“Coefore rock&roll” di Enzo Cosimi chiude la 23^ edizione del festival Interplay

Compagnia Abbondanza / Bertoni (ph: Andrea Macchia)
Compagnia Abbondanza / Bertoni (ph: Andrea Macchia)

Da Abbondanza/Bertoni ad Alessandro Sciarroni, EM+, Cassiel Gaube, Chiasma… i diversi linguaggi della danza in dialogo fra loro e col pubblico 

Tra gli spettacoli più attesi del festival Interplay 23 c’è stato l’ormai storico “Le fumatrici di pecora” della pluripremiata Compagnia Abbondanza/Bertoni.
In sala un pubblico folto, eterogeneo, attento, e alla fine commosso. In scena Antonella Bertoni e Patrizia Birolo: Antonella ha conosciuto Patrizia nel corso di un laboratorio con “portatori sani di diversa abilità” (così li chiama Michele Abbondanza, regista del progetto, per distinguerli da noi, “portatori malati della nostra salute”). Tra loro è emersa quasi da subito una particolare consonanza – ci racconta a fine spettacolo Natalia Casorati, direttrice artistica del festival -, ma anche il desiderio in Antonella di costruire qualcosa che potesse mettere insieme l’umore ballerino dell’una con il senso di disorientamento dell’altra.

La performance si sviluppa attraverso una serie di quadri, accadimenti, occasioni, sulla base di un copione-canovaccio aperto a contaminazioni che dipendono dal sentire di entrambe e dello stesso pubblico, con cui il dialogo è apertamente evocato.
Patrizia per prima esplora lo spazio, la segue Antonella, che la sprona a risvegliare il corpo, a scaldare la voce, a chiacchierare del più e del meno. Insieme danzano, scherzano, cantano. Tutto all’insegna della leggerezza, non della superficialità.
La sofferenza è uno dei “fondamentali” del teatro – ricordano entrambe – (e forse della vita), così come la paura della solitudine, dell’abbandono, della morte e il bisogno di abbracci.
Difficile distinguere il Teatro dalla Vita reale, il comico dal tragico, i personaggi dalle persone, il sacro dal profano. Si ride e ci si emoziona, facendo i conti con la fragilità umana. Sul lato del proscenio c’è un tavolino, ha solo tre gambe ma, sfidando le leggi della gravità, sta in piedi. È scalcagnato, lo sono anche le attrici-danzatrici, segnate dagli anni e dalle croci, ciononostante nello specchiarsi l’una nell’altra si vedono come sono veramente: belle.
Le pecorelle, recuperate da chissà quale presepio natalizio, fungono in qualche modo da poetico, bizzarro e straniante conforto al dolore. A queste ricorrono Antonella e Patrizia con piacere, dolcezza, le fumano, le accarezzano, fino addirittura ad adorarle in preghiera.

Serata altrettanto attesa è quella che accoglie l’acclamato “Save the last dance for me”, uno spettacolo che ribadisce la poetica di Alessandro Sciarroni nell’esplorare i confini della danza, questa volta riportando in auge un ballo bolognese altrimenti destinato all’oblio: la polka chinata.
Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini, che entrano in scena mano nella mano e si staccheranno da quel legame solo per brevissimi istanti, ce ne ripropongono una versione vorticosa e travolgente, ancor di più poiché proposta in mezzo al pubblico, seduto nel foyer della Casa del Teatro Ragazzi, spettatori che si trovano in qualche modo a sfiorare gambe che non trovano sosta, ad interagire con le gocce di sudore dei danzatori, con i loro sorrisi complici, in un ritmo trascinante che mischia il popolare rendendolo contemporaneo, complice la musica originale di Aurora Bauzà e Pere Jou.
E quando il “bis” arriva sulle note della musica che invece, per tradizione, ha sempre accompagnato la polka romagnola nelle sale da ballo, rimischiando così le carte in modo lineare e semplice, ma creando un’ulteriore cesura nella performance, ad esplodere è l’ovazione del pubblico.  

Save the last dance for me (ph: Andrea Macchia)
Save the last dance for me (ph: Andrea Macchia)

La serata prosegue poi con “Soirée d’etudes” del coreografo belga Cassiel Gaube, in scena con due danzatrici, tutti e tre in jeans, canotta bianca e scarpe da ginnastica.
I pezzi che ci propongono esplorano le diverse influenze che hanno modificato l’house dance (l’hip hop, la capoeira…). Ma se l’house dance si basa principalmente sulla house music, qui a spiazzarci è il fatto che la musica manchi del tutto.
Pezzi a due, a tre o in assolo si alternano, in una sorta di gioco ad indovinarne le influenze. Tutto è focalizzato sui passi dei danzatori, che si stagliano sul quadrato bianco che riempie il palco, ma alla lunga un po’ ripetitivi, in un alternarsi di presenze che a tratti ricorda un contest fra ragazzi.
La musica i danzatori la ascoltano in auricolare, mentre per il pubblico viene creata dai loro stessi passi. E se nella performance di Sciarroni era un elemento che sottolineava ed enfatizzava la bravura dei protagonisti, creando un coinvolgimento nel pubblico, qui se ne sente un po’ la mancanza, con il rischio che la performance rimanga un esercizio di stile troppo autoreferenziale, di minor impatto emotivo per lo spettatore non particolarmente appassionato al genere.
Così, quando alla fine la musica verrà amplificata anche in sala, sarà salvifica nel ridestare gli animi.

L’8 giugno è la volta di “Wannabe” prodotto da Chiasma, il gruppo di ricerca fondato da Salvo Lombardo, “Alive” della compagnia spagnola di danza contemporanea Lasala e “all you need is” di Emanuele Rosa e Maria Focaraccio.
“Wannabe” è una performance di teatro e musica di e con Fabrizia D’Intino e Federico Scettri, sul palco già prima dell’ingresso del pubblico: lei, a terra, seduta in ginocchio, schiena al pubblico, indossa un costume con ritratto il muso poco rassicurante di una tigre; lui, di lato, è intento alla consolle, poggiata su un tappeto anche questo stile animalier.
Suoni pop ed elettronici iterati, amplificati e intervallati da spezzoni audio estratti da trasmissioni del mainstream televisivo (“E lei quale belva si sente?”, “…La nuova Miss Italia è…”, l’inconfondibile voce di Maria De Filippi), guidano i movimenti della danzatrice, in un crescendo graduale e ossessivo, che inizialmente sembrano animare il volto dell’animale ritratto sulla sua schiena generando piacevole sorpresa e curiosità, ma a poco a poco a poco diventano ridondanti, fastidiosi, persino nauseabondi. Un’idea mercificata e iper-sessualizzata della donna si sovrappone all’immagine della tigre: attrae, seduce e infine stanca e ripugna.

Anche “Alive”, in scena subito dopo all’aperto, affronta il tema dello stereotipo di genere, in particolare quello femminile, e lo fa in modo interessante. Due le danzatrici, Garazi Etxaburu e Paula Montoya, si esibiscono nella suggestiva arena della Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, prima singolarmente poi in coppia. Entrambe sono alla ricerca di un’irraggiungibile perfezione, la inseguono però in modo differente: l’una tenta di adeguare la propria immagine a un modello predefinito, tirando immaginari fili che sembrano sottoporre il suo corpo a una perpetua operazione di lifting, l’altra riproduce quasi compulsivamente faticosissimi virtuosismi di danza classica e contemporanea, alla ricerca continua del superamento del limite.
Insieme, scelgono infine di abbandonare l’inseguimento di uno stereotipo femminile imposto dalla società e da una tradizione ereditata e interiorizzata, attraverso l’interpretazione ironica di un noto brano pop spagnolo, rigettando definitivamente l’idea di essere una “perra” a disposizione altrui.

La serata si conclude con “all you need”. Due uomini e una donna, in intimo, occupano i vertici di un immaginario triangolo. Alternandosi nella composizione della coppia, si avvicinano e abbozzano passi di ballo variamente attinti dalla tradizione. Si annusano, si assaggiano, ma in questo gioco uno dei tre, a turno, rimane inevitabilmente escluso, finché un fortuito incrocio e legame di braccia non consente loro di inventare e sperimentare nuove possibilità di relazione nel ballo, e metaforicamente nella vita, in cui anche il terzo è incluso.
Attraverso evoluzioni, anche molto poetiche, i tre danzatori disegnano possibili e nuove costellazioni, tra le quali spicca la figura di un cuore. Tuttavia, la ricerca esasperata di nuove posizioni sfocia infine nell’evocazione e costruzione di tableaux vivants spiccatamente erotici, meno poetici e più ironici, provocatori.
La performance di EM+ sembra andare oltre l’indagine – non nuova – sulla possibile triangolazione nelle relazioni, intercettando piuttosto l’interesse per il tema della fluidità.

La 23^ edizione di Interplay non avrebbe potuto concludersi se non alla Lavanderia a Vapore di Collegno, casa della danza in Piemonte, che a stento è riuscita a contenere il folto pubblico accorso per i due ultimi spettacoli in programma: “Walter” della giovane coreografa Laura Gazzani e, a seguire, l’attesissimo “Coefore rock&roll” di Enzo Cosimi.
Due spettacoli, due spazi diversi, ricavati dividendo la sala, una volta adibita a lavanderia dell’ex ospedale psichiatrico, in parti simmetriche.
Il foyer ha accolto Nicolò Giorgini e Francesca Rinaldi, interpreti di “Walter”, il cui titolo si deve a una crasi tra il nome del produttore cinematografico Walt Disney e il walzer, la danza dal ritmo ternario continuamente evocata e reinterpretata nel corso della performance.
Giungendo dai lati opposti della sala, i due danzatori sembrano palesare fin da subito l’intenzione di includere il pubblico nel loro spazio, di volerlo coinvolgere direttamente, come in effetti a un certo punto accade, quando alcuni degli spettatori vengono invitati a unirsi al loro passo. La danza si sviluppa per iterazioni, con armonia e leggerezza, come a ritrarre l’incanto del mondo fiabesco.

Coefore rock&roll (ph: Stefano Mattea)
Coefore rock&roll (ph: Stefano Mattea)

Diametralmente opposta l’atmosfera cupa e cacofonica di “Coefore rock&roll”, seconda tappa del progetto “Orestea. Trilogia della vendetta” che il famoso coreografo romano ha avviato nel 2019 con “Glitters in My Tears. Agamennone”.
Sul palco due danzatrici e due danzatori, con indosso copricapo e mantelli da boia, accolgono immobili il pubblico che entra in sala, al suono martellante e inquietante creato in scena da Lady Maru, nota dj e musicista della scena techno sperimentale, anch’essa in abiti da carnefice.
Sui lati del palco cumuli di peluche e coperte colorate. Appesi al soffitto altri due bambolotti. Di infanzia rubata si parla infatti in questo spettacolo, di madri e sorelle virago, di delitti e implacabili vendette, di parti maledetti, di sangue e di latte materno.
Quando l’azione comincia, è subito violenta, a partire dagli sguardi delle interpreti (impressionanti l’energia e l’intensità espressiva di Alice Raffaelli e Roberta Racis). I corpi raccontano ciascuno il proprio personale dramma attraverso la ripetizione di movimenti, che via via si fanno più veementi e lasciano progressivamente traccia di sé nei lividi, negli arrossamenti, nei capelli fradici di sudore. Nessuno alla fine si salverà.
Un raffinatissimo e visionario disegno delle luci (di Gianni Staropoli) accompagna e amplifica i tormenti degli Atridi. La drammaturgia sonora, oltre ai suoni distorti di una chitarra elettrica, si avvale anche di frammenti di testo recitati da una voce fuori campo. Assistiamo ad uno spettacolo complesso, opulento, che dà l’idea di procedere per intuizioni e connessioni, probabilmente ancora in via di espansione. Una performance che meriterebbe senz’altro di essere rivista.

LE FUMATRICI DI PECORE
un progetto di Antonella Bertoni
regia Michele Abbondanza
coreografie, scene e costumi Antonella Bertoni
con Patrizia Birolo e Antonella Bertoni
luci Andrea Gentili
direzione tecnica Claudio Modugno
produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni

Durata: 60′

SAVE THE LAST DANCE FOR ME
di Alessandro Sciarroni
con Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini
collaborazione artistica Giancarlo Stagni
musica originale Aurora Bauzà e Pere Jou (Telemann Rec.)
abiti Ettore Lombardi
direzione tecnica Valeria Foti
tecnico di tournée Cosimo Maggini

Durata: 20′

SOIREE D’ETUDES
di Cassiel Gaube
con Cassiel Gaube, Alesya Dobysh, Anna Benedicte Andresen/Waithera Schreyeck
drammaturgia Liza Baliasnaja, Matteo Fargion, Manon Santkin, Jonas Rutgeerts
suono Marius Pruvot
supporto tecnico e luci Luc Schaltin
produzione Hiros
coproduzione La Ménagerie de Verre, Centre Chorégraphique National de Caen en Normandie dans le cadre de l’Accueil-studio, Kunstencentrum BUDA (Kortrijk), workspacebrussels, wpZimmer, C-TAKT, CCN-Ballet national de Marseille dans le cadre de l’accueil studio / Ministère de la Culture, KAAP, Charleroi danse, La Manufacture CDCN Nouvelle-Aquitaine Bordeaux – La Rochelle, Danse élargie 2020, CND Centre national de la danse, les ballets C de la B dans le cadre de résidence Co-laBo, La Place de la Danse – CDCN Toulouse / Occitanie dans le cadre du dispositif Accueil Studio, CNDC Angers, Le Phare – CCN du Havre Normandie, Le Dancing CDCN Dijon Bourgogne-Franche-Comté
con il supporto di: Flemish Government, Kunstenwerkplaats, Teatro Municipal do Porto, Iaspis The Swedish Arts Grants Committee’s International Programme for Visual Artists, Tanzhaus Zürich, School van Gaasbeek, Le Quartz – Scène nationale de Brest, ONDA

Durata: 45′

WANNABE
Chiasma
di e con: Fabritia D’Intino e Federico Scettri
Coreografia e danza: Fabritia D’Intino
Musica dal vivo: Federico Scettri

Durata: 30’

ALIVE
LASALA (ES)
di Judith Argomaniz
con: Garazi Etxaburu e Paula Montoya

Durata: 20’

all you need is
di Emanuele Rosa e Maria Focaraccio
con: Emanuele Rosa, Maria Focaraccio e Armando Rossi
Luci: Cristina Spelti
Coproduzione: S’ALA e C&C Company

Durata: 30’

WALTER
Di: Laura Gazzani
Con: Nicolò Giorgini e Francesca Rinaldi
Accompagnamento artistico/drammaturgia: Aurelio Di Virgilio
Sound designer: Lorenzo Lucchetti
Costumi: Laura Tipo
Musiche: Pëtr Il’ič Čajkovskij

Durata: 20’

COEFORE ROCK&ROLL
Coreografia: Enzo Cosimi
con: Alice Raffaelli, Francesco Saverio Cavaliere, Luca Della Corte, Roberta Racis
Costumi: Enzo Cosimi
Drammaturgia: Enzo Cosimi, Maria Paola Zedda
Musica live: Lady Maru
Disegno luci: Gianni Staropoli
Tecnico luci: Giulia Belardi

Durata: 60’

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