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Quella grigia quotidianità da antieroi. Carver in scena per Accordino

Per favore niente eroi
Per favore niente eroi
Per favore niente eroi
“Scusate, sono un po’ emozionato, è che ho paura di non ricordare cosa devo dire, sapete, la mia memoria… “, ammette prima di presentarsi: imbarazzato e ancora più impacciato a causa dello strapuntino di legno che lo regge, e che potrebbe essere lo sgabello di una vecchia cucina come di un pub, è contenuto (a malapena) da un cono di luce grigio/verde che, brillando particolarmente sopra la sua testa, lo fa sembrare un “ufo stanco”.

È Raymond Carver, scrittore americano extra-ordinario, riconosciuto straordinario proprio per aver ripulito la letteratura moderna da falsi miti, “sporcandola” con personaggi e storie contemporanee, effettivamente sconsolanti, ma vere. E che lo hanno portato a un indiscusso traguardo, ma solo dopo un percorso editoriale inconsueto, durato 30 anni.
Era l’etichetta dello “star system letterario” a destabilizzarlo: “Oggi è più importante ‘chi’ racconta le storie, l’attenzione va tutta sull’autore, non sui suoi racconti […] Ma in realtà io sono semplicemente un sopravvissuto”.

Quindi, “Per favore niente eroi” è la “preghiera” di Carver, diventata prima titolo del libro “Per favore, non facciamo gli eroi. Saggi, poesie, racconti”, edito da Minimum Fax nel 2002, e oggi del nuovo spettacolo, produzione La Danza Immobile/eThica?, scritto, diretto e interpretato da Corrado Accordino, che ha appena debuttato al Teatro Filodrammatici di Milano e resterà in scena fino al 25 marzo.
 
Una novità per la scena nazionale, che finora aveva solamente “citato” Carver o adattandone i versi (in particolare per forme di recital), o come presenta – sempre in questi giorni – Anna Amadori con un lavoro “dove si uniscono alcune mie passioni: per la lettura pubblica, per Raymond Carver”.

L’operazione drammaturgica di Accordino, invece, ha una maggiore “portata”, paragonabile a quanto Carver è stato trasposto dal cinema (“America oggi” di Robert Altman, “Everything must go”, del 2011, tratto dal racconto “Why don’t you dance?”).  
Lo spettacolo è ispirato a racconti, poesie (anche a quelle meno note), alla critica letteraria e alla biografia dell’autore americano. Insomma, a circa tutto quanto scritto da Carver, e su Carver, che contenga i fondamentali dell’autore, considerato “un punto di riferimento indiscutibile della letteratura americana del Novecento”, essendo lui stesso “cittadino” di quell’America dove le coppie litigano, cercando di tirare a campare, dove i mariti bevono, fumano di nascosto dalle mogli, e le donne si disperano. Un’esistenza condizionata da alcol e lavori umili, dove predominano le frustrazioni, mentre le passioni vengono relegate a piccoli e brevi momenti “fuori casa”, che è la fucina di quelle storie, poesie e racconti da mandare alle riviste, con una trepidazione “frenata”, disillusa. E, ancora, l’avversione per i testi lunghi, l’adesione al genere della ‘short story’ ma senza rifarsi a schemi letterari precedenti e a categorie definite e, soprattutto, poter scrivere senza essere assillato dagli impegni. Avrà pochi anni per vivere questo ideale, disilluso dalla malattia appena cinquantenne.

Tutto ciò viene sintetizzato in questa drammaturgia, che parte dagli esordi di Carver con la scrittura, concomitanti al lavoro come fattorino in una farmacia, e rivive quadro dopo quadro, attraverso le urgenze dell’animo-Carver, mosso tra quelle difficoltà della vita che lo scrittore riesce a rappresentare così semplicemente proprio perché le ha abitate sotto la pelle.
E’ lo stesso esame lucido che dirige questo spettacolo, lineare ed esemplificativo ma anche particolarmente cesellato, con l’attenzione puntata alla “grigia quotidianità” di Carver, ma non senza rinunciare a un indirizzo personale, a una reinterpretazione scenica che soddisfa lo spettatore con picchi improvvisi di poesia, infilzata tra le righe delle modeste storie raccontate.

Nell’estrema sintesi delle scene, che il più delle volte si concentrano su quegli attimi contingenti, ai margini rispetto ai classici “momenti della vita”, lo spettacolo richiama i drammi esistenziali, come il bisogno di essere amati e di una comunicazione sincera nella coppia, ma rimanda la “soluzione del problema”. Non è previsto un finale, così come non si può prevedere quello della vita: l’uomo, la coppia sono un insieme di azioni all’interno di uno spazio. Gli oggetti della casa, come i costumi, non sono né soprammobili né accessori, ma “divise” integrate al disagio interiore dei personaggi.

Unico neo di questa interpretazione (che in quanto neo è una particolarità, e non per forza un’imperfezione) la recitazione di Daniele Ornatelli, stonata rispetto alla naturalezza di Alessia Vicardi, semplicemente attraente in qualsiasi ruolo, ad appannaggio (forse troppo evidente) di Ornatelli che, partito bene, sorprende sempre meno: arriva dalla platea e si siede come lo spettatore ritardatario, gli squilla il telefono, tutti lo guardano imbarazzati (ma sollevati), risponde e gli spettatori (sempre più tranquilli) capiscono e stanno al gioco.
Inizia così il primo dei quadri di questo spettacolo che procede con una narrazione “a puntate”: la scena è divisa in quattro “cabine”, chiuse da veneziane sottili che, in maniera alterna, vengono alzate per mostrare la vicenda in corso. Episodi interpretati dai due attori indossando di volta in volta i panni di una coppia diversa, più o meno allacciati dalla cornice, ma soprattutto uniti dalla provenienza comune: quell’“America grigia” descritta e vissuta da Carver.
Quell’America accompagnata, verso il finale, da un famoso motivetto pop che, tradotto, suona così: “Non voglio essere un idiota americano. Non voglio una nazione così succube dei nuovi media”. Una scelta forse un po’ troppo facile, che distrae dalle belle sensazioni che hanno accompagnato lo spettatore per oltre un’ora.
Per fortuna la poesia torna nel quadro finale, quando le vicende di quegli “eroi” comuni e normali si spengono (senza una soluzione), e sulla scena rimangono illuminati solo i loro resti. Oggetti normali.

Per favore niente eroi
ispirato ai racconti di Raymond Carver
drammaturgia e regia: Corrado Accordino
con: Corrado Accordino, Daniele Ornatelli e Alessia Vicardi
scene e costumi: Mariachiara Vitali
assistente alla regia: Valentina Paiano
produzione: La Danza Immobile / eThica?
durata: 1h 15′
applausi del pubblico: 1′ 52”

Visto a Milano, Teatro Filodrammatici, il 14 marzo 2012

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