Quando tra la fine di uno spettacolo e il primo applauso-effetto domino scorre troppo silenzio qualcosa non va: o il pubblico non apprezza o lo spettacolo si è chiuso senza un finale “evidente”. Ma non potrebbe anche essere che lo spettacolo abbia preso talmente da non volerlo vedere finire? Da essere ancora pienamente coinvolti da quanto accadeva fino a pochi istanti prima in scena? Dev’essere andata più o meno così al Teatro i di Milano, in occasione della prima replica di “Col sole in fronte”.
“Ora no!” potrebbe esser stato il pensiero di quanti hanno visto chiudersi lo spettacolo in formato danza-teatro-cabaret firmato Balletto Civile, proprio al termine di uno struggente passo a due mosso da Maurizio Camilli e Ambra Chiarello.
La coppia ha appena interpretato quello che i titoli delle cronache definirebbero “un gesto efferato”, lo stesso che alcune menti reinterpretano, a loro volta, come “un atto filiale”: come se uccidere il padre diventasse un gesto d’affetto. Un sentimentalismo marcio, ma mosso da una logica ineccepibile e persino scientifica: “Esiste una specie animale che vive per accoppiarsi e concepire; una volta generato, il figlio mira ad accoppare il genitore; non appena sarà lui a generare, verrà a sua volta eliminato dal figlio che diventerà padre etc.” sostiene il protagonista.
Maurizio Camilli ha scritto “Col sole in fronte” ispirandosi alla vicenda di Pietro Maso, protagonista di uno dei più noti casi di omicidio a sfondo familiare della cronaca italiana. Aiutato da tre amici, uccise entrambi i genitori con la semplice motivazione di intascare subito la sua parte di eredità, che ha continuato insistentemente a pretendere anche dopo la confessione, durante i mesi che lo hanno portato alla condanna, tra l’indignazione generale dell’opinione pubblica.
Il personaggio ideato e interpretato da Camilli è ugualmente veneto, ricco, superbo e strafottente, eppure “è un rampollo simpatico e violento. E c’è il rischio che alla fine vi piaccia” precisano le note di regia, che contengono anche una frase di David Maria Turoldo, poeta e religioso, a proposito del delitto Maso: “Io mi chiedo se proprio quei figli che noi siamo tentati di definire come mostri non siano invece i figli più logici, più sinceri, più coerenti al sistema di cui noi stessi siamo protagonisti”.
Quello messo in scena da Balletto Civile è un sistema che porta, e supporta, verso una maturità egocentrica, violentemente difesa e super-individualista, ma allo stesso tempo omologata, in questo caso “Armani”, esibita su mutande e maglietta.
Di questa stirpe monomarca il patricida è un esemplare raro, ma c’è, e a dirlo ci sono i fatti.
Balletto Civile mostra il fenomeno come un “esemplare nella norma”, in questo caso veneta, nota per aver fatto i soldi nel passato, e ora dedita a trovare il modo di farne sempre di più e nel minor tempo/sforzo possibile. Il figlio degenere disprezza la sua famiglia e ciò che questa, da generazioni, fabbrica: l’alluminio, materiale caratteristico per essere malleabile e duttile, e per avere un’eccellente resistenza alla corrosione e durata. Non è magnetico, non fa scintille. Insomma, non a caso, il contrario del mostro in tailleur bianco lucido e scarpette di cuoio senza calze: un intollerante e razzista superbo, che comanda e prende, con l’azzardo, senza sforzo, vince e perde. Camilli riesce a farlo anche simpatico, tanto che non ci stupiamo di subire il fascino del ‘mostro’, che ci conquista col fare buffone e accattivante: fa battute, scherza col pubblico, vuole divertirsi e ci risparmia, avvisando che “non sarà uno spettacolo noioso”.
Dopo una prima parte condotta in stile ‘mattatore-comico’, si fanno avanti i passi di danza, a tratti già occasionalmente accennati dai due interpreti: da lui, mentre scherza con noi e quando mima la sua narrazione; da lei, quando appare dalla parete metallica che fa da fondale, e prima di scomparire di nuovo. Riccia, scura, carnosa e imbronciata in uno sguardo grave, Ambra Chiarello si manifesta quasi come fosse la coscienza del ragazzo: entra ed esce, lo segue, lo scruta, lo giudica con lo sguardo, magari lo spaventa, ma non può fermarlo. Non ha il fisico della ballerina, ma è un’interprete piena di leggerezza, e armoniosa soprattutto in coppia con lui. Proprio come quando appare per l’ultima volta, alla fine della seconda parte, e i due sintetizzano la tragedia in danza, senza parole e gesti, solo corpi: quello di lei coperto di rosso contro la pelle nuda di lui che è “assassino di natura”, ma qui pare essere schiacciato da un ultimo rimorso.
Il pezzo si chiude e la platea resta in una sorta di bilico immobile: tra il corpo ancora attaccato alla poltrona nella sua posizione più percettiva, e la mente, a tutta velocità, che si rilucida dopo l’alta marea emozionale.
COL SOLE IN FRONTE
ideazione, drammaturgia e scene: Maurizio Camilli
scrittura fisica e messa in scena: Michela Lucenti
in scena: Maurizio Camilli e Ambra Chiarello
disegno luci: Stefano Mazzanti
tecnicismi: Francesco Traverso
durata: 60′
applausi del pubblico: 1′ 57”
Visto a Milano, Teatro i, il 16 marzo 2011