Site icon Krapp’s Last Post

Che danza stai facendo? A Civitanova sulla necessità del gesto

La première italiana di Éloge du puissant royaume (photo: heddymaalem.com)

La première italiana di Éloge du puissant royaume (photo: heddymaalem.com)
La première italiana di Éloge du puissant royaume (photo: heddymaalem.com)

Aria fresca di settembre, ripartono le attività con l’euforia dei nuovi inizi ma per guardare al nuovo bisogna chiudere quanto visto durante l’afa estiva. Ecco allora la nostra seconda puntata (la prima la trovate qui) del “Festival nel festival” che ha concluso ad agosto la XXII edizione della rassegna in nome di Enrico Cecchetti: Civitanova Danza.

Come sempre il programma è stato molto articolato. Primo appuntamento all’Hotel Miramare per il focus che, come è ormai piacevole abitudine, apre la giornata; tema “La formazione del danzatore”, con ospiti protagonisti Frédéric Olivieri, direttore della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala, Paola Vismara, docente della stessa scuola e consulente artistica del progetto formativo “Civitanova Danza per domani”, e Amalia Salzano, presidente Aidaf/Federdanza AGIS.
Percorsi diversi hanno portato i tre relatori ad avvicinarsi al mondo della danza, faticoso e osteggiato quello delle due italiane, più agevole quello di Olivieri grazie alla buona organizzazione dei Conservatori francesi, dove è possibile frequentare a costi accessibili lezioni sia di danza che di musica e canto.

Si entra più nel vivo dell’argomento con la richiesta, da parte del pubblico, di cosa sia più formativo per il danzatore; e fa piacere sentire nelle risposte una grande attenzione all’allievo come persona, quindi alla sua crescita nel rispetto dei propri tempi di apprendimento. Viene ribadita l’importanza del rapporto allievo – formatore, dove quest’ultimo deve “sapersi rapportare con diverse sensibilità nel rigore della disciplina”.
Viene ribadito come i giovani cerchino l’impegno, “ma un impegno che non sia sofferenza”. Tornano alla mente le scene dei tanti film sulla danza, o i racconti di chi ha frequentato Accademie, in cui invece il corpo sofferente, provato fisicamente e psicologicamente, è idealizzato, mito verso cui correre per essere veramente “un danzatore”.

Ma “Cosa è disonesto nel formatore?”. Paola Vismara non ha dubbi: illudere, far credere che ci sia una possibilità dove questa non esiste, mentre perdere la propria autostima e la non sana competizione sono i più grandi pericoli per un giovane danzatore in formazione. Dominano i discorsi i temi dell’onestà e della chiarezza, virtù che dovrebbe informare anche il lavoro che viene svolto nelle scuole di danza e che si può sintetizzare in una domanda cruciale: “Che danza stai facendo?”.

Cruciali sono i luoghi che si dovrebbero configurare come veri e propri centri di cultura, anche per la formazione del pubblico. Amalia Salzano porta un po’ di numeri: nel 2010 sono state stimate, sicuramente in difetto, 17.000 scuole sul territorio nazionale e nel computo non sono state conteggiate le innumerevoli palestre che offrono corsi di danza nei più svariati stili. “Le scuole private colmano il vuoto dello Stato” che ancora, pur avendo parificato a laurea il titolo di studio rilasciato dall’Accademia Nazionale di Danza, non ha approntato modalità per rendere questa possibilità fruibile sul territorio nazionale, restando quella di Roma unica sede. Si è quindi molto lontani da una qualsivoglia regolamentazione che riguardi l’insegnamento della danza o l’apertura di una scuola.
Pensando al grande indotto che circonda questo mondo, il problema culturale che si presenta è preoccupante.

E se durante il focus di Civitanova si parla tanto (troppo) di un’unica realtà, quella della Scuola del Teatro alla Scala, si sente la mancanza di altre voci di discussione, provenienti magari dalla danza contemporanea, settore in cui la formazione è ancor più nebulosa, sia nell’organizzazione che nella metodologia, ma che sicuramente ha il valore aggiunto di una predisposizione diversa, nutrita da esperienze altre rispetto alla tradizione accademica.
Di questa mancanza significativa abbiamo parlato anche con Gilberto Santini, direttore artistico sia di Civitanova Danza che dell’Amat, in una videointervista che Klp vi proporrà prossimamente.

La maratona di spettacoli vede, come primo appuntamento, al Teatro Cecchetti Mara Cassiani e il suo “Justice”.
Una proiezione a tutto schermo della Venere del Botticelli a colori vividi accoglie il pubblico, e lo schermo, con le sue proiezioni, sarà scenografia e luce dell’intero spettacolo; l’autrice ne sarà più o meno illuminata a seconda della porzione di palco in cui si muoverà. Sono due quindi i piani dello spettacolo: il video, che implacabile ci bombarda di immagini in un processo di somma e non di elisione, specchio della nostra realtà in cui siamo immersi di bulimia visiva, e la danza della performer che, attraversando la luce della proiezione, raccoglie su di sé innumerevoli icone, simboli, foto e ritocchi che si assommano sullo schermo.
Il corpo ne è invaso, ma solo a livello visivo; la qualità della danza, di una povertà gestuale su cui interrogarsi, non cambia, non trova altre strade, non diviene significante. E questo aspetto innesca davvero delle domande sulla necessità di un corpo in movimento, sulla ricerca legata al gesto, o semplicemente sul perché muoversi.

Al Teatro Rossini, per il debutto italiano di “Eloge du puissan royaume”, solo i corpi sono importanti, con la loro capacità di essere e raccontare a morsi storie stranite di vite comuni.
Gli interpreti provengono tutti dal krumping, forma di danza nata nella comunità afro-americana di Los Angeles intorno agli anni ’90 come alternativa non violenta alla violenza della strada. E’ una danza che mantiene una forza potente e adrenalinica, veloce ed aggressiva, con straniamenti del corpo e spasimi che aprono spiragli su una disperazione solo intuita.
Heddy Maalem, padre algerino e madre francese, è bravissimo ad incanalare questa forma di danza, che vive principalmente di improvvisazioni nei contest, dentro una drammaturgia teatrale figlia della danza contemporanea, ma senza imbrigliarla, facendola anzi splendere ancor più nel rapporto con una colonna sonora veramente lontana da questo mondo, eppure estremamente pertinente nello svolgimento narrativo. Entriamo anche noi nelle strade, viviamo i rapporti, percepiamo – senza che ci siano raccontati – i vissuti, partecipiamo a un film che non descrive ma rapisce.

Ultimo appuntamento della giornata, “Miniballetto N. 2”, con cui Collettivo Cinetico chiude, così come lo aveva aperto, il festival.
Accattivante quanto basta, ironico, divertente, virtuosistico senza essere presuntuoso, “MiniBalletto n. 2” ci racconta di una giovanissima Francesca Pennini, coreografa già in tenera età, che appuntava su un quaderno le proprie coreografie, corredandole di tutte le notazioni necessarie, comprese quelle interpretative.
Con humor e senza nostalgie appiccicose, Pennini indaga l’ansia del danzatore, misurata in respiri che accellerano o dimininuiscono a seconda del luogo in ci si trova – sul palco, in platea, in braccio a uno spettatore conosciuto, in braccio a uno spettatore sconosciuto -, ma anche in base alla sua preparazione, declinata sulle necessità del corpo, e alla fase creativa in cui esegue lo stesso solo con tre interpretazioni diverse.
Magico il finale: nella nebbia creata dal fumo sparato in scena, la nudità viene spalmata di nero, nuovo vestito per un uccellino pronto a volare.

Exit mobile version