nostro linguaggio, l’incomprensione, il vuoto ripetersi delle cose.

Impossibilitati a mantenere l’equilibrio, i protagonisti di “Trust”, lavoro di Falk Richter & Anouk van Dijk che mescola teatro e coreografia (danza mi parrebbe termine improprio). Monologhi e solitudine, piccole stanze di piccoli (e finti) suicidi quotidiani, rassicuranti cadute dal terzo piano. Su un tappeto di materassi.

Da questo melange di codici, ecco la derivazione, il distillato, che ha un sapore, come ovvio, forte. Ne è esempio Philippe Quesne che con il Vivarium Studio propone “Big Bang”: va oltre il linguaggio, salta la comprensione, il senso logico. Una sorta di fumetto raccontato nel vuoto asettico, come alcune strisce verticali di Gipi ambientate nel nulla pneumatico, in cui esseri strani mettono in scena frammenti di irrazionale. Chi applaude affascinato dal fuori pista, chi fischia senza pietà. Ai nostri microfoni Philippe spiega che l’illogico ha una logica.

Come una derivazione, un distillato, è quello che cercano di trarre da drammaturgie imponenti registi come Orsoni con il “Baal” di Brecht, Kriegemburg, che avevamo intervistato per il suo “Processo” di Kakfa l’anno scorso a Berlino, o Sastre per il suo shakespeariano “Riccardo II”, personaggio antitetico al Riccardo III bramoso di potere. Riccardo II vorrebbe spogliarsi e non ce la fa. Ne abbiamo parlato con Stefano Laguni, artista, regista e attore a più riprese per Latella, aiuto-regista di questa messa in scena francese.
Riccardo II in fondo è un po’ esemplificazione del teatro d’oggi. Vorrebbe essere altro e ancora non ce la fa. Non può farcela, perché la nostra società è plurale, è vecchia e giovane, è complessa e banale, è tutto e niente. Di tutto questo abbiamo parlato, ad esempio, nell’intervista bella e sentita con Hortense Archambault, che da anni co-dirige il festival con Vincent Baudriller.

L’Off? Tante cose interessanti e tante no. Tanto comunque. Finanche troppo. Così il bicchiere ti sembra mezzo vuoto per forza, perchè non sarai riuscito a vedere tutto. E per la legge di Murphy il gioiello era sicuramente fra le cose che hai perso. Diverse nel programma non ufficiale anche le presenze italiane, come la Piccola Compagnia della Magnolia o i mantovani del Teatro all’Improvviso.

Raccontare tutto si può? Andare oltre il limite, calcolare la derivata dell’arte? Chiedersi se si è capito? Se invece non era tutto un bluff? Impossibile. Siamo nell’era del forse. Inutile crucciarsi. Meglio viverla, intensamente. E sorseggiare quello che di pieno il bicchiere ci ha regalato, ma anche interrogarsi sul vuoto. In fondo è la materia oscura quella che ha qualche sorpresa da riservarci, nell’arte come nell’universo.

Prima parte: Philippe Quesne, Stefano Laguni, Piccola Compagnia della Magnolia, Carrozzone Teatro, Teatro All’Improvviso

Seconda parte: Hortense Archambault

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