Battlefield. Peter Brook e l’eterna battaglia dell’uomo

Battlefield (photo: Caroline Moreau)
Battlefield (photo: Caroline Moreau)

Dolce dubbio quello di dover scegliere a cosa attribuire la riuscita e la forza di un lavoro come “Battlefield”, scritto da Jean-Claude Carrière e diretto dall’ultranovantenne Peter Brook insieme a Marie-Hélène Estienne, andato in scena al Teatro della Pergola di Firenze nell’ambito del festival Fabbrica Europa (la XXIII edizione prosegue fino al 18 giugno).

Attribuirle semplicemente a quel capolavoro della letteratura mondiale, “contenitore di tutte le storie del mondo”, di tutti gli archetipi e tòpoi letterari quale è il “Mahābhārata”, per di più affidato al talento sconfinato di un Maestro come Peter Brook?
O, perché no, alla potenza attoriale di quattro straordinari interpreti come Carole Karemera, Jared McNeill – già ammirato in “The valley of astonishment” -, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan?
O ancora al perfetto equilibrio tra materia trattata e magistrale essenzialità della messinscena?
In fondo non vogliamo rispondere, ed anzi già sembra d’essere banali nel porsi questi interrogativi. “Battlefield” va visto.

Peter Brook torna, dopo trent’anni, al celebre poema epico indiano, a quel “Mahābhārata” leggendario messo in scena al Festival di Avignone nel 1985 con una durata di 9 ore suddiviso in tre giornate, e oggi ridotto a poco più di un’ora.

“Battlefield” è il racconto della guerra fratricida che lacera la famiglia Bharata: lo scontro terribile tra i cinque fratelli Pandava e i loro cugini Kaurava, i cento figli del re cieco Dhritarashtra.
Al termine i Pandava risultano vincitori e il più anziano, Yudishtira, sale al trono consapevole della distruzione che ha comportato tale affermazione.
Il re Dhritarashtra, che ha visto morire tutti i suoi figli, condivide col nuovo sovrano angosce e rimorsi. Entrambi si interrogano sulle azioni passate affrontando le proprie tremende responsabilità.

All’interno degli eventi narrati c’è spazio per piccoli racconti simbolici, sorprendenti nella loro semplice profondità, che aprono riflessioni su tematiche che da sempre accompagnano l’uomo nel suo cammino millenario, e qui efficacissimi grazie alla bravura dei protagonisti, che emerge nel minimalismo simbolico, che talvolta sfiora l’assenza, dei pochi elementi scenografici, da apocalittico ‘day after’.

“Battlefield” è uno spettacolo di una attualità disarmante, che lascia attoniti pensando a come dovrebbe apparirci lontana la tematica. E invece ci sbagliamo. Perché questo “campo di battaglia”, in cui vincitori e vinti riflettono sull’immane tragedia da loro provocata, che osservano la morte in tutte le sue conseguenze e atrocità, simboleggiate dai cadaveri che ricoprono il terreno dello scontro e il dolore che si irradia e fluisce ovunque, è il campo di battaglia di cui leggiamo e ascoltiamo ogni giorno. Ucraina, Siria, Libia… tanto per nominarne qualcuno. Ma siamo sinceri: di questi campi di battaglia poco c’importa.

“In guerra una vittoria è una sconfitta – ci ammonisce però Brook, ed ecco perché – Voglio raccontare la storia di Battlefield, per far capire a Obama, Hollande, Putin e a tutti i presidenti cosa succede dopo la battaglia. Se tu sei un leader e sostieni una guerra devi sapere che farai milioni di morti, anche se vinci”.

La grandezza di questo lavoro, che è poi la forza di Brook, è di riuscire a parlare a tutti, mettendo in scena uno spettacolo che arriva a toccare un pubblico eterogeneo per età, gradi culturali e tipologie di interesse: da chi il teatro lo segue o lo studia da anni a chi magari c’è entrato per caso invitato da un amico.

Sorprende, inoltre, come la messinscena sia spesso alleggerita da momenti ironici – c’è addirittura spazio per una divertente interazione col pubblico -, momenti di quiete per far spazio a un sorriso allentando la tensione, che non è una strizzata d’occhio al pubblico, bensì capacità di mantenere quell’equilibrio che consente di godersi appieno un lavoro così importante, in cui spiccano i bellissimi costumi di Oria Puppo e le musiche dal vivo di Toshi Tsuchitori, efficaci e potentissime, suoni di tamburo ancestrali che vanno a colpire l’intimo dello spettatore, già ipnotizzato dagli accadimenti in scena.

Rimaniamo, come sempre accade nei lavori del regista londinese, ancora una volta felicemente stupiti.
Assistere a spettacoli come “Battlefield” è al tempo stesso una fortuna e una consolazione, un bel regalo che il teatro riesce ancora a farci. L’invito è quindi per il pubblico di Modena, dove “Battlefield” arriverà domani, domenica 29 e lunedì 30 maggio, al Teatro Storchi.

BATTLEFIELD
basato sul Mahābhārata
e lo spettacolo scritto da Jean-Claude Carrière
adattato e diretto da Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
musica: Toshi Tsuchitori
luci: Philippe Vialatte
costumi: Oria Puppo
con Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan
musicista: Toshi Tsuchitori
produzione C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord
coproduzione: The Grotowski Institute; PARCO Co. Ltd / Tokyo;
Les Théâtre de la Ville de Luxembourg; Young Vic Theatre; Singapore Repertory Theater;
Théâtre de Liège; C.I.R.T.; Attiki Cultural Society e Cercle des Partenaires des Bouffes du Nord

durata: 1h 13’
applausi: 3’ 57’’

Visto a Firenze, Teatro della Pergola, il 24 maggio 2016

stars-4

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