Da Castello & Cosentino a lezione di economia (e critica)

Trattato di economia (photo: Ilaria Scarpa)
Trattato di economia (photo: Ilaria Scarpa)

Sulla scena solo un bancone e due oggetti cardine: una papera e un fallo di gomma. Stesso materiale, stessa provenienza, destinazione d’uso differente.
È in questo contesto essenziale che inizia il botta e risposta fra Roberto Castello e Andrea Cosentino, interpreti e coautori di “Trattato di Economia”, spettacolo andato in scena al Teatro della Contraddizione di Milano.
Due passati artistici ben diversi, quelli di Castello e Cosentino, che tuttavia trovano un terreno di dialogo comune interrogandosi sul ruolo del denaro e del suo valore nella società odierna, con rimandi surreali e causticamente critici.

Il “coreocabaret confusionale” (sottotitolo del lavoro) si sviluppa in quadri che appartengono ai diversi generi del teatro: comico, corporeo, gestuale, epico, d’immagine. Uno spettacolo che ambisce a essere dissacrante nei confronti del teatro stesso, citando Jan Fabre, Luca Ronconi, Pina Bausch e William Forsythe, e ci mostra come i grandi maestri avrebbero affrontato il tema “economia” in base alla propria poetica.

Il risultato è un alternarsi di tableau che scatena ilarità e accresce quel senso di apparenza a un pubblico colto e a un teatro impegnato, che da dentro viene spesso criticato.
È una riflessione attualissima, che punge con leggerezza e mette in discussione un sistema governato da cinismo e denaro, utile “per comprare l’esperienza”, come afferma Cosentino dal microfono in proscenio illuminato da luce espressionista, a straniarsi dal resto della scena.

“Trattato di economia” si avvale di un testo meticoloso e pulito che strizza l’occhio al futurismo e al teatro dell’assurdo. Lavora sulla decontrazione del linguaggio che, modificandosi, genera nuovi significati. Dosa sapientemente il linguaggio e i tempi comici.
In sala il riso accompagna indistintamente una per una tutte le scene del lavoro di Castello e Cosentino, che spazia dal teatrodanza a sketch dal format più televisivo, fino al teatro d’immagine.

Fedele al gioco di ironie e rimandi tra l’interno e l’esterno dello spettacolo stesso, è l’epilogo del “Trattato”, che vede apparire un volto proiettato sulla cattedra: è Attilio Scarpellini, critico teatrale che afferma di aver recensito brillantemente lo spettacolo pur senza averlo mai visto, dietro ricompensa in denaro.

Lo sguardo critico di Roberto Castello e Andrea Cosentino si riflette allora sia sul teatro sia sul ruolo della critica. “Trattato di economia” è uno specchio in cui tutti, prima o poi, faremo bene a guardare per ritrovarci più coscienti, forse un po’ scossi, magari più umili, di certo consapevoli e divertiti.

TRATTATO DI ECONOMIA coreocabaret confusionale sulla dimensione economica dell’esistenza
progetto, drammaturgia, regia Roberto Castello e Andrea Cosentino
interpreti Roberto Castello, Andrea Cosentino
assistente Alessandra Moretti
direzione tecnica Luca Telleschi
videopartecipazione straordinaria Attilio Scarpellini
realizzazione oggetti di scena Paolo Morelli
produzione ALDES  in collaborazione con Sardegna Teatro
con il sostegno di MIBACT/Direzione Generale Spettacolo dal vivo, Regione Toscana/Sistema Regionale dello Spettacolo
un ringraziamento a Giorgio Angelo Lazzarini

durata: 1 h
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Teatro della Contraddizione, il 3 novembre 2016

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2 Comments

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  1. says: Emma

    A memoria non ricordo esattamente gli aggettivi che lei ha usato, ma ricordo che quella fu l’impressione che ebbi sul momento. Mi vien da dire l’errore che mi segnala potrebbe essere stato generato dal sovrapporre la mia impressione in modo sintetico a una serie di aggettivi che lei ha utilizzato. Il mio non voleva assolutamente essere un giudizio di valore. La ringrazio per la precisione e l’attenzione. Rettifichiamo.

  2. says: attilio

    a dire il vero mi sono definito in tanti modi in quell’intervento videoregistrato (che ho scritto io) ma poco amato proprio no. Se questo è un giudizio dell’articolista su di me, va benissimo, ma non vedo perché volermelo attribuire. Certo, i critici sono normalmente “poco amati”…
    un saluto
    attilio scarpellini