GMGS e TEL x Codice Ivan + Fanny & Alexander = 2 anime in gioco

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GMGS_What the hell is happiness?
GMGS_What the hell is happiness? (photo: b-fies.it)

In un momento di generalizzata difficoltà del sistema cultura in Italia, ci ha confortato partecipare ad alcune serate della rassegna Short Theatre a Roma, seguite per la gran parte da un foltissimo pubblico giovane e comunque partecipe, pronto a confrontarsi con la pluralità dei semi artistici di cui la direzione artistica, affidata a Fabrizio Arcuri, si era fatta carico di operare scelta.

Fra quanto ci ritorna a galla a qualche giorno di distanza, la riflessione più vivace nasce come esito della visione delle ultime proposte di Codice Ivan e Fanny & Alexander.

Per Codice Ivan, raccontiamo in breve a cosa assiste lo spettatore in “GMGS_ What the hell is happiness?”.
Su un palco che si riempie pian piano di tadze-bao portati in scena da Benno Steinegger, viene raccontata una breve storia dell’umanità e dei suoi psico-drammi, dalla mela di Adamo ed Eva fino ai ritrovati farmaceutici più recenti per moderni sismi emotivi formato Ikea. Lo sfondo teorico risiede nella volontà di una riflessione a tratti scanzonata, a tratti con maggiori pretese di serietà sul tema eterno della felicità e dell’infelicità, dell’essere e dell’avere.

L’intonazione generale è ironica, affidata a questi grandi post-it di scena, che fanno da contrappunto alla narrazione che, come alla lavagna, Anna Destefanis sciorina in inglese con la serietà di un documentario della Bbc, ma in una forma che prende presto la strada del nonsense e del paradosso di sistema.
La performer scrive con il gesso sul pavimento e, grazie all’uso di una videocamera, il tutto è proiettato a parete. L’uso dello strumento elettronico è davvero accurato, e la produzione artistica dal vivo, pur nella sua logica elementare, arricchisce lo spettacolo di piccoli ma significativi momenti di ingenuo divertimento.

E’ innegabile che esista una certa “sotterraneità” in questo prodotto, che forse nasce dalla prossimità artistica con il collettivo toscano, come pure innegabile è il passo avanti che la compagnia, sia in termini di compattezza del risultato che di coerenza del linguaggi, è riuscita a compiere rispetto a quel primo “Pink me and the roses” che aveva vinto il Premio Scenario.
Quello che ci resta alla fine, e che poi ci avvia alla riflessione sul secondo evento di F&A, è una genuina esultanza della nostra parte fanciullina, che esce di sala divertita e tutto sommato di buon umore. Esulta meno (e questa sensazione si fa via via più forte all’allontanarsi dalla fruizione) la parte di me in cerca di codici e complessità di ragionamento, che chiameremo parte McLuhan, inizialmente divertita dall’uso artigianale della piccola tecnologia usata, ma che poi deve fare i conti con la poco robusta struttura concettuale di uno spettacolo che non addenta quella preda che, con l’espediente della leggerezza, ha portato sull’altare del “sacrificio scenico”.
Codice Ivan ci porta sorridenti a mettere il coltello alla gola dell’agnello, ma in fondo in fondo non taglia, e col passare dei giorni si ricorda l’esperienza come un graffio in superficie: nulla di caravaggesco avviene davvero.

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Chiara Lagani e Marco Cavalcoli in ‘Tel’ (photo: Enrico Fedrigoli)

E nulla di caravaggesco (ma qui volutamente) avviene anche in “TEL”, nuovo sforzo di Fanny & Alexander sulla via dell’approfondimento intorno al tema dell’eterodirezione scenica, del teatro altrove, della tecnologia che diventa dinamica di un’arte dal contenuto eventualista, in cui la componente randomico-digitale può giocare un ruolo decisivo.

Lo spettacolo si compone in realtà di due spettacoli, uno in cui è in scena Marco Cavalcoli e l’altro in cui è in scena Chiara Lagani.
Noi abbiamo assistito al primo.

Da alcuni spezzoni del libro di Wu Ming 4 “Stella del Mattino”, ispirato alla figura e alle vicende di Lawrence d’Arabia, Fanny&Alexander ricavano a contrario, in una logica quasi di distruzione del processo mitopoietico, uno scheletro drammaturgico che richiama, a lampi, le epifanie di alcuni loro recenti elaborati scenici, come in un continuo fluxus di cui questo tassello è parte.

La compagnia ha questa caratteristica di continuità di dialogo con il proprio pubblico, abituato a un progresso del linguaggio passo dopo passo e anche a rivedere temi ricorrenti, come in un unico romanzo a puntate. Molti degli ultimi progetti che hanno visto protagonista la Lagani, poi, vanno nella direzione di una costruzione dell’evento scenico affidata all’interazione con la multimedialità (si veda la recente collaborazione con Babina, Francesca Mazza etc. di cui abbiamo anche parlato nella primavera scorsa).

Premettiamo, rispetto alla riflessione finale, che non siamo contrari a priori ad un teatro che avvenga in un luogo e in molti altri insieme, grazie all’uso delle nuove tecnologie. E’ una frontiera possibile e che non solo può ma è giusto venga indagata.
Quello che non convince fino in fondo dell’ultima proposta è la considerazione che in realtà con “TEL” non siamo di fronte ad un significativo passo in avanti rispetto a quanto già ottenuto utilizzando come tramite corporeo la grande Francesca Mazza di “West” che, proprio per quella potenza di riverbero, aveva vinto l’Ubu a furor di popolo.

Il gioco disvelato ad inizio spettacolo sull’esser altrove di colei che impartisce gli ordini all’esecutore, con la Lagani che si collega dal Quirino e richiamata all’India in una tela che la ritrae in abiti d’epoca, con la sua voce amplificata di tanto in tanto, ecco, questo gioco disvelato appaga solo a metà l’animo McLuhan, cui è sembrato di aver già visto quasi tutto in “West”, e che non arriva a spiegarsi dove sia il passo successivo rispetto a quell’esito alto.

Anche l’animo fanciullino esce provato: di divertente in senso assoluto, non nel senso della risata ovviamente, non si trova granché e anche qui l’espediente tecnologico di un tavolo, che diventa superficie di produzione sonora attraverso complessi meccanismi di digitalizzazione, finisce per rimanere lì più come gioco che come elemento che contribuisca profondamente, se non in pochi momenti, a creare una superficie spaziotemporale altra nella mente dello spettatore.

L’episodio di “TEL” con Cavalcoli in scena si chiude con una bambina che, con consapevolezza da adulta, gioca alla guerra sul tavolo giocattolo, succedendo nel significato metaforico ad un adulto che ci gioca come un bambino.

La questione che vogliamo lasciare aperta, anche in modo provocatorio, a un eventuale futuro dialogo è: in che direzione, alla luce di questo nuovo esito, si muove la ricerca di Fanny & Alexander e come leggere questo tassello ulteriore?
Certo non sfugge la volontà di decontestualizzazione spaziotemporale insita nella scelta. Ma dalla fruizione più recente verrebbe da osservare che, se la direzione è quella dello sviluppo della dematerializzazione di parte dell’evento, ci ritroviamo con l’ombra di “West”, secondo noi meglio riuscito, che si allunga inesorabile, a coprire come in un’eclissi questa proposta. La lontananza dell’ordinante (nella fattispecie la Lagani in diretta dal Quirino) si rileva come progresso del lavoro di ricerca? Conferisce particolare e nuova efficacia al prodotto artistico?

Incidentalmente e a margine di tutto ciò, fanciullino e McLuhan si sono trovati a riflettere su come, a riguardo della smaterializzazione e dell’eterodirezione, sia stato in fondo un colpo di genio il tormentone della pop dance “Gioca Jouer” inciso da Claudio Cecchetto quasi trent’anni fa, con cui ha fatto ballare milioni di persone. Un brano in cui venivano date istruzioni di movimento da un soggetto smaterializzato dall’atto stesso dell’incisione della sua voce su vinile, e per giunta con un numero di destinatari potenzialmente infinito: paradossalmente una delle tensioni più destrutturate della ricerca di cui si sta parlando, con i dovuti distinguo.

Sotto questo profilo, nella sua tragica teatralità di massa, l’intimamente sadico “Gioca Jouer”, duplicato in migliaia di copie ad uso dei dj di tutta Europa, e con milioni di persone ad eseguire gli ordini (primo grande ballo di gruppo della pop internazionale ma con libertà di movimento sulle tre dimensioni rispetto a quelli moderni più militarmente inquadrati), è un ‘case study’ che può spiegare dal punto di vista sociologico molte questioni sulla standardizzazione del sentimento estetico oggi.

Tornando più strettamente a F&A, se invece la direzione dell’indagine non è la smaterializzazione della realizzazione e il decentramento della fruizione rispetto al luogo fisico teatro, allora dovremmo valutare tutto come un normale lavoro teatrale, rispetto al quale sia McLuhan che fanciullino sono usciti dalla sala, a fine spettacolo, con un punto interrogativo e comunque, ad onor del vero, senza entusiasmo.

Se, terza ipotesi, fosse una via di mezzo fra queste due, sarebbe in ogni caso una via di mezzo, e come tutte le cose a mezzo, tali restano.

Ovviamente c’è anche la quarta possibilità, ossia che questo prodotto artistico non ricada sotto alcuna delle tre precedenti modalità di lettura. Forse è così; ma se così fosse, allora ammettiamo candidamente che né io, né fanciullino né McLuhan l’abbiamo capito.

GMGS_What the hell is happiness?
creazione collettiva: Codice Ivan
scene: Codice Ivan
musica originale: Private Culture
produzione: Codice Ivan
coproduzione: Centrale Fies
in collaborazione con: Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Prospettiva
con il sostegno di: FAF (Firenze), Contemporanea Festival/Teatro Metastasio Stabile della Toscana
residenze creative: Centrale Fies (Dro), Pim Off (Milano), FAF (Firenze), Spazio K Kinkaleri (Prato)
Codice Ivan ringrazia | nEXt Emerson (Firenze), Private Culture, Simona Bonacina
durata: 1h
applausi del pubblico: 2′ 10”

TEL
ideazione: Luigi de Angelis e Chiara Lagani
drammaturgia: Chiara Lagani
regia, spazio scenico, luci: Luigi de Angelis
con: Marco Cavalcoli e Chiara Lagani
musiche: Mirto Baliani
progetto sonoro e sistemi interattivi: Damiano Meacci/Francesco Casciaro (Tempo Reale)
consulenti artistici: Tahar Lamri, Rodolfo Sacchettini
fotografia: Enrico Fedrigoli
progettazione e realizzazione scenotecnica: Nicola Fagnani (Ardis Lab)
realizzazione costumi: Laura Graziani Alta Moda e Laura Dondoli, su un’idea di Loredana Longo*
produzione: Napoli Teatro Festival Italia
in coproduzione con: Ravenna Festival, Fanny & Alexander, Tempo Reale
in collaborazione con il Festival delle Colline Torinesi – Torino Creazione Contemporanea, e Fondazione Teatro Piemonte Europa – Teatro a Corte, Santarcangelo 41 – Festival Internazionale del Teatro in Piazza e Rai Radio 3
durata: 1h
applausi del pubblico: 1′ 23”

Visti a Roma, Short Theatre, il 15 e 16 settembre 2011

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