Ancora festival estivi per questo mese di agosto, caratterizzato dal girovagare di Krapp su e giù per l’Italia. E torniamo allora oggi, per l’ultima volta, alla XVI edizione di Collinarea, festival organizzato da Scenica Frammenti con la collaborazione della Fondazione Pontedera Teatro negli spazi del suggestivo borgo di Lari (PI), ma anche nei comuni di Crespina e Ponsacco.
Nel programma, alcune prime nazionali (come “Ulisse” di Roberto Kitran Romagnoli, “Riccardo III”, co-produzione fra Teatro Minimo e Pontedera Teatro, “Perché non ballate?” di Gabriele Di Luca, con la regia di Anna Stigsgaard, prodotto sempre dalla Fondazione diretta da Roberto Bacci) oltre a numerosi e diversificati appuntamenti teatrali e performativi.
Si è andato, ad esempio, dalla performance musical-artistica “Nontazzardare” de Le Canaglie, alla frizzante commedia “Three Wishes” di Ben Moor, ai risvolti tragicomici di un Amleto cimiteriale con “L’archivio delle anime”, portato in scena dal Centro Teatrale Umbro.
“Nontazzardare” è il risultato dell’incontro tra Ambè 2, duo di illustratori formato da Federico Bassi e Giacomo Trivellini, ed il musicista e teatrante Massimiliano Setti. I tre realizzano la propria performance live con ironia ed energia: una videocamera riprende il lavoro degli artisti, che creano un’illustrazione dapprima misteriosa, poi sempre più definita, accompagnati dalla dj session di musica indietronica composta da Setti.
Arte e suono sembrano protagonisti del divertissement, ma c’è spazio anche per il teatro: gli esecutori infatti indossano, come costumi, tute da operaio e maschere da animali (un gallo, un koala e un coniglio), che verranno poi ritratti su un palcoscenico circondato da quinte nelle vesti di attori tragici, giocolieri, musicisti. Video proiezioni e giochi di parole completano il lavoro, in grado di intrattenere il pubblico con leggerezza e fantasia.
Ugualmente improntato alla leggerezza, all’ironia e al divertimento – ma con una struttura del tutto diversa – è la commedia “Three wishes”, realizzato da Offrome e Bottega Rosenguild.
Prima dello spettacolo viene proiettato un video in cui alcune persone (la maggior parte addette ai mestieri dello spettacolo, ma non solo) elencano i loro tre più importanti desideri: l’atteggiamento autoironico e riflessivo della maggior parte degli intervistati anticipa in qualche modo i toni del lavoro, che si interroga – e ci interroga – su cosa potrebbe accadere se, per un certo periodo di tempo, a ciascun essere umano fosse concessa la possibilità di veder realizzate le proprie tre più grandi aspirazioni.
Ben Moor si serve di questa provocazione “fantascientifica” (responsabile del curioso fenomeno sarebbe una non meglio specificata “nuvola”) per indagare, attraverso un linguaggio comico, surreale, ricco di uno humour (che a tratti ricorda quello di Woody Allen) le dinamiche di relazione di una giovane coppia inglese.
La “nuvola” e le sue conseguenze sono quindi il pretesto per mettere in scena insicurezze, complicazioni e scontri che possono scaturire dalla vita a due: tra dialoghi serrati e monologhi non privi di qualche ombra malinconica, arriviamo al finale aperto, cui si può imputare forse solo un eccesso di “romanticismo”.
Semplice e funzionale lo scarno impianto scenico, basato su pochissimi elementi geometrici scomponibili e su qualche oggetto: tutto costruito con lo stesso materiale trasparente, quasi a voler dare un risalto ancor maggiore agli attori.
È soprattutto a loro, infatti, che si deve l’efficace realizzazione della messa in scena: Mauro Parriniello (anche regista) ed Elisa Benedetta Marinoni (anche traduttrice del testo) dimostrano intesa e affiatamento, spalleggiandosi nelle scene dal ritmo particolarmente sostenuto, ammiccando al pubblico, definendo con precisione e divertito distacco il ritratto di due personaggi stravaganti, surreali, complementari, nei quali forse ognuno può riconoscere, almeno in parte, un po’ del proprio vissuto.
Tutt’altra atmosfera per “L’archivio delle anime. Amleto”, ennesima rivisitazione della tragedia shakespeariana.
Lo spettacolo, creazione di Naira Gonzalez e Massimiliano Donato (anche protagonista), sviluppa fino alle estreme conseguenze il tema della morte: siamo in un cimitero, dove un inquietante e buffo becchino custodisce le ossa – a suo dire – di tutta la famiglia reale di Danimarca. Sua unica compagnia, una specie di carro di burattini, dove trovano posto i personaggi dell’“Amleto”.
Il suo compito è quello di celebrare e far rivivere la tragedia: servendosi in parte dei burattini, in parte di pochi indumenti evocativi, il becchino-custode-mattatore rappresenta a modo suo la celebre vicenda, incarnando di volta in volta i diversi protagonisti, sconvolgendo volutamente l’ordine degli eventi, togliendo, aggiungendo, smontando e rimontando i pezzi del dramma.
Così nel testo si mescolano diversi registri: quello serio e aulico dei monologhi più conosciuti, quello ironico con cui vengono risolte alcune scene (come il dialogo dal terzo atto tra Amleto e Ofelia, rappresentati da una coppia di uccellini cinguettanti), quello comico, dovuto soprattutto all’influenza del becchino, che diventa anche drammaturgo introducendo, ad esempio, il divertente personaggio della nonna di Amleto (il cui intervento, collocato proprio a cornice del famosissimo “Essere o non essere”, contribuisce a stemperarne la tensione e a scongiurare il rischio di cadere in un eccesso di retorica).
“L’archivio delle anime” è un’opera interessante, che si cimenta nell’impresa sempre ardua di riproporre un grande classico: la rilettura che ne offre è consapevolmente “sconclusionata”, a tratti forse ridondante e con alcuni momenti in cui la riflessione metateatrale si fa eccessivamente didascalica, ma la coerenza complessiva è garantita dalla poliedrica e talentuosa interpretazione di Massimiliano Donato. L’attore è al tempo stesso il becchino e ciascuno dei protagonisti della tragedia: ogni personaggio trova la sua identità grazie alle sapienti variazioni del tono di voce, del modo di camminare, della postura del corpo e soprattutto di una mimica facciale mutevole e straordinariamente espressiva (sottolineata da un trucco giocato sul contrasto bianco/nero, inizialmente compatto, poi sempre più disfatto e scomposto).
Perfetta l’interazione con i burattini e la loro animazione (tanto che, nel ricevere i numerosi applausi, anziché porsi al centro della scena, Donato si collocherà a lato del carro di burattini, come a voler sottolineare che sono loro – e la finzione che rappresentano – i veri protagonisti del dramma); efficace il rapporto che instaura con il pubblico, che alla fine viene in qualche modo coinvolto nella bizzarra festa cimiteriale, con il lancio di coriandoli e l’uso di altri effetti “speciali”.
Il pubblico di Collinarea sa accogliere con lo stesso entusiasmo spettacoli così diversi, accomunati dalla cura nella realizzazione e da una buona qualità, tanto che paiono davvero motivate le parole entusiaste del direttore artistico, Loris Seghizzi, a conclusione di quest’edizione: “Possiamo dire con orgoglio e grande soddisfazione che abbiamo creato un progetto realmente partecipato. Una scommessa vinta che ci conferma nella convinzione che è possibile dare vita a un luogo con la forza del teatro, e finalmente ci fa urlare come Frankenstein Junior… si può fare!”.