La Cara Medea di Tarantino, in fuga dai campi di sterminio

Cara Medea
Cara Medea
Cara Medea (photo: teatridivita.it)

Anche in questa stagione teatrale la drammaturgia di Antonio Tarantino è oggetto di nuove, se non inedite, versioni sceniche: dopo il recente incontro di Michela Blasi e Andrea Facciocchi con “Vespro della beata Vergine”, è la volta di “Cara Medea”, diretto e interpretato da Francesca Ballico.
Nel denso monologo del 2004, edito da Ubulibri nel volume “Gramsci a Turi e altri testi”, una sopravvissuta al campo di sterminio di Sobibor racconta il suo viaggio per l’Europa dell’Est dopo la Seconda guerra mondiale. Un viaggio a tappe forzate, decise da “quelli che vengono giù col camion da Katowic-Rybnik-Woltislaw e proseguono per Bratislava”, per cui tanto vale imparare a memoria il manuale della perfetta prestazione orale.

La tragedia del dramma greco qui si è già compiuta, intrecciandosi a quella della storia recente, in cui le guerre ridisegnano confini e poteri. Il mito, così, affiora inaspettato: Giasone è uno stratega fallito, ridotto a magazziniere del silurificio di Pola; Medea ha ucciso i figli con un’accetta quando erano insieme sfollati a Kirovograd.

Dopo una lettura di Maria Paiato nel 2009, lo spettacolo prodotto da Teatri di Vita è la prima messinscena del testo: Francesca Ballico se ne fa interprete creando una drammaturgia scenica che amplia e interseca la scrittura tarantiniana. Scompone il monologo in altrettante telefonate al vecchio compagno, che esegue spalle al pubblico, mentre il suo volto compare proiettato su un pannello centrale; intreccia le lingue dei paesi che l’ex deportata ha attraversato. La geografia si trasferisce nel parlato: polacco e friulano, croato e albanese, rumeno e russo si alternano all’italiano con marcata pronuncia dell’est, che ben si sposa alla sintassi scomposta del testo originale. Slittamenti linguistici e variazioni emotive di una donna a cui non resta altro che la coscienza della perdita e un tentativo di umana condivisione, turbato da echi di sue simili – voci femminili che interferiscono all’improvviso.

Ballico rappresenta contemporaneamente l’anonima prostituta in abiti succinti e il volto intimo della straniera, che l’inquadratura ci svela poco alla volta, allargandosi sul viso intero. L’emozione si condensa nelle espressioni proiettate sullo schermo, mentre l’attrice in piedi, rigida, si inarca di pochi centimetri per modulare la distanza dalla telecamera. La differenza tra corpo reale e volto parlante in video spiazza, diventa la distanza tra ciò che vediamo e ciò che crediamo di vedere, indicandoci la nostra miopia.

CARA MEDEA
di Antonio Tarantino
diretto e interpretato da Francesca Ballico
produzione: Teatri di Vita
cura scenica: Daniela Cotti, Saverio Peschechera
traduzioni e voci di Ludmila Ryba, Jola Kowalska Durazzano, Matko Amulic, Adriana Anajder, Brunilda Ternova, Valbona Korini, Beatrice Campo, Vasilica Poamaneagra, Elena Souchilina, Anatoli Zaitsev, Elena Moskovkina, Nadia Malverti, Sabine Richter, Project Mondosud, Maurizio Mattarelli e Antonio Dotti.
durata: 40’
applausi del pubblico: 1’ 10’’

Visto a Bologna, Teatri di Vita, il 16 gennaio 2011

0 replies on “La Cara Medea di Tarantino, in fuga dai campi di sterminio”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *