Nelle democrazie occidentali il diritto alla felicità dell’individuo è indicato in diverse costituzioni. Fa scuola la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Sicuramente in un mondo globalizzato e ormai preda di uno sfrenato capitalismo, la felicità per le masse si può semplificare con la soddisfazione di bisogni per lo più materiali.
Ma perché la felicità dovrebbe essere un diritto codificato, e non il prodotto dell’autodeterminazione dell’individuo? Perché se la felicità assume la dimensione di diritto da garantire a tutti, allora sarà più facile eliminare i conflitti e anestetizzare la società, plasmando consumatori ed elettori secondo le proprie esigenze.
E’ quello che emerge da “Beyond Fukuyama” del giovane drammaturgo austriaco Thomas Köck, ispirato all’opera di Francis Fukuyama “La fine della storia”. Il regista Renzo Martinelli ha messo in scena questo lavoro al Teatro Filodrammatici di Milano.
Köck va oltre Fukuyama. Immagina un team di scienziati che sta lavorando alla ricerca della formula della felicità. In un’atmosfera asettica ma futuristica, vengono svelati gli ingredienti che, sommandosi tra loro, porterebbero alla felicità umana: il sesso, il successo, il lavoro, il denaro e un quinto elemento che rimane un’incognita. Ogni elemento viene indagato su diversi piani: del sesso viene celebrata la dimensione onanistica, del lavoro vengono messi in luce il carrierismo, le frustrazioni e le ineguaglianze. Il successo e il denaro sono anch’essi relativizzati. Con un gioco di svelamenti, ogni scienziato si rivela portatore dei molti vizi e delle poche virtù di una società globalizzata e consumistica: carrierismo, precariato, correttezza. Si fanno strada altri interrogativi: ci si chiede come si sia giunti alla formula della felicità e perché sia necessario condividerla.
Per ottenere le informazioni che hanno portato alla deduzione della formula, sono stati analizzati dati, gusti, abitudini delle persone della cosiddetta classe media. Fornire loro la felicità era il fine della politica, che attraverso l’apparente soddisfazione dei bisogni della gente comune avrebbe anestetizzato completamente l’uomo medio, tagliando dalla sua esistenza la ricerca di senso e i conflitti. I dati segretamente prelevati e spiati devono rimanere segreti. Qualcosa però va storto.
La vicenda diventa dunque un pretesto per scandagliare alcuni dei temi più caldi del mondo contemporaneo: la diffusione di un sentimento di paura e insicurezza spesso infondato, che allontana così ogni barlume di razionalità illuminista; la standardizzazione di usi, costumi e abitudini che ha portato a un appiattimento del pensiero.
Alla ricerca di un colpevole, ecco palesarsi la Storia, personificata dalla direttrice del team di scienziati. È attorno alla Storia che si fanno strada le scuse all’umanità per le tragedie dell’età contemporanea: dall’olocausto al terrorismo, dall’invenzione di una fantomatica Unione Europea al conferimento del Premio Nobel per la Pace all’allora presidente degli Stati Uniti Obama.
Secondo Fukuyama, il processo d’evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, snodo epocale a partire dal quale si starebbe aprendo una fase finale di conclusione della storia in quanto tale.
Il drammaturgo austriaco Köck immagina che la fine della Storia prospettata da Fukuyama sia molto vicina al nostro presente, nel quale la massa, illusa di aver maggiore potere di scelta e di azione grazie ai social e alle attività sul web, può facilmente essere controllata e plagiata, indirizzata, sorvegliata.
Gli interpreti sono solidi e competenti: Elisabetta Pogliani nei panni della scienziata a capo del team e in quelli simbolici della Storia, Federica Carra in quelli della “traditrice” del team, Anna Sala altro membro del team, diventa la falsa coscienza di quel microcosmo. Mauro Milone e Ulisse Romanò si contrappongono invece tra loro per carrierismo, precariato e paternità.
La scena è riempita di grandi tavoli mobili da laboratorio scientifico e da due lavagne su cui si stagliano formule varie alla ricerca della felicità.
La regia di Renzo Martinelli – con l’apporto drammaturgico di Francesca Garolla – nella prima parte sembra suggerire un dramma psicosociale; verso la fine lo spettacolo prende un’altra direzione: diventa politico, impegnato, alternando registri ora ironico-grotteschi, ora drammatici. Un tema così complesso e articolato viene tuttavia tradotto attraverso una drammaturgia ridondante, a tratti retorica. E forse uno spazio maggiore al non detto avrebbe reso più agile la messa in scena.
BEYOND FUKUYAMA – felici-bum-tà!
di Thomas Köck
traduzione Adriano Murelli
regia Renzo Martinelli
dramaturg Francesca Garolla
con Federica Carra, Mauro Milone, Elisabetta Pogliani, Ulisse Romanò, Anna Sala
assistenti alla regia Veronica Franzosi, Tatjana Motta
luci Mattia De Pace
musica e suono Gianluca Misiti
produzione Teatro i
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe – Beyond Borders?
durata: 1h 25’
applausi del pubblico: 2’ 5’’
Visto a Milano, Teatro Filodrammatici, il 29 marzo 2019