Bolzano Danza 23 omaggia Erich Gauthier e la Dance Company Theaterhaus Stuttgart

Minus 16 (ph: Jeanette Bak)
Minus 16 (ph: Jeanette Bak)

Organizzato dalla Fondazione Haydn un palco di artisti internazionali, dalla compagnia Hungry Sharks al coreografo spagnolo Cayetano Solo

Tornare per tre giorni al festival Bolzano Danza dopo qualche anno di assenza è stato molto corroborante per esplorare un mondo che raramente riusciamo a trovare in altri festival: una danza che, oltre a coinvolgere finalmente molti artisti sul palco, ci spinge verso ambiti raramente esplorati, che – fra tradizione e innovazione – liberano tutte le possibilità e le potenzialità di quest’arte meravigliosa attraverso un caleidoscopio di gesti.

Assai stimolante è stata la prima serata, condivisa con il numeroso pubblico che ha riempito sia la grande sala, sia la più piccola del Teatro comunale per festeggiare i 15 anni della Dance Company del Teatro di Stoccarda, con il suo empatico direttore Erich Gauthier, che ci ha accompagnato, dal palco, nella storia della propria compagnia attraverso molte delle sue passate creazioni, affidate a diversi coreografi e danzatori anche dell’ultima generazione.
In scena abbiamo visto il revival dello storico “Pression” di Mauro Bigonzetti, giocato tra maschile e femminile su diversi ritmi, da Schubert a Lachenmann; travolgente la coreografia di Alejandro Cerrudo “PacoPepePluto”, con i tre mirabolanti danzatori Luca Pannaci, Giovanni Visone e Shawn Wu, che si sono mossi sulle musiche di Dean Martin e Joe Scalissi ricordando, in modo ironico e dissacrante, quei movimenti dei vicini di casa che il coreografo spagnolo osservava dal suo balcone.
Si tratta di coreografie di grande divertimento per il pubblico, che mettono a dura prova gli interpreti, come pure “ABC”, dello stesso Gauthier, un vero e proprio abbecedario sulle possibilità espressive della danza, eseguita alla perfezione da Shori Yamamoto con grande e divertita vitalità.
La medesima cosa avviene poi con la totalità dei danzatori della compagnia tedesca, che per il gran finale si sono misurati in uno dei suoi cavalli di battaglia, “Minus 16”, del coreografo israeliano Ohad Naharin, con quell’inizio folgorante “Echad Mi Yodea” che viene creata sulle note dell’omonimo canto tradizionale ebraico: una potente ed energica danza corale di sette minuti in cui i danzatori, vestiti rigorosamente di nero e col cappello, si muovono come un’onda magnetica, pronunciando anche alcuni versi del canto ebraico. Alla fine si spoglieranno delle loro divise, gettandole sul palco, per un finale da brividi.
Al termine delle varie coreografie che compongono il pezzo, a essere coinvolto è anche il pubblico, attraverso una danza sfrenata, che ricorda come il gesto danzato fa parte della nostra esistenza… basta aver voglia di esternarlo!
La danza proposta da Gauthier ci conquista per le variegate possibilità coreografiche che vengono offerte al pubblico in una forma davvero vitale e al di là di ogni intellettualismo.

La serata è stata punteggiata inoltre da due cortometraggi, “Return” e “Rats”. Assai significativa per noi è stata la visione di “Return”, un vero inno alla danza capace, con la sua forza, di sconfiggere anche la morte.

Al Parco delle Semirurali, nella periferia di Bolzano, il giorno dopo il nostro sguardo si è posato su un altro spettacolo d’eccezione. La compagnia austriaca di danza urbana Hungry Sharks ha presentato infatti “Hidden in Plain Sight” (Nascosto in bella vista) su coreografia del suo direttore artistico Valentin Alfery, liberamente ispirata a “Tango” di Zbigniew Rybczyński.
Il regista cinematografico polacco, classe 1949, ha creato i suoi bellissimi e celebrati cortometraggi incentrandosi sulla reiterazione continua dei gesti e delle situazioni, capaci di offrire sempre nuove suggestioni allo sguardo dello spettatore.
Oltre al suo “Tango”, da cui è tratto lo spettacolo, ricordiamo anche “Image”, sulla canzone di Lennon, e “Steps”, in cui la celebre sequenza della scalinata della Corazzata Potemkin di Eisenstein viene completamente ribaltata dalla presenza di fastidiosi turisti americani.
Già il regista Antonio Viganò si era ispirato a Rybczyński per il suo storico “Le bal”, eseguito dagli artisti dell’Accademia della Diversità di Bolzano. In “Hidden in Plain Sight” la performance verte su un continuo gioco di incastri a ripetizione, in cui ciascun danzatore affida agli altri i suoi particolari movimenti, ogni volta sapientemente rimodulati. Ne viene fuori uno spettacolo in cui il nostro sguardo si muove ora seguendo l’insieme degli otto danzatori, che via via si inseguono sul palco, ora insistendo sulla danza di uno in particolare, che si muove in sincronia perfetta nella ripetizione dei gesti seguendo la musica ossessiva di Patrick Gutensohn.

La serata conclusiva del festival è stata riservata a due coreografie della compagnia croata Rijeka Ballet, la prima dedicata al capolavoro musicale di Claude Debussy “L’Après-midi d’un faune”, nato sui versi simbolisti di Stéphane Mallarmé, la seconda al celebre musicista russo PIotr Illich Čajkovskij.
Il capolavoro musicale di Debussy è entrato nel mito della danza per merito di Vaclav Nizinskij che lo propose, la prima volta nel 1912, per i Ballets Russes di Djagilev. Qui la coreografa croata Maša Kolar, direttrice artistica dal 2017 del Rijeka Ballet, vede il Fauno, interpretato da Nicola Prato, chiuso in una specie di cerchio che solo alla fine riuscirà ad essere ammaliato da una ninfa, Tea Ruši.

Cayetano Soto per il suo Tchaikovksy
Cayetano Soto per il suo Tchaikovksy

Il finale del festival è stato dedicato a Tchaikovsky. Attraverso la sua musica, sulla quale vengono rese pubbliche ad alta voce le confidenze del musicista, racchiuse nelle sue lettere mai rese pubbliche prima del 2009, il coreografo spagnolo Cayetano Soto ha imbastito un curioso pastiche, affidandolo a ventidue bravissimi danzatori del Rijeka Ballet.
I fatti più interessanti della sua vita, dalla morte prematura della madre al suo affidarsi completamente alla musica, sino al “dovuto” matrimonio con Antonina Ivanovna Miljukova per nascondere la propria omosessualità, vengono espressi in una danza manierata, quasi sempre funerea, con un solo momento di spensieratezza in cui i performer, seduti su una fila di poltrone teatrali, mimano in modo scanzonato il pubblico che dovrebbe assistere allo spettacolo.
Nelle intenzioni del coreografo la proposta di un messaggio d’uguaglianza: “Colore della pelle, genere, etnia, religione non devono creare sofferenza e discriminazioni” ha raccontato in un’intervista.

Out of and Into: Plot (ph: Andrea Macchia)
Out of and Into: Plot (ph: Andrea Macchia)

Al Museion della città abbiamo poi visto la performance “Out of and Into: Plot”, concepita dall’artista statunitense Moriah Evans nell’ambito della mostra interdisciplinare “Plot” di Asad Raza, allestita al piano superiore dell’edificio, coperto interamente da 60 tonnellate di neosoil. Il terriccio è costituito da diversi materiali locali e prodotti di scarto fra cui argilla, vinacce, polvere di marmo, fondi di caffè e cenere di forni. La performance unisce e fa dialogare le arti visive con la danza, l’architettura e la scienza, seguendo il percorso della coreografa tra utopia e distopia.
Ecco quindi che qui quattro performer si aggirano nella polvere come zombie, tra movimenti incerti, cadute e improvvise rinascite.

L’appuntamento è ora per la prossima edizione, che si terrà dal 12 al 26 luglio 2024.

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