CA.NI.CI.NI.CA. Greta Tommesani, i pomodori, la lotta, noi

Greta Tommesani (ph: C. Trimboli)
Greta Tommesani (ph: C. Trimboli)

Scoperta durante l’edizione 2022 del progetto under30 Powered by REF, insieme a Federico Cicinelli propone una riflessione politica dello sfruttamento sui luoghi di lavoro attraverso un linguaggio leggero e ironico

C’è un interstizio fra l’idea e la scrittura, una spaccatura. Che sarebbe come dire: tra l’urgenza del condividere una cosa che ci perseguita, e la massa delle parole dentro cui frugare per tirare fuori quelle che servono. Ma ancora oltre, tra il bisogno di affidare ad altri un pezzo di questa sofferenza, la sofferenza intellettuale della conoscenza di qualcosa, della probabile ininfluenza della propria azione di singolo, e la lucidità di volersi astenere dallo scaricare una pura confessione, opinabile, sentimentale.

“CA.NI.CI.NI.CA” di Greta Tommesani, selezionato a Powered by REF l’anno scorso, ora in scena in formato completo dopo due anni e più di lavorazione, è un lavoro che, si direbbe per statuto, per fissazione, per ostinata idiosincrasia, va alla ricerca di quegli interstizi e delle diverse diramazioni che in ciascuno di essi si insinuano, come quelle tenaci radici nelle crepe nei muri, nei marciapiedi; e che poi sradica sé stesso con gesto sconsiderato, non appena senta il rischio di allignare e trovarsi a casa.

Per questo il suo lavoro, portato avanti con Federico Cicinelli, è impossibile da incasellare, giacché alla voce trovata e al fuoco stretto sulla cosa da dire (il tema è quello dello sfruttamento dei lavoratori immigrati nei campi di pomodori, ma anche della pervasività della sperequazione nell’intera filiera produttiva, non solo della salsa di pomodoro), non ci si abbandona mai, né ci si abbandona alla resistenza, né alla motivazione, né all’impulso tangenziale di prenderne le distanze come mero gioco intellettuale.
E se pure per un momento si perde il controllo, il moto successivo è sconsacrare, delegittimare quell’occorrenza come incidente di percorso. Si resiste alla pressione quasi organica dell’urgenza – e si resiste alla resistenza stessa.
La ragione di queste astinenze è precisamente la ragione di questo spettacolo.

Greta Tommesani, leggiamo nelle note di sala, si è laureata in Cooperazione internazionale, e in apertura di spettacolo specifica di averlo fatto con una tesi proprio sul tema suddetto, la filiera del pomodoro in Italia.
La scena è un palco bianco, immacolato, su cui sta lei, in dialogo con Federico Cicinelli, alla sinistra, seduto al tavolo della fonica. Fanno sé stessi e fanno altri; si lanciano e si bloccano; si contraddicono; cambiano identità e modalità comunicativa, parlando col pubblico o proiettando un video, agendo sui controluce come silhouette o nel pieno di un palco slargato, inondato di luce. Il lavoro è dunque soggetto a continui colpi di spugna, ripensamenti sia nel procedere di una delineazione di approccio autoriale e politico, sia nell’avanzare di un contenuto, ora restituito in forma rappresentativa, ora censurato per una legittima ripugnanza morale a farne merce, alla fine ridotto a un solo breve lacerto centrale, un asciutto “spiegone” in cui in due parole si inquadra il problema.
È questa erranza controllata e scivolosa a dimostrare il successo del lavoro, perché corrisponde precisamente con la risultante del suo contenuto calato nel contesto della nostra possibilità di intervento.
Si scriveva poco sopra che la ragione delle resistenze alla confessione autobiografica, al tema inquadrato, alla voce trovata, è precisamente la ragione di questo spettacolo, cioè la consunzione di ogni terreno sul quale possa installarsi oggi una qualunque forma di teatro politico, e poi di azione politica. Quando ogni attività di intervento nella realtà è costretta a fare i conti con la koinè del mercato e della comunicazione commerciale, degradata all’emotività più epidermica o alla trovata para-brechtiana, allora è essa stessa corrotta, essa stessa impossibile: non esiste, insegnano fin dalla scuola, messaggio senza medium, e il supporto spesso caratterizza il messaggio, lo è.

Ma la prospettiva di Tommesani non è cinica né nichilista, non getta le armi, nemmeno quando il suo personaggio sembra farlo. Se l’equilibrio di un lavoro che parla della cosa detta, e insieme di colei che dice, subisce momenti di squilibrio quasi insanabili, come la straziante scena in cui finalmente quel palco candido (eburneo?) è deturpato dalla brutale esplosione di decine di pomodori, dalle loro sanguigne viscere, o come il finale sbagliato, auto-castrante, in cui a scena vuota sentiamo i pomodori spappolati che parlano tra di loro; se dei raccoglitori di pomodori non si parla che di straforo, e se ogni intervento nel reale sembra viziato dal ricorso a mezzi vili, questo svuotamento e questa incapacità di far tornare i conti suggeriscono, a chi abbia voglia di intendere, che l’azione è tutt’altro che impedita. Già, perché i confini di quell’impedimento non corrispondono con l’intero ambito possibile dell’azione umana, anzi essi ci vengono disegnati davanti con coerenza ed evidenza.
La lotta è possibile, ancora possibile e necessaria: ma fuori da quei confini.
Cosa sia, come sia fatto il fuori sta a noi capirlo, frequentarlo, vincendo la paura.
Il teatro fa questo, ci indica una nebulosa prospettiva su cui è nostro compito mettere i piedi.

CA.NI.CI.NI.CA
con Greta Tommesani e Federico Cicinelli
drammaturgia e messa in scena Greta Tommesani e Federico Cicinelli con la collaborazione di Daniele Turconi
cura del movimento Beatrice Pozzi e Angela Piccinni
scene Rosita Vallefuoco
luci Raffella Vitiello
suono Jacopo Ruben Dell’Abate
produzione Cranpi, 369gradi e Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC- Ministero della Cultura
con il sostegno di Carrozzerie | n.o.t, Teatro Biblioteca Quarticciolo
con il supporto di Residenza IDRA e Teatro del Lemming nell’ambito del progetto CURA 2023

durata: 1h 05′
applausi del pubblico: 2’

Visto a Roma, REF, il 26 ottobre 2023

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