Non morí già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ‘l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: “S’apre il cielo; io vado in pace”.
Tratto dal Combattimento di Tancredi e Clorinda (Gerusalemme Liberata, Torquato Tasso)
C’è un’eco quasi di fantasma, che percepisco con la coda dell’occhio. Mentre lo scenario di fronte agli spettatori si anima grazie alle note e alle voci d’apertura di “Altri canti d’Amor, tenero arciero”, eseguite dall’Ensemble Arte Musica diretto da Francesco Cera (che, collocato in alto, in fondo al palco a dominare la scena, ci condurrà nelle composizioni dall’alta poetica di Claudio Monteverdi), davanti, sul proscenio, l’azione prende all’improvviso vita.
Quello che pare un muro/sipario scuro, a delimitare in basso lo spazio, sottraendo allo sguardo ciò che invece si rivelerà dietro di esso con il succedersi di melodie, canti e azioni sceniche, viene attraversato da un bambino biondo, seguito da una bimba altrettanto angelica, dai capelli lunghi e leggeri.
Come se ci si trovasse di fronte a un muro d’acqua scura, una cascata che conduce all’altrove, in un abisso, una notte in attesa di stelle, quelle due presenze la varcano dando la sensazione di fondersi in essa. Camminano a filo di quella parete e prima di entrare capto quel lampo sulla destra, quell’eco a cui rivolgo per un istante la mia attenzione: sembra uno specchio su cui si sdoppia il riflesso di quelle presenze eteree dal chiaro richiamo dolcestilnovistico per la grazia che evocano; come delle fiamme danzano su quella superficie, fantasmagoriche.
C’è il tutto esaurito al Teatro degli Atti di Rimini. Il pubblico, accorso a riempire i posti ridimensionati per l’allestimento suggestivo che si estende fino a lambire la platea, con la scena concepita a livello del pubblico (salvo la posizione elevata di guida emotiva e ideale eletta per l’Ensemble musicale), segue attento questo nuovo “paso doble” tra musica sinfonica e teatro. Una sperimentazione che non è più un azzardo, dato che ormai da tempo, a partire dal 2004 con l’incontro con Richard Strauss di Luca Ronconi e Massimo Popolizio – entrambi in quel caso attori protagonisti -, il direttore artistico Alessandro Taverna ha vinto la scommessa.
Quella di stasera è una conferma a doppio binario per la Sagra Musicale Malatestiana, qui padrone di casa e maestro di cerimonie: quella della collaborazione che ha innescato da tempo con Romaeuropa Festival (dopo questo debutto è arrivato alla Pelanda del MACRO Testaccio a Roma) e dell’incontro con una compagnia, un progetto di ricerca teatrale come quello dei Muta Imago che Claudia Storace e Riccardo Fazi hanno fondato nel 2006, con cui aveva già collaborato nel 2015 per l’“Hyperion” di Bruno Maderna.
Qui l’ulteriore occasione di incontro alchemico è quello del “Libro Ottavo – Canti Guerrieri” di Claudio Monteverdi, che si arricchisce e prende nuovo senso grazie alla presenza di due nomi di peso della nostra danza contemporanea: Annamaria Ajmone e Sara Leghissa. Per il disegno luci il light designer Gianni Staropoli darà forma e sostanza a quel muro oscuro e allo spazio che si aprirà, delineandolo e trasformandolo con riflessi ed esplosioni di effetti sorprendenti.
Nel foyer del teatro un grande e colorato foglio di sala offre degli indizi alternando ai versi utilizzati da Monteverdi per i suoi madrigali (da Ottavio Rinuccini, Giulio Strozzi, Francesco Petrarca, Torquato Tasso) i racconti poetici e dal respiro minimale di Riccardo Fazi, che evocano viaggi nel cuore, nel tempo e nello spazio, il cui legame indissolubile con il rischio della vita è l’Amore.
I giochi e le danze di combattimenti e tormenti, nella regolar tenzone lanciata nel campo di battaglia della passione degli amorosi sensi dei “Canti Guerrieri”, vengono trasfigurati e fusi nella pulsione dell’azione scenica dai Muta Imago, che vedono all’aiuto alla regia anche l’attrice Chiara Caimmi. Nel farlo delineano un ambiente tra l’onirico e il primordiale.
All’azione che si svilupperà sul proscenio, dove per incarnare le danze d’amore di differenti generazioni (due bambini e due adulti) si alterneranno per giocare e ballare, inseguirsi e amarsi Isabella Giuliani, Giulio Segato, Cecilia Torossi, Guntram Wildpanner, dietro a quello che da sipario diventerà velo grazie all’azione delle luci di Staropoli, si rivelerà uno scenario primigenio, che da foresta fluviale si trasformerà in campo di battaglia. E dove compariranno le due divinità, le due entità colorate e guerriere, che idealmente sembrano andare dal Papageno de “Il flauto magico” di Mozart agli dei messicani/latinoamericani, per viaggiare ben oltre.
Incarnate da Annamaria Ajmone e Sara Leghissa, da quella vegetazione, tra l’eco del risveglio della natura, si vestiranno dei loro vessilli guerrieri e arcobaleno, e inizieranno a muoversi nel loro incedere marziale e rituale, esplorando quei luoghi, percependosi, cercandosi, fino a incontrarsi.
Il velo/sipario, schermo ed epidermide narrativa, che avvicinandosi rivelerà il suo essere composto da una miriade di lembi sottili, cambierà colore e umore, sarà attraversato dalla suggestiva e spettrale apparizione di una tigre del Bengala – ideata dalla direzione tecnica e video di Maria Elena Fusacchia -; salirà, come quella natura ancestrale che prenderà la via del cielo, per lasciare sgombro lo scenario dove potranno continuare le danze calibrate e maestose, esplose e ritmate, Ajmone e Leghissa, che dimostreranno una padronanza di corpo, gesto e spazio sorprendenti, in ciò che è nato anche attraverso le conversazioni con un maestro come Michele Di Stefano.
In quel luogo ora spoglio, le divinità guerriere continueranno alternandosi nel loro rito di guerra. Da lontano, in una tensione palpabile, danzeranno fiere, muovendo il proprio piumaggio e le loro lingue colorate; si svestiranno di quei vessilli, fino a che, stremate, sedute l’una accanto all’altra, potranno finalmente concedersi uno sguardo, e la dolcezza dell’incontro, concentrato in un’unica, intensa, carezza di una mano che sembra lenire le fatiche e le pene accumulate. Trasformando quel combattimento nel principio dell’amore.
Del resto, come le note di regia di Claudia Storace e Riccardo Fazi indicano, citando il titolo di un bellissimo film di Jim Jarmusch, “Only lovers left alive” (solo gli amanti sopravvivono).
LIBRO OTTAVO – CANTI GUERRIERI
Ideazione Muta Imago
Regia Claudia Sorace
Drammaturgia Riccardo Fazi
Direzione tecnica, Video Maria Elena Fusacchia
Assistente alla regia Chiara Caimmi
Con Annamaria Ajmone, Sara Leghissa
e la partecipazione di Isabella Giuliani, Giulio Segato, Cecilia Torossi, Guntram Wildpanner Esecuzione musicale Ensemble Arte Musica Direzione, Clavicembalo Francesco Cera Soprano Lucia Franzina Mezzosoprano Maria Chiara Gallo Tenore Riccardo Pisani, Andres Montilla Acurero Basso Walter Testolin Violino Prisca Amori, Gabriele Politi Viola Pietro Meldolesi Violoncello Andrea Lattarulo Tiorba, Chitarra Francesco Tomasi Parti solistiche nel Combattimento di Tancredi e Clorinda: Testo Riccardo Pisani Clorinda Lucia Franzina Tancredi Andres Montilla Acurero Consulenza musicale Alessandro Taverna
Collaborazione alla drammaturgia Ilaria Mancia
Organizzazione Martina Merico
Costumi Fiamma Benvignati
Luci Gianni Staropoli
Conversazioni sull’immaginario Michele Di Stefano
Produzione Sagra Musicale Malatestiana
Residenze Festival di Santarcangelo
Sostegno MiBACT
durata: 1h 21’
applausi: 4’ 05’’
Visto a Rimini, Teatro degli Atti, il 23 settembre 2017
Prima nazionale