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Bolle di sapone per Roma città mondo

I protagonisti di Bolle di sapone (photo: Antonio Ficai)

I protagonisti di Bolle di sapone (photo: Antonio Ficai)

“Il teatro è un diritto e un dovere per tutti”, recita il famoso aforisma di Paolo Grassi.
Che il teatro sia un diritto i lettori di Klp sono probabilmente abituati a dirlo, ribadirlo e anche urlarlo, viste le imprese erculee a cui è destinato, nel nostro Paese, l’artista che vuole accedere a qualsiasi forma di finanziamento pubblico. Il teatro sarebbe anche un dovere, però. E non sarebbero stati pochi i romani con diritto al voto a cui avrebbe fatto bene alla salute fare un salto, dal 17 al 28 giugno, al Teatro India: lì, infatti, si sono svolte le attività di “Roma città mondo. Festa teatrale dell’intercultura”, un progetto di Teatro di Roma – Teatro Nazionale sostenuto da Mibact e Siae.
Per chi se lo fosse perso, “Roma città mondo” continua al Teatro del Lido di Ostia con altre due date speciali: il 6 luglio alle 21 “Chi?”, regia di Danilo Ferrin, esito del laboratorio curato dall’associazione culturale “Creatività e Comunicazione”; e l’8 luglio alle 18 “Femminile Migrante” a cura di Flavio Tannozzin, reading e storie di vita interpretate da donne.

Il festival, interamente a ingresso libero, è «dedicato ad artisti, cittadini e associazioni che vedono nella periferia zone di contatto, che affrontano il tema della diversità, della distanza metaforica e fisica dal centro e da sé, proponendo il teatro sociale come possibile risposta, veicolo di accoglienza, di dialogo interculturale, di inclusione e di crescita personale e collettiva». Abbiamo citato letteralmente perché c’è davvero poco da aggiungere: dietro queste righe c’è l’idea di un teatro che, per compiere la sua vocazione, cioè essere popolare, sa di dover essere, in certe fasi, anche profondamente impopolare, fuori moda e fuori sincronia rispetto all’aria che tira.

I dieci giorni di “Roma città mondo” sono cominciati con la prima nazionale di “Famiglia” (con gli attori ex detenuti di Fort Apache e con Marcello Fonte, fresco di Palma d’oro con “Dogman”), cui sono seguiti una serie di spettacoli e laboratori affidati a giovani artisti, da “I buchi bianchi” di Massimo Sconci (vincitore di CortinScena 2018) a “Le storie degli altri” di Annalisa Bianco (in collaborazione con un Centro di accoglienza per minori migranti), da “Kassandra” (testo di Kevin Rittberger messo in scena da Alessandra Cutolo) allo spettacolo di danza indiana “Il nettare di Krishna”, fino al gradito ritorno dello spettacolo itinerante “Quando non so cosa fare cosa faccio?” di Deflorian/Tagliarini.

Noi però ci soffermiamo oggi su uno spettacolo che, rispetto agli altri, e fin dal titolo, affronta in modo più obliquo il tema della diversità e della periferia: le “Bolle di sapone” del giovane drammaturgo e regista romano Lorenzo Collalti (uscito dalla Silvio D’Amico), sono infatti due personaggi dalla carta d’identità apparentemente normale, senza storie di marginalità già scritta alle spalle, affidati all’interpretazione di Grazia Capraro e Daniele Paoloni.

Collalti, con la sua compagnia L’Uomo di Fumo, mette in scena un testo basato su una narrazione unica ma articolata a due voci: un ragazzo e una ragazza (che non serve etichettare con nomi propri) timidi, o piuttosto decisamente inclini alla fobia sociale, e dunque solitari, distratti dalle loro ossessioni, riparati dietro le quinte delle loro fantasie ed evasioni.
Si incontrano. O meglio: hanno la possibilità d’incontrarsi, e vogliono coglierla. Come due bolle di sapone che si toccano e non sanno se scoppieranno o continueranno ad attraversare l’aria insieme.

La drammaturgia di Collalti è semplice, nel senso più buono del termine: lo schema del racconto a due voci si rompe solo a metà spettacolo, quando i due attori evocano scene singole e assumono anche altri mini-ruoli. La scenografia è essenziale, a partire dalle due sedie verdi al centro del palco: l’entrata in scena di Capraro e Paoloni, con le valigie in mano, ricorda moltissimo, per fisionomia, scelta dei tempi e sguardi fra gli attori, gli incipit di Carullo/Minasi.

Fin dalle prime battute la costruzione del profilo dei personaggi si alterna a dosaggi metanarrativi, a parentesi ironiche sull’intellettualità del teatro che non si capisce, a brillanti trovate parodiche (come l’outing sulla celiachia). L’autore sa pescare bene anche nel repertorio del cabaret, mutuandone alcune tecniche, come quella dell’elenco lunghissimo e scandito velocemente dall’attore. Il ritmo è sempre molto alto, e ciò viene sfruttato abbondantemente dal regista anche per scopi comici: la sensazione è anzi che, dal punto di vista della velocità di dizione, gli attori siano stati spremuti troppo, perché i pur bravi Capraro e Paoloni vanno qualche volta in difficoltà.

La solitudine urbana dei due protagonisti, e in particolare l’ipocondria del personaggio maschile, prendono così corpo, come da titolo, con leggerezza. Il testo è ben scritto e ha, soprattutto, il gusto per le immagini in grado di unire originalità e iperbole comica: il pubblico apprezza, ridendo parecchio. Penso alla descrizione di un lavaggio in lavatrice, che Paoloni è abilissimo a far montare poco a poco verso un drammatico grottesco, fin quando il giro del cestello si fa allegoria di contraddizioni esistenziali e dell’ineluttabilità del fato ammorbidente. Questo passaggio mi ha, fra l’altro, ricordato una poesia di Francesco Terzago, autore non a caso coetaneo di Collalti, che in un’affinità quasi impressionante parte dal cestello di una lavatrice per decollare con ironia e fantasia verso prospettive astronomiche.

“Bolle di sapone” trae forza proprio dalla creatività linguistica spalancata dalla stramberia della coppia protagonista, dall’indole inespugnabilmente freak dei due, e trova il suo equilibrio nella misura stilistica del piccolo apologo comico. Questa comicità, nonostante le frecciatine al teatro difficile, rimane di natura intellettuale; ma Collalti sa dosarla bene, e la usa in modo coerente e onesto, avendo come (presunto) obiettivo un teatro divertente, colto, ben scritto. E l’obiettivo è raggiunto. Il drammaturgo romano ha il merito di coprire uno spazio abitato di rado dal teatro italiano contemporaneo, inveterato nei poli del teatro di tradizione, della ricerca o dello spettacolo di consumo: quello, appunto, dell’apologo leggero, ma non superficiale.

Da questa prospettiva, anche certi stratagemmi pensati appositamente per la risata non hanno nulla di male. I nodi meno originali del testo, semmai, stanno proprio nei tratti caricaturali dei personaggi, spesso già visti in film o serie televisive: il giovane ipocondriaco, in particolare, è quello che rischia di più la stilizzazione. Anche perché, se è vero che i freak sono sempre simpatici, è anche vero che essere strani, o far finta di essere strani, è diventata una moda, alimentata soprattutto dalle serie americane, partendo da Phoebe di “Friends” per arrivare a Kimmy Schmidt.

Comunque, se più indizi fanno una prova, s’intravede ormai bene una generazione di trentenni che cerca la sua identità nel testo e in uno stile narrativo capace di essere sia empatico sia sornione (tra i più attivi in area capitolina potremmo ricordare Giuseppe Tantillo). Staremo a vedere.

Nelle note di regia di Collalti troviamo anche il motivo che fa nitida la coerenza del suo lavoro con le ragioni di un festival sull’intercultura come “Roma città mondo”: «Lo spettacolo è un enorme input; è lo spettatore che dipinge tutto il resto, servendosi dei colori che la sua interiorità gli suggerisce».
Il Novecento ci ha insegnato una volta per tutte, anche volendo rinunciare agli orpelli freudiani, che per ognuno il primo straniero è sé stesso. E la serenità quotidiana si può trovare soltanto nella faticosissima sfida che consiste nell’integrare in una sola coscienza, giorno per giorno, i tanti piccoli e babelici io che la compongono, anche a costo di farsi male, cercando di scalare i muri alzati dalla nostra mente: e proprio il teatro può essere di enorme aiuto nell’impresa. Dipingere la scena con i colori dell’interiorità, come suggerisce Collalti, può aiutare a non cedere alla paura, a non esporsi alla regina delle scusanti: a non far finta che lo straniero sia soltanto l’altro. Le bolle di sapone scoppiano comunque: qualcuna però, se si fa trasportare dal vento, arriverà più lontano.

BOLLE DI SAPONE
Testo: Lorenzo Collalti
Con: Daniele Paoloni e Grazia Capraro
Regia: Lorenzo Collalti
Costumi e grafica: Silvia Romualdi
Produzione L’Uomo di Fumo – Compagnia Teatrale in collaborazione con Khora Teatro

durata: 50′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Roma, Teatro India, il 23 giugno 2018

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