Babilonia Teatri: la morte affrontata a ritmo di rap

Babilonia Teatri - The End (photo: Marco Caselli Nirmal)
Babilonia Teatri - The End (photo: Marco Caselli Nirmal)
Babilonia Teatri – The End (photo: Marco Caselli Nirmal)

“Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.
Per parlare della morte dobbiamo iniziare dalla fine. È con questa poesia di Quasimodo che i Babilonia Teatri concludono “The End”, l’ultima fatica della compagnia veronese, potente anatema contro i tabù sul tema della morte.
Ma per parlare di “The End” dobbiamo tornare anche all’inizio. Il percorso di questo lavoro comincia in forma laboratoriale nell’estate del 2010 al festival di Santarcangelo, dieci performer selezionati tramite un bando lanciato su YouTube vengono riuniti e invitati a cimentarsi usando la morte come soggetto. Il tragitto prosegue poi con una residenza a Bassano del Grappa tramite Operaestate Festival Veneto, dove il lavoro viene asciugato a due soli interpreti, per prendere definitivamente corpo al debutto, nel gennaio di quest’anno al CRT Teatro dell’Arte di Milano, con la sola Valeria Raimondi in scena.

Come ci ha abituato, Babilonia Teatri affronta anche il tema della morte come ha affrontato le tematiche dei precedenti spettacoli: con struggente riflessione e violenta lucidità, senza mai tralasciare la tipica, ruvida, dissacrazione rock-pop-punk, contaminando prepotentemente l’ambiente teatrale con il loro linguaggio, fatto di un’aggressiva litania spersonalizzata a ritmo di rap, un serrato flusso verbale che riversano addosso al pubblico a un ritmo mozzafiato.

Rispetto alla fase di lavoro precedente, quella a Bassano del Grappa, sono poche le novità. Se si eccettua la riduzione a una sola interprete, la Raimondi per l’appunto, che prende il posto di Ilaria Dalle Donne ed Enrico Castellani, l’opera rimane pressoché inalterata. Inalterata è la scena spoglia, evocata in un luogo-non luogo caricato simbolicamente da un monumentale crocifisso, issato dalla performer, e da un anonimo frigorifero dove vengono conservate le teste di un bue e di un asino portate anch’essi alla ribalta tramite un’affissione pendente. Inalterate rimangono anche la struttura e la drammaturgia dello spettacolo. Quest’ultima, magari un po’ ampliata, si rende ulteriormente intimidatoria rispetto ai temi trattati: la morte declinata in tutti i suoi aspetti più nefasti e grotteschi, dalla paura della morte alla morte tragica, dalla morte comica a quella lenta e agonizzante, dal diritto alla morte all’invocazione di un boia che prefettizi il decesso.

Dietro a una recitazione sostanzialmente neutra, giocata tutta su un’invettiva vocale travolgente e irritante fino all’inquietudine, si nasconde la precisa volontà di non assumere posizioni, di non lasciar spazio a nessun fattore intermediario. Si pongono domande senza dare risposte.

Se da una parte la scelta di affidare la fabula esclusivamente allo sforzo di una singola interprete, pungente macchietta in abito di paillettes armata di pistola, carica la performance di una più vivace durezza, dall’altra la mancanza di quella coralità caratteristica dell’intero repertorio babilonese risulta rendere troppo greve il compito alla Raimondi. Si è quasi tentati, a volte, di non vedere l’ora che smetta di parlare per godersi gli intermezzi musicali, rigorosamente pop, ad eccezione di un frammento spaghetti-western di Morricone.
Emerge l’intenzione di esplicitare il tema della solitudine di fronte al contatto con la morte, non c’è dubbio, ma una volta emerso non riesce ad andare oltre al galleggiamento. Intendiamoci, è un buon lavoro che percorre un sottile crinale di tensione, in cui si palesa l’aggressività nascosta e latente che sta sotto al nostro vivere quotidiano, e dove l’attrice si fa megafono di una pluralità di voci metabolizzando ipocrisie e indignazioni ben sostenute dalla modalità recitativa. Ma non è possibile non domandarci fino a che punto la compagnia intenda continuare ad insistere con questa cifra stilistica e se non sia forse giunto il momento di provare a considerare il loro sistema performativo come un germe da fecondare per dar vita a ulteriori evoluzioni creative. Magari rivalutando l’esperienza laboratoriale di Santarcangelo, dove c’è stato un tentativo di travalicare i propri confini aprendosi a voci e corpi nuovi, per cercare tracce di nuovi linguaggi.
Segnali di speranza ci sono, come nel finale di questo lavoro, dove il bambino che Valeria Raimondi ha da pochi mesi avuto entra in scena tra le sue braccia, forse un’amorevole sfida verso la vita che – nonostante tutto – continua, o forse solo l’ingenua visione di un impossibile catarsi.

Le repliche proseguono con le date di domani, mercoledì 23 febbraio, alle Fondamenta Nuove di Venezia, e il 4 e 5 marzo al Palladium di Roma, nell’ambito di Big Bang Theatre.

Vi lasciamo ora alla videointervista inedita di Renzo Francabandera a Enrico Castellani, in occasione dell’ultima edizione di OperaEstate Festival.
Buona visione!

THE END
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
con: Valeria Raimondi
e con: Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Luca Scotton
collaborazione artistica: Vincenzo Todesco
scene: Babilonia Teatri/Gianni Volpe/Luca Scotton/Ilaria Dalle Donne
luci e audio: Babilonia Teatri/Luca Scotton
costumi: Babilonia Teatri/Franca Piccoli
organizzazione: Alice Castellani
produzione: Babilonia Teatri, CRT Centro di Ricerca per il Teatro
in collaborazione con: Operaestate Festival Veneto e Santarcangelo 40
con il sostegno di: Viva Opera Circus
durata: 43’
applausi del pubblico: 1’ 28”

Visto a Parma, Teatro al Parco, 18 febbraio 2011

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