Hey Ladies, il mondo della regia appartiene a voi!
A dirlo è Antonio Latella, al primo anno del suo mandato alla Biennale Teatro di Venezia, che ha voluto intitolare “Atto primo: Regista”.
Ma non è il solo a pensarla così; anche il delegato Giona Nazzaro, presentando la Settimana della critica dell’imminente Festival del Cinema, parla di un’alta presenza di regia tutta al femminile.
Non si tratta né di colmare un vuoto, né di alzare le cosiddette “quote rosa”, hanno sottolineato entrambi. Sia nel teatro che nel cinema internazionale, le donne stanno rilanciando la regia attraverso nuove estetiche e nuove grammatiche comunicative, e poi sono “libere, sensuali, divertenti”.
Ecco perché il programma della 45^ edizione della Biennale Teatro, appena cominciata, è rivolto tutto al femminile: dall’assegnazione del Leone d’oro alla visionaria e giocosa scenografa Katrin Brack e il Leone d’argento all’audace e tenace regista polacca Maja Kleczewska, agli spettacoli di Ene-Liis Semper, Nathalie Béasse, Maria Grazia Cipriani e Livia Ferracchiati, Anna-Sophie Mahler e ancora Suzan Boogaerdt e Bianca Van der Schoot.
Anche gli allievi della Biennale College sono al lavoro sulla figura di un’artista donna, in questo caso della seconda metà del Novecento e misteriosamente scomparsa; saranno proprio gli esiti dei workshop a chiudere il festival, si spera in bellezza.
Ma non dimentichiamo la mostra “Registe alla Biennale” dal 1934 al 2016, frutto di una selezione di Latella, che ha scelto dall’Archivio Storico delle Arti Contemporanee fotografie, video, locandine, manifesti, cataloghi degli spettacoli e carteggi con le compagnie delle passate edizioni del festival.
Iniziamo quindi col parlare delle primissime giornate di questa edizione.
Come di consueto la Biennale Teatro si è aperta con l’assegnazione dei Leoni, quello d’Oro alla carriera a un’emozionatissima Katrin Brack, di cui il pubblico ha potuto toccare con mano una delle sue semplici e magiche scenografie, prese in prestito da “Anatol” di Luk Perceval, per l’occasione installate nel foyer del Teatro alle Tese dell’Arsenale.
Una giungla di festoni di lamé, che scendono a cascata dall’alto, quelli tipici che si avvolgono come decoro attorno all’albero di Natale, e che la scenografa tedesca utilizza in versione ‘gigante’.
“Desidero che il pubblico sperimenti leggerezza e semplicità nelle mie scenografie” ha dichiarato durante l’incontro post premiazione. Mentre Latella ha parlato di “scenografie che non sono oggetti estetici, ma vere e proprie drammaturgie”, aggiungendo simpaticamente di aver più volte “rubato” tutto quel che poteva dai lavori della Brack.
Il Leone d’Argento per l’innovazione teatrale è stato assegnato invece alla quarantenne Maja Kleczewska, presente a Venezia con tutta la famiglia. La regista polacca ha dedicato il premio ai propri collaboratori e amici, “perchè il teatro non si può fare da soli”, ma anche alle artiste “che lavorano in un mondo dominato dagli uomini”.
Per lei che non ha timore di essere giudicata “scomoda”, particolarmente sentita è stata la dedica ai propri compatrioti, occasione per mantenere alta l’attenzione sulla situazione politica polacca: “Più di tutto vorrei dedicare il Leone d’Argento ai miei compatrioti scesi in strada per difendere la nostra democrazia, l’indipendenza della magistratura e la libertà garantita nella costituzione polacca. Purtroppo, nel 2015, il PIS, il partito di destra “Diritto e Giustizia” (che nome ironico!) è salito al potere. Questo partito è guidato da nazionalisti, razzisti, omofobi e misogini… Il teatro polacco rimane una forma d’arte potente, non ha paura di discutere le questioni più scomode e dolorose. I polacchi vanno regolarmente nei teatri statali, ogni anno si vendono più di 6 milioni di biglietti. È per questo che il nostro governo ha attaccato gli artisti di teatro con tale ferocia, e vuole metterci a tacere; ci chiamano traditori, e dicono che la nostra arte è anti-polacca. Ma c’è qualcosa che ho in comune con il governo polacco: riconosco la profonda importanza e il potere del teatro. Nel mondo, oggi, si osserva la scomparsa di empatia, e l’Europa si rivolge ai partiti di destra. L’arte non è in grado di fermare le tendenze radicali. L’arte però può ricordarci quali sono i valori umani e ricondurci a quell’empatia”.
Sul palco della Biennale, Maja Kleczewska ha portato “The Rage” (la rabbia), versione inglese di “Wut” che il premio Nobel per la letteratura 2014, l’austriaca Elfriede Jelinek (anche lei ritenuta ‘scomoda’ in patria) ha scritto dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo.
La messa in scena della regista polacca, mantiene la struttura frammentata, visionaria e ironica del testo, e amplificandola inglobando nello spettacolo tutta la sala teatrale: muri, buca d’orchestra e pubblico compreso, così a formare un tutt’uno in una sorta di stato d’assedio. O almeno tale è la sensazione. Ci si sente accerchiati, isolati, attaccati, e allo stesso tempo accusati e testimoni, cirenei e incensatori, barbari e misericordiosi, per tutte le tre ore di spettacolo.
L’ambientazione è quella di una redazione televisiva in fase di montaggio, lanci del notiziario e registrazioni varie.
Sul palco maxischermi mostrano in diretta newsH24, immagini registrate di atrocità e morte, e riprese live di ciò che avviene sul palco/redazione, con l’effetto di sbattere continuamente la faccia dello spettatore sulla disperazione e sulla sofferenza della realtà che lo circonda, e di cui fa parte (e qui sembra insistentemente voler affondare la regia): “Nessuno può trovare né pace né silenzio”.
Appesi sui muri, giganteschi banner additano: “E’ tutta colpa nostra! Solo nostra! TV Rabbia”. E la scritta “Abbi paura di Dio” è sbarrata e sostituita da “Abbi paura dell’uomo”.
Gli attori, riprendendo abiti, stili e comportamenti di una dimensione sociale performativa, acquisiscono lo statuto di celebrità: come icone pop partecipano al dibattito pubblico, incarnano personaggi narrativi, indossano maschere, dando vita a quei complessi meccanismi sottesi al nostro vivere sociale, una continua colluttazione fra identità, apparenza e appartenenza.
Tutto lo spazio è a loro disposizione; entrano e escono dalla platea, sfiorano lo spettatore, anche se sembrano non guardarlo mai dritto negli occhi.
E’ il gioco della rabbia, straziante e sfiancante. “La rabbia è la tragedia dei nostri tempi” affermano infatti autrice e regista. “La rabbia non conosce dubbi, non c’è tempo”. “Quand’è che si è impadronita di noi?”. Forse un tempo, quando ha sposato la paura della perdita, una paura vecchia ma sempiterna. Paura di perdere potere, lavoro, soldi, casa, donna, amore, memoria, vita…
Nessuno si salva, nemmeno Dio, che qui passa per codardo e bugiardo. Neppure i morti contano davvero, “perché non sono nessuno”, ma loro lo sanno, è la cantilena ripetuta più volte sul palco: “Tutti moriremo”. Ma questo non ci fa rabbia?
The Rage
di Elfriede Jelinek
regia Maja Kleczewska
drammaturgia Tukasz Chotkowski
adattamento Maja Kleczewska e Tukasz Chotkowski
con Karolina Adamczyk, Aleksandra Bozek, Anna Dzieduszycka, Arkadiusz Pyc,
Magdalena Kolesnik, Kaya Kolodziejczyk, Mamadou Goo Ba, Michal Czachor, Michal Jarmicki, Mateusz Tasowski, Julian Swiezewski, Robert Wasiewicz, Wiktor Loga Skarczewski
scene Zbigniew Libera
costumi Konrad Parol
luci Piotr Pieczynski
in collaborazione con Zbigniew Libera e Ewa Tuczak
musica Cezary Duchnowski
video found footage Ewa Tuczak
produzione Teatr Powszechny im. Zygmunta Hubnera
durata 3h
applausi del pubblico: 2′ 40”
Visto Venezia, Teatro Piccolo Arsenale, il 26 luglio 2017