Chiara Frigo ci racconta Ballroom. Abbiamo tutti voglia di ballare

Ballroom (photo: Elisa D'Errico)|Ballroom (photo: Elisa D'Errico)|Ballroom (photo: Giorgio Termini)
Ballroom (photo: Elisa D'Errico)|Ballroom (photo: Elisa D'Errico)|Ballroom (photo: Giorgio Termini)

«C’è bisogno di relazione e di legami collettivi» ha ricordato la regista Laetitia Carton commentando sia il successo del suo ultimo docu-film “Le Grand Bal”, uscito nelle sale lo scorso maggio, sia la gioia che ha travolto gli spettatori in sala a proiezione finita. In più sale cinematografiche infatti il pubblico si è trattenuto oltre la durata dei titoli di coda, improvvisando chi un valzer, chi qualche lento, chi qualche ballo che ancora non ha un nome.
Nel docu-film la regista francese racconta l’esperienza magica e collettiva che circa duemila persone vivono ogni estate a Gennetines, un paesino dell’Alvernia, durante il Grand Bal de l’Europe, un festival di danza popolare dove chiunque, di ogni età, estrazione e provenienza, per un’intera settimana, balla giorno e notte fino allo sfinimento.

Di fronte al radicarsi di un crescente senso di solitudine, e ai pressanti tentativi di divisione sociale, la danza è ancora un efficace antidoto. Il desiderio di contatto e di condivisione reale persiste – nonostante il grande ascendente del virtuale – continuando a muovere e a far rinascere la voglia di danza.
In particolare modo, in questi ultimi anni, si sta assistendo ad una nuova ascesa della danza sociale, e alla formazione di comunità di ballerini di tutte le età, giovanissimi compresi, che sperimentano i balli di coppia di diverso stile. Accanto ai balli più consolidati come il tango, il flamenco e i balli latino americani stanno avendo un grande ritorno anche i balli swing come il boogie woogie, il lindy hop, il balboa, il lindy charleston, il jive.
C’è anche un nuovo modo di vivere questo tipo di danza, le sale da ballo sono ora gli androni di bellissime e antiche ville, giardini privati e parchi pubblici o ancor meglio le piazze, dove prendono piede, specie nel periodo estivo, i boeufs, balli clandestini, improvvisati e senza regole, dove le persone sono animate solo dal desiderio di danzare spensieratamente.
Risale solo a un paio di settimane fa l’iniziativa nazionale #SwingClandestinoDay, che ha fatto tremare contemporaneamente 54 piazze italiane a passi di swing, portando nelle città un’ondata di nuove emozioni.

Non è un caso quindi che questi stili vengano ripresi e rimaneggiati nella drammaturgia della danza contemporanea. Lo abbiamo visto alla Biennale Danza 18, con il ballo swing dal sapore afrodisiaco del terzo quadro di “To come (extended)” della danese Mette Ingvartsen.
Ma si può portare ad esempio anche il toccante ballo a due dei danzatori parkinsoniani del gruppo Dance Well, in “Oro. L’arte di resistere” di Francesca Foscarini, andato in scena la scorsa estate a Bassano del Grappa durante BMotion Danza. Qui era proprio il ballo sociale a rappresentare una forma simbolica di resistenza. O ancora il progetto “Save the last dance for me” su cui sta lavorando il Leone d’Oro di quest’anno, Alessandro Sciarroni, che attraverso la trasmissione di questo progetto tenta di salvare dall’estinzione la polka chinata, una danza popolare dalle origini misteriose, di coppia ma solo per uomini, che si balla solo sotto i portici bolognesi.

Non ultimo in questo filone si inserisce anche “Ballroom”, il bel progetto ideato dalla performer e coreografa Chiara Frigo, che oggi, venerdì 28 giugno alle 21, sarà in scena al festival Scene di Paglia, nello splendido contesto del Casone Ramei di Piove di Sacco, in provincia di Padova.
Vale davvero la pena dire qualche parola in più per chi non conosce ancora Scene di Paglia, il “Festival dei casoni e delle acque”. Già il nome sembra l’eco di una poesia che sarebbe piaciuta ad Andrea Zanzotto, ma la poesia sta ancor più nella programmazione (fino al 7 luglio) curata da Fernando Marchiori, che già da undici edizioni mette in dialogo i diversi linguaggi delle arti sceniche con i luoghi magici e simbolici, ricchi di storia e tradizioni – e purtroppo spesso sconosciuti – che collegano la Saccisica, il Conselvano e la Riviera del Brenta, fino a lambire la laguna.
Dalla musica al teatro di figura, dalla prosa al teatro musicale, dal nouveau cirque quest’anno con l’attesissima Gardi Hutter al teatro danza, con il ritorno come solista di Michela Lucenti di Balletto Civile. Ma c’è grande attesa anche per Corrado D’Elia che al festival porta “Poesia, La vita”, e per il Premio Ubu Gianfranco Berardi con “Amleto take away”, solo per citarne alcuni.

Il titolo voluto per questa edizione, “Strade ritrovate”, riporta a luoghi fisici e della memoria, come spiega il direttore artistico Merchiori: “Sono le strade che restano tracciate sulla terra o sulla pelle come disegni misteriosi, cicatrici del tempo. Dicono il passaggio degli uomini, attraversano le storie, portano all’anima dei luoghi. Sentieri abbandonati, rotte interiori, vecchie strade quasi cancellate nel paesaggio che cambia, nella vita che scorre. Ma capita che, quando meno ci si aspetta, si ritrovino d’improvviso davanti a noi, dentro di noi”.

Ballroom (photo: Elisa D'Errico)
Ballroom (photo: Elisa D’Errico)

La sala da ballo ben si inserisce in questo pensiero come luogo fisico e della memoria che ritorna all’improvviso. Ma in “Ballroom” “gli artisti siamo noi. Noi che non sappiamo ballare”.
«Ballroom è un progetto senza tempo – ci racconta Chiara Frigo, che abbiamo raggiunto al telefono per una chiacchierata – Non è una produzione, uno spettacolo con un calendario e una tournée. Il progetto è nato nel 2013, quando sono stata invitata a fare parte di Acting your age, un progetto europeo che aveva come partner il Centro per la scena contemporanea di Bassano, il nederlandse Dansdagen di Maastricht e la Dance House Lemesos di Cipro. All’epoca stavo lavorando con gruppo di tappers (una compagnia di tip tap, ndr) sul mondo dell’intrattenimento, del musical e del cabaret, su tutto quel tipo di ricerca che è confluita in “West End”. Quando ci invitarono alla festa finale di Acting your age mi dissero che lì da loro non c’era una comunità di tappers, ma se volevo potevo lavorare con un gruppo di persone che fanno balli da sala. Ho detto proviamo! E da lì è nato Ballroom».

“Ballroom” è dunque un cantiere aperto che si rinnova ogni volta perché ogni volta i partecipanti sono diversi. Tra questi ci sono persone completamente a digiuno di danza, che aderiscono perché mosse dalla curiosità, e magari dalla voglia di provare nuove emozioni.
Il tutto inizia con una call: le persone rispondono per partecipare a una settimana di laboratorio attraverso il quale, giorno per giorno, e ballo dopo ballo, prende vita una piccola comunità di danzatori. Alla fine della settimana l’esperienza viene condivisa con gli spettatori, ignari che da lì a poco perderanno questo titolo per diventare anch’essi ballerini della sala da ballo.

«Non sappiamo mai chi saranno i prossimi danzatori della nostra Ballroom. E quello che mi piace di questo progetto è proprio il fatto che mette insieme delle persone che da sole non si sarebbero mai trovate, come il ragazzino di sedici anni con la signora di 70. Le persone vengono, ballano, si divertono e vivono un’esperienza. Alcune di loro, quando arrivano, hanno il timore di non essere abbastanza brave, ma presto si rendono conto che non è così. “Ballroom” è sempre stata un’esperienza, non tanto una performance da esibire e da guardare, ma un’esperienza da vivere che negli anni è andata crescendo e adesso ha trovato una forma più potente e più inclusiva. Tra i partecipanti ci sono sia coloro che non hanno dimestichezza con il ballo, sia quelli che arrivano da scuole di danza o che hanno comunque già delle esperienze alle spalle, e sono proprio quest’ultimi che subiscono uno spostamento, e vengono più spiazzati da questo progetto. La performance ha una struttura molto semplice, e quindi i danzatori vengono messi alla prova non tanto sull’abilità fisica, sul virtuosismo nella composizione dei movimenti, ma quello che più li mette in gioco, che poi per me è l’elemento più bello della performance, è il live, il saper rispondere in modo creativo alle inaspettate reazioni dello spettatore coinvolto. Il danzatore non può sapere cosa succederà durante la performance, perché gli spettatori coinvolti sono sempre diversi. È proprio questo thrilling, questa tensione, l’adrenalina che scaturisce quando ti trovi a gestire una performance che prevedere il coinvolgimento attivo degli spettatori, a spiazzare anche i più preparati. La purezza del performer è molto importante: non gli viene chiesto di recitare una parte, di essere qualcosa che non è; io dico sempre “basta come sei”.»

Del resto, la danza ci pone continuamente di fronte ai nostri timori e desideri, e soprattutto di fronte ai nostri limiti, e ci chiede non solo di accettarli ma anche di cogliere la sfida per superarli.
In “Ballroom”, la sala di ballo si fa e si disfa in una notte, reinventandosi ogni volta a seconda dell’età, della provenienza, del vissuto di coloro che sedendo sulle sedie, o sostando lungo il perimetro della cornice che le luci illuminano a sala da ballo, attendono di ricevere o fare l’invito: vuoi ballare?

Nell’ambientazione di “Ballroom” c’è un dichiarato riferimento al mondo delle balere e al celebre film “Le Bal” (Ballando, Ballando) di Ettore Scola, un affresco sociale che attraversa cinquant’anni di storia e costume. La sala da ballo è un luogo di incontri effimeri, ma ricco di poesia umana. Sguardi, attese, desideri, timori, mani sudaticce, dei sorrisi, qualche abbraccio prima di lasciarsi per passare a un altro ballerino, molti imbarazzi. Un momento di gioia che cancella differenze sociali, di genere, e di età. E poi c’è la musica, viatico di sensazioni palpitanti, che tiene insieme tutto, e amplifica lo spazio della memoria, dei ricordi, dell’intimità e della condivisione.

«Ballroom ha una drammaturgia scritta che prevede un tema, che poi ogni partecipante sviscera e arricchisce attraverso il proprio vissuto. E’ un processo delicato e progressivo che culmina nel ribaltamento finale dei ruoli, dove i performer che per primi si sono messi in gioco si fanno da parte e gli spettatori rimangono i veri protagonisti della sala da ballo. C’è molta cura nei confronti dello spettatore, nessuna aggressione, è un flusso, un ritmo generale modulato perché nell’insieme abbia una progressione, guidato da una playlist di canzoni che ci permettono di passare da una quadro all’altro e di attraversare più tempi dagli anni ’60 fino ad arrivare agli anni 2000».

Ballroom (photo: Giorgio Termini)
Ballroom (photo: Giorgio Termini)

La magia di “Ballroom” sembra quasi voler fermare il tempo per quel senso di happening di danza, musica e gioia che lo anima, o anzi sembra voler andare oltre per le emozioni del corpo che attraversano generazioni e culture.

Dopo Scene di Paglia, il progetto avrà nuova vita durante Operaestate Festival a Bassano del Grappa: questa volta la sala da ballo sarà piazza Garibaldi il 17 luglio, e poi Villa Da Porto a Montorso Vicentino il 30 luglio; e sarà sempre “Ballroom” a chiudere in bellezza Bmotion Danza al Garage Nardini il 25 agosto.

«Dall’inizio a oggi l’evoluzione del progetto è stata molto grande – conclude Chiara Frigo – Un po’ perché, mi viene da dire, il progetto ha vissuto di vita propria, si è adattato e mutato negli anni. La mia stessa percezione è cambiata, è molto più dilatata, lascio che il lavoro abbia dei respiri e una vita più ampi. Se all’inizio, dal punto di vista del cast, era una performance per adolescenti, oggi grazie alle esperienze fatte con “Ballroom” specialmente a Valletta capitale della cultura 2018, alla Corte Ospitale, a Bassano con il gruppo dei Dance Well, il cast è diventato intergenerazionale e interculturale; a Bassano, in particolare modo, abbiamo incontrato persone che arrivano dalle culture più disparate. Questo ha rivelato degli aspetti del progetto che non avevo ancora scoperto. Nel senso che vite diverse, vissuti diversi portano dentro la performance un peso specifico di altra natura. Anche il desiderio di coinvolgere le persone fuori dal rettangolo della performance è diventato più forte, si è affinato negli anni. Incoraggio sempre i performer a pensare che il loro spazio di azione non finisce nel rettangolo ma sia molto più grande, e questo aiuta a far riverberare il lavoro con un raggio più ampio. Un’altra cosa che è cambiata negli anni è proprio il finale, che adesso è strutturato in un vero e proprio Dj set che dura oltre la performance. Perché ho visto che le persone a spettacolo finito non se ne vogliono andare, hanno ancora voglia di continuare a ballare…».

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