Caterina Marino: Still Alive, dentro o fuori il dolore

Still Alive (photo: Manuela Giusto)
Still Alive (photo: Manuela Giusto)

Arriva alle Carrozzerie NOT di Roma lo spettacolo segnalazione speciale al Premio Scenario 21

Non c’è altro che il proprio corpo da mostrare, alla fine di tutto, oltre l’antica, vexata quaestio, della verità o della rappresentazione, del realismo come imitazione o traduzione e ricostruzione, dell’autobiografia come ineliminabile ritorno del sé in ogni pagina, sia pure la più astratta, dell’auto-fiction come vertigine di specchi in cui ogni verità e ogni menzogna sono tali solo fino al tornante successivo, dove si ritrovano rovesciate.

Di chi ci sta parlando Caterina Marino quando, sul palco di Carrozzerie NOT (pienissima la platea, nelle due date romane, per il suo “Still Alive”, segnalazione speciale al Premio Scenario 2021), ci racconta della propria impossibilità a vivere? È lei quando il suo corpo, sostenuto in scena dalle attenzioni del complice automa gentile Lorenzo Bruno, autore anche dei video alle loro spalle, chiede al pubblico qualcosa da sgranocchiare, dopo esser sgusciato fuori dalla tana di una trapunta bianca? Quando ci racconta che la spesa intelligente in ipersconto, meta progettata sulla mappa di un volantino pubblicitario del supermercato, le svolta la mattinata? Quando, precipitando in un subitaneo crollo, assume la voce della madre che le rimprovera di non lavarsi, «da quanto tempo non ti cambi le mutande, guarda che si sente!»?
È lei, quando quel corpo si carica di autoindulgenza, quando non riesce neppure a star ritto sul palco, quando fa i saltelli buffi per farci sorridere, quando tira fuori trovate che sanno di disperazione, di extrema ratio, persino di ammiccamento – come la teca in cui gli spettatori nel foyer hanno scritto ciascuno una propria “ragione per vivere”, e che lei legge in scena, con un sorriso troppo calcato di compiacimento?

Perché se Caterina Marino, nel corpo dalla dolcezza pastosa, nella voce morbida, strascinata, con la pigrizia e la naturalezza del sottovoce, se lei è lei, allora ogni contorsione autoindulgente per non toccare l’ustionante superficie del nulla che sta in fondo alla nostra esistenza, e che la depressione rivela, ogni arzigogolo, ogni occhiolino, ogni furbizia, ogni insopportabile leggerezza giocata nel covo dell’orrido abisso, ogni cambio repentino di tono, ogni sparata poetica, ogni luogo comune sono altrettanti scarti della creatura che fugge, della lepre impazzita braccata dal dente del cane: realismo totale in monologo interiore.

Dovremmo in quel caso realizzare che, quando si crogiola nelle stantie evocazioni dei suicidi celebri – Sylvia Plath che infila il capo nella bocca del forno, Pavese che verga le arcinote righe sui pettegolezzi –, mette la sua esperienza “minore” a paragone con quelle morti celebri, si misura con esse, da dietro lo stipite di una porta, tenta di guadagnarsi uno straccio di patente di dignità.
Così quest’ansia di rivolgersi al pubblico, di chiedere l’approvazione o il numero di una pagina da leggere dai diari del poeta di Santo Stefano Belbo significherebbe l’atto dello squarciare, sdrammatizzandolo, quell’involto di incomunicabilità in cui il depresso si arrotola e in cui soffoca (come la trapuntina dell’inizio), senza evidentemente riuscire a sguainarsene veramente, lasciando insomma che si affacci solo un fantasma di sé, o un alluce, mentre la massa greve del dolore ne rimane incapsulata.
Se il dolore è vero, “Still Alive” è allora l’azzoppata cronaca, piena di cautele (cautele che significano: sopravvivenza), di un abisso che non è “sondato”, come dice la nota dello spettacolo, ma adombrato, di cui ci si restituisce con orrore il gesto di voltare il capo per non lasciarsene risucchiare come da un fiume di lava; e insieme il tentativo di rendere sociale non la sofferenza nel suo nucleo, ma il corpo che continua, nonostante tutto, a esistere nel mondo, a voler dimostrare di poterne far parte.

Ma se così non fosse, invece, se la disperazione della perdita del senso e del futuro non fossero che un argomento scelto nel mucchio, affrontato dal di fuori, questo lavoro allora sarebbe un debole tentativo di mettere insieme luoghi comuni già uditi, riassemblati nella forma di una via di mezzo tra un pezzo quasi di narrazione (ma senza il necessario ritmo) e un tentativo alla Eleonora Danco (ma senza la sua urgenza maudit) di mostrare il vuoto che si spalanca tra il soggiorno e la camera da letto, tra la fermata del 19 e la Conad. Senza però che ne emerga il coraggio intellettuale e artistico di azzannare il male sul fondo dell’abisso, di portarlo a riva con la lucidità di chi sa di operare con specchiati strumenti analitici.

Insomma, se lo spettatore si chiedesse se quel corpo che sta in scena sia veramente sottoposto al dolore che cerca di raccontare, se stia disperatamente annaspando per respirare, o se si è semplicemente impegnato in una compilazione di comodo di un centone di temi comuni del disagio di vivere, non sarebbe, questa volta, una domanda oziosa. Niente paura, lo spettatore lo sa: nell’uno e nell’altro caso, la scena è nuda, le parole sono come pezzi di corpo e, al solito, non c’è altro che esso da mostrare, come si diceva: il corpo di un’attrice.

STILL ALIVE
Drammaturgia e regia Caterina Marino
Con Caterina Marino e Lorenzo Bruno
Aiuto regia Marco Fasciana
Video Creator Lorenzo Bruno
Sound Designer Luca Gaudenzi
con il sostegno del Florian Metateatro di Pescara

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Roma, carrozzerie NOT, il 6 maggio 2022

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