Le molteplici storie raccontate dai centralinisti precari di un call center romano sono all’origine della costruzione di uno spettacolo che, per Ascanio Celestini, diventa occasione per parlare d’attualità, messa spesso a confronto con ricordi della Roma degli anni ’70, quella dell’adolescenza dell’autore.
A questo si somma un Celestini che, di tanto in tanto, proclama la propria capacità d’attraversare muri: quasi una dichiarazione del desiderio di modificare una realtà che invece non si riesce a cambiare e, se confrontata alla vita passata, fa solo crescere una gran nostalgia. Ma questa nostalgia non nasce tanto dall’ineluttabilità del tempo che passa, quanto dall’amara comprensione che tutto sta solo cambiando in peggio.
Se una volta, tra le mura del condominio, nei sabati sera si sentivano i soffocati rumori dei tanti che facevano all’amore, ora si percepiscono solo più gli scrosci di sciacquoni o l’acqua del rubinetto che scorre: suoni anonimi, di una vita precaria.
Se una volta chi andava a fare i turni di notte, tornava in pace con se stesso e la mattina si godeva il panorama di una città ancora assonnata, ora, ogni giorno passato al lavoro è solo la tacca di un tragico conto alla rovescia che si concluderà col licenziamento.
Se prima l’ascolto di chi chiamava un operatore telefonico dava, proprio a quello stesso operatore, il piacere di risolvere un problema qualsiasi, ora lo sforzo fisico ed emotivo sono relegati al minimo indispensabile per arrivare alla paga giornaliera.
Di notevole effetto e molto belli i brani musicali, a volte cantati, che punteggiano i racconti sulla precarietà moderna diventando, insieme ai tre musicisti sempre in scena con il protagonista, elemento di forza.
A vantaggio di Celestini c’è la sua capacità di evitare quello che, per i più, sarebbe stato inevitabile: la parolaccia e l’offesa verso un mondo politico ben determinato. A suo svantaggio, l’aver denunciato una situazione che potrebbe non essere schierata politicamente: lo spettacolo, senza enfatizzare un’appartenenza politica, avrebbe forse raccolto una risonanza più ampia.
E se in alcuni episodi non si capisce bene dove l’autore romano voglia andare a parare, il ritorno sul palco con un ‘bis’ fatto d’un lungo elenco di morti per “cause di Stato” (da Calipari ai caduti di Nassirya) pare un metodo fin troppo facile per richiamare l’applauso.
APPUNTI PER UN FILM SULLA LOTTA DI CLASSE
di e con Ascanio Celestini
e i musicisti: Roberto Boarini (violoncello), Gianluca Casadei (fisarmonica), Matteo D’Agostino (chitarra)
musiche: Matteo D’Agostino
suono e luci: Andrea Pesce
durata: 2h
applausi del pubblico: 2’ 10’’
Visto a Reggio Emilia, Teatro Ariosto, il 23 novembre 2008
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