Un quadrato scenico su cui campeggia un enorme tappeto persiano. Disperse sul perimetro, alcune paia di scarpe. Secchi d’acqua per le abluzioni.
Luci cupe, visi spenti. Una preghiera, un canto corale perfettamente intonato in arabo. Un velo di cellophane, cinque teste. Da un indistinto lattiginoso emergono corpi imbrattati di sangue. Uno zaino-bomba campeggia in alto come feticcio sinistro.
Sono kitsch e un po’ splatter, sostanzialmente prevedibili e didascalici, gli ingredienti scenici di “Prima della bomba”, spettacolo che César Brie, con la drammaturgia di Roberto Scarpetti, dedica al famigerato fenomeno dei foreign fighters. Da «Charlie Hebdo» a Istanbul, da Bruxelles a Berlino, lo stragismo jihadista sta macchiando di sangue l’Occidente. E l’Italia? È solo questione di tempo, vaticinano Scarpetti e Brie: presto o tardi, il jihad colpirà anche il nostro Paese.
Solo ieri è arrivata da Londra la notizia dell’attentato sul ponte di Westminster, nel giorno esatto in cui – un anno prima – accadeva la strage di Bruxelles. Come affrontare, anche a teatro, questa realtà di terrore e follia che, inaspettata, può colpire ovunque e chiunque?
È la seconda volta che Brie, regista argentino, e Scarpetti, scrittore romano, s’incontrano per un progetto teatrale. La prima era stata nel 2013 per “Viva l’Italia”, che raccontava con delicatezza la storia di Fausto e Iaio, giovani del centro sociale Leoncavallo uccisi nel ’78 da estremisti di destra. Sfrondato di ogni eccesso ideologico, senza verità preconfezionate, “Viva l’Italia” scavava nella cronaca e restituiva i tormentati Anni di Piombo.
“Prima della Bomba”, invece, è la storia di un ragazzo italiano convertito all’Islam che decide di compiere un attentato. Tuttavia l’episodio cruciale della strage – che avviene in prossimità della fermata Repubblica della metropolitana, l’unico nome di stazione sotterranea proditoriamente comune sia a Roma sia a Milano – non è il punto nodale della rappresentazione. Scarpetti e Brie, infatti, riavvolgono il nastro in un flashback che ripercorre un anno e fa emergere i cambiamenti e le ragioni alla base della scelta stragista.
E cosa scopriamo? Che uno zaino-bomba è un marchingegno delicato che va preparato con cura; che gli attentatori sono giovani problematici, insoddisfatti, che si lasciano plagiare in virtù della propria ingenuità disarmante; che tutte le religioni sono la risposta malata dell’uomo insipiente ai perché della vita. E poi, ancora, che i jihadisti non combattono per vivere, ma vivono per combattere; che per i convertiti l’Islam non è altro che il ritorno ad Allah, dato che tutti nasciamo musulmani; che le bombe chimiche, i raid e i droni degli americani hanno causato migliaia di morti in Medio Oriente, fomentando rancore e vendetta: la Palestina è la nuova Auschwitz, i palestinesi i nuovi ebrei.
Viva il luogo comune. Per questo genere di prodotti apparentemente colti e impegnati, in realtà banali, gli americani hanno coniato il termine “deepety”.
Il protagonista di “Prima della bomba” è Davide, 22enne italiano che adotta il nome arabo di Ibrahim. Davide ne ha abbastanza di una vita frivola. L’università gli va a rotoli, la fidanzata pure. La vita gli ha tolto Matteo, un amico animato dei più sani ideali, morto eroicamente per difendere una ragazza da uno stupro.
Davide ha una madre mediamente premurosa, un po’ evanescente, ma tant’è. Sprovveduto com’è, il ragazzo si lascia sedurre dall’Islam radicale, in cui s’imbatte per caso navigando in rete, tra una partita alla play-station e una bevuta con gli amici nel weekend.
Che cosa resta degli ideali elevati che condivideva con l’amico Matteo, dei buoni principi acquisiti in famiglia, Scarpetti e Brie non ce lo dicono. In compenso lasciano quasi arguire che Davide ripudi definitivamente il cristianesimo perché ai funerali di Matteo, durante l’omelia, il prete ne storpia ripetutamente il nome in Mattia. Ma è teatro, o è la fiction sbrindellata di una tv commerciale?
Peccato, perché Scarpetti è scrittore solitamente capace di aggirare lo stereotipo e di penetrare verità profonde. E Brie sa come pochi indagare il torbido attraverso la metafora, trasfigurare la violenza della nostra società in simboli poetici.
Di questo spettacolo angosciante, senza catarsi né guizzi creativi, che non pone domande, che rinuncia alla spiritualità e procede per semplificazioni, resta l’ottima prova degli attori. Andrea Bettaglio, Catia Caramia, Marco Rizzo, Massimiliano Donato e Umberto Terruso provano faticosamente a emergere tra i fumi della troppa carne messa al fuoco.
PRIMA DELLA BOMBA Un viaggio nella conversione all’Islam
di Roberto Scarpetti
regia César Brie
con Andrea Bettaglio, Catia Caramia, Massimiliano Donato, Marco Rizzo, Umberto Terruso
produzione: Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Campo Teatrale
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 1’50”
Visto a Milano, Campo Teatrale, il 15 marzo 2017