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Cheap Lecture. Da Burrows & Fargion giochi di parole tra musica e sguardi

Burrows & Fargion
Burrows & Fargion
Photo: uovoproject.it

Il fatto di assistere a una performance in lingua inglese mi pone inevitabilmente una questione sulla comprensione: la domanda, banale ma lecita e pragmatica, è “si capirà tutto?”. Tanto più se il titolo è “Chep Lecture”, letteralmente “lezione a basso costo” ma, scegliendo tra i significati più figurati dei termini inglesi, traducibile in “conferenza facile”. Comunque sia, qualcosa che prevede molto parlato.

Gli autori, Jonathan Burrows e Matteo Fargion, per la seconda volta ospiti del festival Uovo Performing Arts Festival 2011 di Milano, ci rassicurano fin dall’inizio: la prima parola che compare proiettata sullo schermo alle loro spalle, e diretta a noi, è “Accepting”, quindi un invito intanto ad accettare, accogliere, ma anche, in quanto pubblico partecipante, acconsentire alla performance.

“We have at least begun” annunciano con una successiva proiezione che presto lascia spazio a una più lunga didascalia sul contenuto dello spettacolo: “Composition is about making…”, e qui riassumono velocemente le linee guida della loro ricerca più attuale che, in sostanza, partita dalla danza, e passando attraverso una danza più parlata, è arrivata fino quasi ad azzerare il movimento del corpo, lasciando maggiore spazio a uno studio sul ritmo e sulla possibilità coreografica delle parole dette, del loro suono.

Ecco perché ci avvisano che “Nothing it happens”. In effetti non c’è alcun movimento, inteso come spostamento spaziale dei corpi, e i due artisti stanno in piedi uno accanto all’altro pressoché fermi; anche la musica non è “agita” dal vivo: si sente un pianoforte, sul palco c’è, ma nessuno lo suona. L’animazione viene tutta dalle parole: sia da quelle che vengono scelte, associate tra loro e “montate” a effetto, sia da come vengono espresse: scritte e proiettate, o pronunciate, rapide o piano, isolate o mischiate e sovrapposte ad altre, sussurrate o enfatizzate… Un esempio: estrarre frasi più o meno brevi da ritornelli famosi, e riproporle in un contesto assolutamente estraneo a quello originale del testo, interpretarle con il parlato, senza cantare, ma con un effetto decisamente comico, imprevisto, e forse anche per questo esilarante.

E proprio lo stesso Matteo Fargion spesso trattiene un sorriso, volontario ma non voluto, divertito per ciò che sta facendo con il suo compagno, che lo segue perfettamente, forse più serioso: così, quasi come a cercare compostezza, e sicuramente concentrazione, Fargion tiene i fogli con una mano mentre l’altra sta ferma in tasca. Davanti a loro ci sono due leggii, un po’ più bassi e anticonvenzionali, con un piano orizzontale e più largo, tengono l’asta del microfono: a metà tra tavolini da bar e tavoli da lavoro, mobili e smontabili, che infatti nel pezzo successivo vanno a incastrarsi sotto il bancone su cui viene messo in scena “The Cow Piece”.

Nel secondo pezzo il metodo non cambia: le parole non sono più proiettate sullo schermo ma continuano a danzare. Il lavoro, che dovrebbe essere una “meditazione sulla mortalità di cui è protagonista una mucca, in scena in forma di modellino”, è un pezzo più giocato rispetto al primo, in tutti i sensi: a cominciare dal fatto che le mucche protagoniste sono proprio dei giocattoli (quegli animali di plastica dura che componevano le fattorie, imbustate, vendute in edicola..). Tutto il pezzo è un ‘divertissment’, prima di tutto degli stessi autori che, nei panni degli interpreti, sembrano due bambini che muovono i loro pupazzi, decidono le parti, associando la voce grave al cattivo e il falsetto alla “mucca buona”, improvvisando strumenti musicali, tra cui le percussione fatte da lattina e bastoncino. E ovviamente, quando il trucco di uno funziona, scatta l’emulazione da parte dell’altro.

Anche così mettono in pratica una modalità di ripetizione e accumulo che sono due elementi caratteristici della loro poetica. Come in “Cheap Lecture”, dove la “danza” è più “intellettualistica”: i giochi di parole, già sottili, diventano ancora più arguti nella combinazione con le frasi, o porzioni di frasi, proiettate. Tra queste, una didascalia su “Lecture on Nothing” di John Cage, a cui “Cheap Lecture” si ispira.
Il valore aggiunto delle performance di Burrows e Fargion, che siano ispirati a John Cage o alla vita delle mucche, non è esattamente l’ironia, ma piuttosto il contributo originale che i due autori danno alla scena teatrale, semplicemente offrendo un’intesa tipica della danza ma qui limitata a un potente scambio di sguardi, tra loro e con il pubblico.

Cheap Lecture – The Cow Piece
di Jonathan Burrows & Matteo Fargion
durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 3”

Visto a Milano, Teatro dell’Arte, il 18 marzo 2011

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