Carlo Cecchi: Pirandello? Lo preferisco in inglese!

Carlo Cecchi è Enrico IV (photo: Matteo Delbo)
Carlo Cecchi è Enrico IV (photo: Matteo Delbo)

Ha fatto tappa anche al teatro Vittorio Emanuele di Messina la tournée dell’“Enrico IV” (Klp lo aveva già recensito), portato in scena da Carlo Cecchi, attore, regista e autore dell’adattamento, per una produzione Marche Teatro. L’incontro con la compagnia, organizzato in collaborazione con l’università di Messina, ha visto protagonisti insieme a Carlo Cecchi anche gli attori Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella, ed è divenuto un’occasione preziosa per ascoltare la voce di uno dei maestri del teatro italiano, sempre capace di innovare e sperimentare.

Cecchi si è soffermato sul suo rapporto con Pirandello, e sulle modalità scelte per la messa in scena di “Enrico IV”, testo del 1921 che l’autore agrigentino scrisse per il “grande attore” Ruggero Ruggeri: modalità legate alla necessità di tradurre teatralmente la parola pirandelliana di uno spettacolo centrato sulla forza monologante del grande attore che Cecchi ha cercato di scardinare.

“Mi era stato chiesto un testo dove ritornavo ad essere protagonista, preferibilmente di Pirandello, di cui ricorreva il 150° anniversario della nascita” racconta Cecchi.
La scelta di “Enrico IV” è per certi versi obbligata, e chiude così un percorso che lo ha visto già cimentarsi con altri due testi dell’autore agrigentino: “In una libreria di un teatro di Londra fui incuriosito da un “Enrico IV” tradotto da un grande drammaturgo contemporaneo, Tom Stoppard. Grazie alla lingua inglese, quella teatrale del mondo occidentale (non per niente hanno avuto Shakespeare), il testo, il cui originale mi suscitava una noia mortale, mi apparse invece più vivace. Allora decisi di fare Enrico IV”.

Per sua stessa ammissione, Cecchi ha un rapporto ambivalente con Pirandello: «Lo considero, come tutti, il più grande autore italiano. Ma anche il più insopportabile. Ho sempre avuto con lui una sorta di conflitto e preferisco il Pirandello precedente ai “Sei personaggi in cerca d’autore”», che Cecchi allestì nel 2001: «Ero già sulla strada di Enrico IV, intervenni soprattutto sul capocomico, che facevo io, un capocomico contemporaneo molto libero rispetto al testo di Pirandello».

Del 1976 è invece l’allestimento de “L’Uomo, la bestia e la virtù”, «uno dei testi più belli, che resi in maniera espressionista. Dopo i “Sei personaggi” viene fuori quella trappola in cui egli stesso è caduto, quel pirandellismo che si esplicita nel conflitto tra realtà e forma, tra la realtà e la finzione. Tutte cose divenute per me intollerabili. Con “Enrico IV” sono andato oltre, facendo un vero e proprio adattamento che testimoniasse del mio rapporto intenso, conflittuale, ansioso, mi è costato molta fatica».

Quali i nodi da sciogliere? Cecchi individua in primis il peso eccessivo delle battute di Enrico IV: «Pirandello scrive per Ruggero Ruggeri, attore abituato a monologare più che a recitare con gli altri personaggi, che quasi sparivano, al servizio del grande attore. Ma io non sono nella tradizione del grande attore, era necessario quindi ridurre la parte di Enrico IV e ritradurre il linguaggio pirandelliano teatralmente. Pirandello, non essendo Shakespeare, che comunque ha bisogno di una grande traduzione altrimenti meglio non farlo, col tempo deve essere interpretato in altro modo, altrimenti affonda».

Un’altra differenza con l’originale risiede nella scaturigine della follia: «Se Pirandello sceglie la commozione celebrale io scelgo la vocazione teatrale» recita Cecchi, e dall’Amleto di Shakespeare arriva l’immagine che rivela la scelta di Enrico IV.
Altro guaio il terzo atto: «Si tratta di una tragedia, ma Pirandello non sa come concludere, allora l’ho affrontato come una sorta di melodramma espressionistico».

Attore, regista, autore dell’adattamento, quali le differenze? «Ho iniziato a fare il regista prestissimo e da regista bado molto agli attori. Lo spettacolo si rivela attraverso le prove, in questo caso sapevo qualcosa in più perché ho lavorato mesi all’adattamento, ma le prove servono a dare vita al rapporto con il personaggio, a trovare la giusta forma a cui ogni attore dà vita in maniera differente e in libertà. Se non si divertono gli attori è difficile che lo faccia il pubblico. Una legge fondamentale del teatro e che accade qui e ora, uno spettacolo non sarà uguale ogni sera, è l’unica cosa che non può andare su internet, può farlo attraverso un video ma che non è lo spettacolo. Il teatro è fatto da persone viventi e da un rapporto tra il pubblico e gli attori, e questo per me è sempre stato il centro di tutto».

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