Quali domande mi faccio quando vado a vedere uno spettacolo e devo parlarne? In realtà penso siano domande implicite, che non mi faccio a voce alta ma che comunque risuonano nella testa per capire che gusto mi ha lasciato una visione.
Per me sono importanti: una rigorosa idea di fondo sul da farsi, una compattezza di intenzioni che coinvolga il gruppo di lavoro, la chiara evidenza di un impegno non approssimativo, la volontà di far fare un passo in avanti al linguaggio in qualche forma, e il coraggio di cercare un dialogo con lo spettatore a cui la creazione artistica si rivolge, non pretendendo di completare l’opera d’arte in sé stessa senza considerare lo sguardo di chi osserva, unico elemento destinato a chiudere veramente il cerchio del processo creativo.
Dopo il buon esito dello scorso anno con “Frammenti di contemporaneità (Meno Emergenze)”, su testi di Martin Crimp, Francesco Leschiera, regista e fra i fondatori di Teatro del Simposio, ha portato in scena, in prima nazionale al Litta di Milano, “Beyond Vanja”, una rielaborazione del classico di Anton Čechov affidata alla penna di Antonello Antinolfi, drammaturgo che da sempre lavora con la compagnia.
L’idea di questo “oltre” si connota nell’intenzione non solo di una trasposizione del testo, ma anche nella ricerca di nuove forme di rappresentazione che non snaturino le atmosfere del classico ma riescano a regalargli una contemporaneità data dai vari elementi scenici, registici e attorali.
Affrontano la sfida interpretativa Sonia Burgarello (Sonja), Ettore Di Stasio (Zio Vanja), Matteo Ippolito (il medico Astrov), Alessandro Macchi (Telegin), Giulia Pes (Elena).
La trama di Vanja è qui rispettata alla perfezione, e ruota intorno all’arrivo nella casa di campagna del vecchio professor Serebrjakov, marito della defunta sorella di Vanja e sposato in seconde nozze con la bella Elena, pigra, indolente.
La presenza femminile conturbante modifica la vita routinaria della casa in campagna. Il suo amoreggiare con l’insoddisfazione, come una Bovary dell’Est, sconvolge più di tutti il medico, che non si accorge invece delle attenzioni della più dimessa e ordinaria Sonja. E’ proprio il dilemma fra queste due femminilità, prima ancora che fra i personaggi maschili in scena, il cuore di Zio Vanja, la lotta fra il fascino capriccioso, irraggiungibile e volubile e la bellezza ordinaria, dimessa e fedele.
E qui l’intenzione dello spettacolo pare centrata, perché l’idea di fare a meno del personaggio del professor Serebrjakov, per aprire il campo alle contese fra gli amori inconfessabili e inconfessati, agli intrecci dei desideri, alle voluttà. risulta interessante e a suo modo feconda. E’ una sorta di ring circolare, creato da una serie di pannelli di vetro che racchiudono una tavola imbandita in modo barocco ma con alcune volute dissonanze in plastica, lo spazio scenico pensato all’interno della Cavallerizza da Francesco Leschiera, Alice Manieri e Chiara Bartali, che creano anche i costumi (ben fatti).
Da questa struttura centrale, arena sentimentale, si dipartono due strade nel senso longitudinale dello spazio, al terminare delle quali, in una direzione due poltrone e due cornici vuote a muro, e nella direzione opposta un’altalena e due tronchi. Un interno e un esterno. Un tappeto di foglie secche riempie la sala, gli spettatori devono calpestarle per prendere posto. Siamo nella casa di campagna con gli attori ma fuori dalla casa, di cui guardiamo quello che succede dall’esterno, e questa idea inclusiva ed escludente assieme funziona.
Le luci tiepide di Luca Lombardi fanno piombare la casa in una penombra particolarissima, quasi si fosse sempre in una lunghissima sera.
Le cose più belle:
– la bellezza impoverita di Sonia Burgarello, la cui modalità dimessa arriva a bersaglio con grande efficacia
– la presenza fatta per lo più di sguardi e pallori di Giulia Pes: una presenza scenica fisica forte e “dello stare” più che “del dire”, calibrata e che contrasta l’altra figura di donna in modo icastico
– il movimento scenico, l’idea sempre tridimensionale di cose che succedono in primo piano e sullo sfondo, un’idea cinematografico-teatrale che considera sempre l’altrove, l’oltre, il beyond
– la modalità corale, in cui tutte le figure risultano determinanti per creare l’equilibrio scenico, come sempre in Čechov
– le video proiezioni (scenografie digitali DORA VISUAL ART – video Alice Francesca Sabbatini / Mentezero – in collaborazione con Manifatture Teatrali Milanesi) e le musiche (Antonello Antinolfi), misurate, piccoli cameo, delicatezze
Quanto alla compagine maschile, al di là della figura di ignavo perfettamente affidata ad Alessandro Macchi, l’amalgama delle figure diventa essenziale per la riuscita dello spettacolo, con particolare riferimento a Ettore Di Stasio (Zio Vanja) e Matteo Ippolito (il medico Astrov), poi la capacità del primo di curvarsi alla sconfitta e del secondo di misurare l’enfasi e centrare l’attenzione sul testo sono due chiavi per il successo.
Tornando quindi alle considerazioni iniziali, sicuramente l’allestimento incorpora una rigorosa idea di fondo sul da farsi, una compattezza di intenzioni del gruppo di lavoro, che deve consolidarsi con l’andare delle repliche, anche perchè alcuni attori hanno da poco iniziato a lavorare insieme. La volontà di far fare un passo in avanti al linguaggio c’è, anche se poteva esserci qualche ardimento ulteriore, per espandere ancora oltre il tentativo, che rimane comunque fedele ai “tempi emozionali di Čechov”, cosa apprezzabile.
Sull’ultimo punto non manca il coraggio di cercare un dialogo con lo spettatore, specie nell’allestimento scenico, ma qui apriamo ad una considerazione ulteriore, che si condensa attorno ad una questione fondamentale: la disposizione degli spettatori intorno alla macchina scenica.
Il pubblico nella Cavallerizza di Palazzo Litta viene fatto accomodare in quattro quadranti addossati alle pareti, a racchiudere l’agone centrale, lasciando libere le due vie longitudinali centrali. Questa disposizione ha due limiti piuttosto evidenti: pur apprezzando l’idea che ogni seduta sia un punto di vista differente, con le sue parzialità e le sue peculiarità, è evidente che, anche in ragione della fissità delle sedute di alcuni dei personaggi a tavola, in modo alternato l’una metà degli spettatori ovvero l’altra perda fruizione visiva del volto di alcuni interpreti, ricevendone per quasi tutta la recita le spalle. Bisogna anche tener conto che i pannelli trasparenti che circondano la tavola imbandita, belle finestre sulla casa da cui il pubblico sbircia quasi come voyeur, diventano anche un po’ barriere sonore sulla diffusione della voce degli attori, che a tratti arriva soffusa e troppo bassa.
Questi sono elementi da considerare profondamente e che, uniti alla scelta di effettuare le delicatissime video proiezioni alle spalle di una buona metà del pubblico (che quindi non se ne accorge), ci spinge a porre alla regia un tema di accessibilità, permettendoci di suggerire che venga lasciato al pubblico di scegliere cosa lo interessa, di esercitare la selezione che “spetta allo spettatore”, colui che completa con il suo sguardo la creazione. Su questo punto ci sono margini di crescita, che dovranno essere valutati di volta in volta a seconda degli spazi (ci auguriamo molti) in cui lo spettacolo potrà essere ospitato.
Beyond Vanja
tratto da Zio Vanja di Anton Čechov
elaborazione drammaturgica Antonello Antinolfi
regia Francesco Leschiera
con Sonia Burgarello, Ettore Di Stasio, Matteo Ippolito, Alessandro Macchi, Giulia Pes
scene e costumi Francesco Leschiera, Alice Manieri, Chiara Bartali
luci Luca Lombardi
elaborazione e scelte musicali Antonello Antinolfi
assistente alla regia Edoardo Visentin
scenografie digitali DORA VISUAL ART
video Alice Francesca Sabbatini /Mentezero
disegno grafico Valter Minelli
in collaborazione con Manifatture Teatrali Milanesi
applausi del pubblico: 2′ 35”
Visto a Milano, Teatro Litta, il 17 novembre 2015
Prima nazionale