Dal testo di Wajdi Mouawad, l’anteprima al 28° Festival delle Colline Torinesi
E’ forse vero che, come dice Pirandello, la vita è piena di tali assurdità che non ci sarebbe bisogno del teatro per raccontarle: basterebbe la semplice realtà delle cose a porle in scena. Ma noi insistiamo, vogliamo vederle in teatro queste assurdità, per discuterle insieme, perché pensiamo – forse utopisticamente – che non si debbano più ripetere. Le vogliamo sul palco per cercare di comprenderle in ogni loro sfumatura, soprattutto attraverso le antinomie presenti negli esseri umani, attraverso le loro paure e speranze.
Con grande curiosità quindi, conoscendone il doloroso contesto, abbiamo fortemente voluto essere presenti alla nuova edizione del Festival delle Colline Torinesi, occasione dell’anteprima del nuovo spettacolo della compagnia Il Mulino di Amleto, tratto dal capolavoro del libanese Wajdi Mouawad “Come gli Uccelli / Tous des Oiseaux”, tradotto in italiano da Monica Capuani, che fa anche da dramaturg.
Il testo è quanto mai attuale nello scandagliare la guerra, l’odio tra i popoli, le pretese e le indissolubili identità che ci formano. Eccoci così davanti a uno spettacolo che, indagando nel tempo presente questi temi, ce li pone impietosamente davanti, imbevendosi di domande ed urgenze sociali sempre più necessarie, diventate ancora più tragicamente attuali in relazione agli ultimi efferati accadimenti avvenuti in Israele e a Gaza.
“Come gli Uccelli” racconta la storia d’amore tra Eitan (Federico Palumeri), un giovane ebreo, e Wahida (Lucrezia Forni), una ragazza araba statunitense, nel contesto di una realtà storica che abbiamo sotto i nostri occhi, fatta di conflitti, dolore, odio e attentati.
Ma non è solo un nuovo “Romeo e Giulietta”: lo spettacolo ci racconta molto di più. Indaga infatti in modo profondo, cavalcando spazio e tempo, con la grande e la piccola Storia che si intrecciano fra loro approfondendosi a vicenda, come il destino possa sconvolgere le certezze e i pregiudizi degli uomini, mostrandone d’improvviso le fragilità, che non aiutano a capire in modo certo chi siamo veramente.
Eitan e Wahida si conoscono in una biblioteca a New York, dove la ragazza sta lavorando a una tesi. A dispetto delle rispettive identità, il loro amore fiorisce e cerca di resistere alla tremenda realtà storica in cui i due ragazzi vivono. Ambedue si vogliono recare in Israele, dalla nonna di Eitan, Leah (Irene Ivaldi), per capire quale segreto è nascosto nella vita del padre del ragazzo, profondo odiatore del popolo arabo. Ma il destino rema loro contro: Eitan rimane vittima di un attentato terroristico sul ponte che collega Israele e Giordania, l’Allenby/King Hussein Bridge, e finisce in coma.
Sul letto d’ospedale, in una dimensione sospesa di grande evidenza simbolica, da luoghi diversi e con indole assolutamente diversificata, arrivano a visitare il ragazzo i genitori, David e Norah (Elio D’Alessandro e Rebecca Rossetti) e il nonno Ethgar (Aleksandar Cvjetković), emigrati in Germania, e la nonna rimasta invece a Gerusalemme.
E’ in quel momento che ognuno degli attori del dramma dovrà guardare dentro di sé, a dispetto della propria identità, tra resistenze, odio e concessioni del cuore, combattendo contro gli uccelli che vogliono colpire il cuore e la ragione di ognuno.
Wahida comprenderà di non essere quello che vuole essere; i genitori di Eitan dovranno fare i conti con il loro passato, il nonno sarà costretto a gridare in faccia a tutti una verità troppo a lungo sopita, e la nonna a riabbracciare un nipote creduto perso per sempre.
In mezzo a loro Eitan diventerà grande, avendo la certezza che il mondo intorno a lui è più complesso di quello che pensa.
I tempi e i luoghi del racconto si intrecciano continuamente, in un accavallarsi di avvenimenti che si fanno sempre più incalzanti e colmi di inquieto dolore.
Marco Lorenzi, che oltre alla regia adatta il testo con Lorenzo De Iacovo, sta al gioco a rimpiattino ideato da Mouawad con il destino, ricreando sapientemente un vero e proprio mosaico di emozioni.
Diviso in quattro parti, con lo scorrere enunciato avanti e indietro nel tempo (1967, 1982, 2017) si misura anche con lo spazio: Gerusalemme, New York, Berlino. Il mosaico si ricompone anche attraverso lingue diverse (l’ebraico, l’arabo, il tedesco e l’italiano) e spazi che si mescolano tra loro in continuazione, anche nella stessa scena, per ridonarci ogni possibile riverbero dei personaggi.
La giovanile spensieratezza e gli slanci di affetto di Eitan, tra risentimenti e nuove aspettative; la presa di coscienza di Wahida; la presunta insensibile apatia di Leah; la fredda adesione alla realtà di Norah; la pacata rassegnazione per l’ineluttabilità del destino di Ethgar; lo sdegnato e irrefrenabile stupore di David ci vengono restituiti sul palco in tutta la loro vivida e contrastata verità, una verità che li lascerà in qualche modo, alla fine, completamente soli.
Ma c’è un personaggio, che potremmo definire minore, la soldatessa ebrea Eden (Barbara Mazzi), che ci restituisce la verità intima delle cose: “Non c’è riconciliazione possibile. Troppe terre rubate, bambini uccisi, autobus fatti esplodere, troppi stupri, troppi omicidi. Come dimenticare quello che fanno loro a noi e come dimenticare quello che facciamo noi a loro?! Allora li ignoriamo! E quando bisogna attaccarli li attacchiamo, e quando ci dobbiamo difendere ci difendiamo. Contiamo i nostri morti senza contare i loro, e quando i loro morti sono più numerosi dei nostri cantiamo vittoria ed esultiamo e torniamo in riva al nostro mare e loro in riva al loro! E allora è guerra! Una guerra che durerà ancora mille anni! È una fossa comune, e dobbiamo saltarci dentro perché siamo tutti in lutto per lo stesso sogno perduto, un sogno che non è mai stato pianto”.
Pochissimi e semplici gli elementi scenici (i tavoli della biblioteca, letti d’ospedale, delle valigie, una poltrona) su cui troneggia un simbolico muro, che non solo separa le varie scene ma le crea, dividendo gli spazi, donando luce, suggerendo atmosfere attraverso proiezioni, proponendo date, offrendo didascalie in diverse lingue (il disegno luci è di Umberto Camponeschi, quello sonoro di Massimiliano Bressan).
Tutta la molteplicità degli eventi e delle emozioni è resa nello spettacolo con studiatissima naturalezza in oltre tre ore di spettacolo, a cui partecipano con immediatezza e felice adesione uno stuolo di attori, diventati con il tempo il nucleo portante della compagnia (oltre ai già citati, anche Said Esserairi e Raffaele Musella, che si misura in molte parti).
“Come gli Uccelli”, dopo un lungo cammino di approfondimento – durato due anni – in ogni suo possibile contesto, ci pare l’esito più maturo, nella sua complessa e consapevole realizzazione, della compagnia torinese, testimoniato anche dal successo che al Teatro Astra ha accompagnato l’anteprima.
COME GLI UCCELLI
di Wajdi Mouawad
consulente storico Natalie Zemon Davis
traduzione Monica Capuani
del testo originale Tous les oiseaux
adattamento Lorenzo De Iacovo, Marco Lorenzi
regia Marco Lorenzi
con Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti
assistente alla regia Lorenzo De Iacovo
dramaturg Monica Capuani
scenografia e costumi Gregorio Zurla
disegno luci Umberto Camponeschi
disegno sonoro Massimiliano Bressan
vocal coach e composizioni originali Elio D’Alessandro
esecuzione al pianoforte de La marcia del tempo e Valzer per chi non crede nella magia Gianluca Angelillo
video Full of Beans – Edoardo Palma & Emanuele Forte
consulente lingua ebraica Sarah Kaminski
consulente lingua tedesca Elisabeth Eberl
un progetto di Il Mulino di Amleto
produzione A.M.A. Factory, TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Festival delle Colline Torinesi
con il sostegno di ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 Fondazione Compagnia di San Paolo
immagine di copertina Paolo Arlenghi
Visto a Torino, Teatro Astra, il 10 ottobre 2023
Anteprima nazionale