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Cinzia Spanò, la moglie. Monologo femminile sulla bomba atomica

Photo: Laila Pozzo

Photo: Laila Pozzo

Una delicata poetica della reticenza attraversa “La moglie”, monologo che Cinzia Spanò dedica a Laura Capon (1907-1977) coniuge di Enrico Fermi.
Un drappo scuro sullo sfondo, come una cappa. Tre sedie in scena, veli di cellophane. Tre storie s’intersecano: quella di una donna nella penombra di una verità rintanata; quella di un mondo sull’orlo di un dirupo; e poi il mito di Amore e Psiche, a conferire alla storia un alone immaginifico, a ribadirne l’essenza attraverso l’allegoria.

Flashback come istantanee in bianco e nero ingiallito. Luci cangianti, remote o diffuse, dosate da Giuliano Almerighi, illuminano le pupille della protagonista, infieriscono sui suoi occhi incavati. È un indistinto di palco e pubblico, tra ilarità e commozione.

C’è il sottofondo vocale visionario dell’artista americana Meredith Monk: sensazioni e turbamenti misteriosi, capaci di rappresentare le trepidazioni di ciò che è eternamente umano. Anche le altre musiche di questo spettacolo (le note espressioniste dei berlinesi Einstürzende Neubauten, le atmosfere eteree dei Pink Floyd) scavano a riesumare gli strati atavici del subconscio, fissando una sorta di atemporalità universale.

In “La moglie” Cinzia Spanò propone al Teatro Elfo Puccini di Milano, con la regia di Rosario Tedesco, una storia di quasi un secolo fa, drammaturgicamente ben scritta.
Silenzi e suoni limpidi. Personaggi lontani ma vividi. Frammenti esistenziali di un’epoca remota. Piccole biografie s’intrecciano con la grande Storia: il fascismo, le leggi razziali (Laura era ebrea), il disegno imperialista dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo, la seconda guerra mondiale, le bombe atomiche sul Giappone.  Ma l’eco delle città distrutte, della Storia in frantumi, qui è sibilo tenue.

Il ritratto di Laura Capon Fermi resta nella memoria. Attraversa, come in una gora, presente e passato. Divaricata tra fasci luminosi, la protagonista ripercorre un amore sovrastato da un destino inesorabile. Con un mix d’ironia, fascinazione e devozione, Laura descrive Enrico: un uomo non privo di abitudini bizzarre, animato da un’inesauribile sete di conoscenza. Ripercorriamo l’innamoramento, il matrimonio, l’assegnazione del Premio Nobel, la decisione dei coniugi Fermi di partire per gli Stati Uniti per non rientrare in un’Italia tetra di totalitarismo e antisemitismo. Ma anche l’America è labirinto di perdizione: Enrico Fermi è coinvolto sempre più direttamente nell’operazione Manhattan per la creazione della bomba atomica. La famiglia è segregata nel remoto villaggio di Los Alamos. L’autocensura regola i rapporti tra i due coniugi circa gli esperimenti nucleari. La verità è sfuggente, come lo zucchero che Laura a un certo punto rovescia dalla teiera sul palco. La vicenda è una sequela di elusioni e ipotesi.
Laura. Che decide di non sapere per sopravvivere. Che come Psiche nella favola di Apuleio, sceglie di non svelare il volto coperto d’oscurità del misterioso amato. E come Psiche, tuttavia, sente progressivamente affiorare il bisogno di verità, che prevale sul nascondimento.

Il monologo è una combinazione allegra e tormentata di frammenti biografici, memorie e pillole di scienza. C’è il divertimento per le stranezze dei fisici e l’ammirazione per le loro realizzazioni. C’è il tormento per quella creatura magnifica e mostruosa che sta per librarsi dalle sabbie di Los Alamos, illuminando il mondo di radiazione sinistra.
Cinzia Spanò dà volto ed emozioni a Laura Capon Fermi. Ne incarna ed esprime forza, intelligenza e benevolenza. Sprigiona il chiuso delle sue elucubrazioni.
Stupisce il turbine di sentimenti che traspare dagli occhi ora spiritati e gioiosi, ora tristi, smarriti, sbigottiti. Più la verità si definisce, più le pupille dell’attrice si dilatano. Il volto cereo si trasfigura sotto bagliori lunari. Gli sguardi sono abbacinati.
Cinzia Spanò è tanti momenti della stessa donna. La sua danza silenziosa è una liturgia di movimenti e gesti. Ogni sentimento, ogni vibrazione emotiva, trasfigura il suo volto. Un monologo, una sola attrice. Non c’è trucco né travestimento. Eppure quest’attrice è irriconoscibile tra una sequenza e l’altra.
Laura: si staglia di fronte a noi una di quelle rare persone che continuano a crescere in statura durante tutta la loro vita. Cinzia Spanò infrange intimità legate al passato. Restituisce, con la resa letteraria degli stati d’animo di Laura, anche l’acume e l’intelligenza di Enrico Fermi, la curiosità e una buona dose della sua goliardia. Assistiamo però, attraverso le parole della donna, al maturare sotto il peso delle responsabilità e della guerra di quell’entusiasmo infantile, sempre più assorto e riflessivo, sempre più dimissionario da gioco e inventiva.

La moglie. Viaggio alla scoperta di un segreto
di e con Cinzia Spanò
regia di Rosario Tedesco
luci Giuliano Almerighi
produzione Teatro Elfo Puccini

durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 2’ 15”

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 7 marzo 2017

 

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