Commedia con schianto. Liv Ferracchiati tra dramma e citazionismo

Commedia con schianto (photo: Andrea Macchia)
Commedia con schianto (photo: Andrea Macchia)

L’ultimo lavoro di Liv Ferracchiati si presenta subito con le sue caratteristiche strutturali, mette bene in chiaro sin dai primi secondi come si disporrà sulla scena. “Commedia con schianto”, in scena per la sezione Anni Luce di Romaeuropa Festival ci spiega, attraverso un’introduzione per sovratitoli, che sarà suddiviso secondo le partizioni della tragedia greca, ma che di contenuto rassomiglierà piuttosto a una commedia.

Qualche giorno fa il collega Andrea Pocosgnich scriveva, come proprio status di Facebook, quanto fosse esasperato dagli ingressi degli attori in scena con sguardo sperso, in atto di chiedersi dove si trovino. Tale non è l’ingresso di Silvio Impegnoso, pur tra nubi e colori mefistofelici, espressionisti, perché è immediato il suo rivolgersi al pubblico. E tale, in generale, non si finge l’atteggiamento dell’opera di Ferracchiati, anzi, al contrario: “Commedia con schianto” è una trama imbastita interamente sull’allocuzione al pubblico, esplicita o implicita, su un continuo rivolgerglisi e un portarsi all’emersione, tirarsi sul pelo dell’acqua delle strutture.

Il tema del lavoro è il teatro contemporaneo e racconta le ultime settimane del drammaturgo e regista ‘S.’ alle prese con un nuovo lavoro… che non c’è. Egli non sa inventare: la sua opera porta su pagina e su palco momenti vissuti della propria vita. Non semplicemente spizzicando, “rubando”, come dichiara di fare l’attrice e narratrice ‘A.’ (Alice Torriani) sfruttando la più lisa delle citazioni da taschino: egli anzi trascrive quasi letteralmente i propri casi, come se solo questa operazione amanuense ne permettesse il rassodamento in vero reale, in esistenza tangibile, costituendo della vita, in prospettiva esistenziale, un valido sostituto quasi pirandelliano («O si vive, o ci si guarda vivere»).

Ma oggi, i ritmi imposti dal mercato teatrale, sempre più stretti, richiedono febbrilmente “ultimi lavori”, e fanno sì che il cuscinetto d’aria, posto tra esperienza e sua ricollocazione in scena, si vada assottigliando sempre di più, fino ad arrivare al punto di scomparire, di tendere verso un impossibile, insostenibile superamento temporale della finzione sulla realtà, della traduzione sul testo d’origine.

Ed ecco allora che, con rabberciate foglie di fico metodologiche, S. inizia le prove di un testo non ancora scritto, che non sa come andrà a finire perché quel finale non l’ha ancora vissuto – confida sull’improvvisazione, l’ingenuo. E intanto si affanna, cerca di gettarsi in una nuova storia d’amore, in modo da grattare materiale da metter su, raccogliticcio, inseguito dalla scadenza della prima.
Fino a che, inaspettatamente, questo forzare l’esistenza, il cui rischio più immediato avrebbe potuto essere una sua falsificazione, lo porta invece a ritrovarsi ad essere realmente, a mettersi in scena sulla scena vera della vita, e quindi a ritrovarsi senza più la necessità di scrivere. Una catastrofe professionale, una catastrofe umana.

In questo nucleo rovente, che è il luogo dello scontro più cruento tra vita e scena, tra arte e mercato, tra tempo vissuto e tempo ritrovato (niente di meno!), si colloca il testo di Ferracchiati, con una profondità non esattamente lampante, non immediata, che anzi necessita di giorni, di conversazioni, di scontri, di scritture e ripensamenti per dichiararsi in tutta la sua complessità e scuotere.

Tale fuoco di senso, davvero lacerante e urgente, è sospeso in quella struttura a spigoli vivi di cui si diceva, dichiarata ed esplicita, un accumularsi di forme antiche o vecchie che possono sembrare una comoda alzata di spalle formale (a tratti un po’ fastidiosa, captatio benevolentiae offerta a un pubblico semicolto), infarcite di parodistico collasso anche nel tentativo ironico di un teatro nel teatro che si moltiplica su sé stesso, stuzzicando lo spettatore a seguirne il gioco di specchi così come si fa dal barbiere.

Contemporaneamente in scena, S. e A. infatti agiscono e sono interpretati da altri due attori, i quali alludono a loro volta a una messinscena che sarà – e ovviamente il tutto non è altro che opera di un drammaturgo vero, Ferracchiati.
Ma bisogna stare in guardia, è un falso infinito, un falso abisso, non conviene seguirlo, non porta fuori dall’angusta bottega. “Commedia con schianto” non punta a quest’obiettivo: il fuoco è oltre.
E intanto ancora lo spettro delle citazioni si amplia, orizzontalmente e poi anche verticalmente: dall’affastellamento di segni lasciati sul palco come in un’insensibile corsa all’abuso di forme consunte anche nelle loro citazioni, ai nomi dei personaggi in semplici iniziali puntate, che coincidono – guarda caso – con i nomi degli interpreti, agli sfocati riferimenti tematici (per S. parlare con il critico è come «fare la cacca» tra il felliniano “8 e mezzo” e il Moretti che infierisce in “Caro Diario”), alla recitazione distaccata e a tratti insostenibilmente estroflessa, e la catabasi del finale, condita da maschere e citazioni e gracchianti onomatopeiche aristofanee, ecc.

Si diceva che il fuoco è oltre. Bene, è qui, nella polvere alzata da tutto questo già-esistito, aleggiante nel “rumore” formale. E come quei raggi di luce che emergono dopo un crollo, lenta come le cose grandi sono, emerge e ti stramazza addosso la grande crisi. Crisi di contenuto, beninteso, la cui pars instruens formale – perché solo formale può essere – è ancora lungi dal palesarsi. Ma è crisi vera.

Commedia con schianto. Struttura di un fallimento tragico
testo e regia: Liv Ferracchiati
con: Caroline Baglioni, Michele Balducci, Elisa Gabrielli, Silvio Impegnoso, Ludovico Röhl, Alice Torriani
voce Aristofane: Giorgio Crisafi
dramaturg: Greta Cappelletti
assistente alla regia: Anna Zanetti
scene: Lucia Menegazzo
costumi: Laura Dondi
realizzazione maschere: Carlo Dalla Costa
luci: Emiliano Austeri
suono: Giacomo Agnifili
produzione: Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con: The Baby Walk

durata: 1h 15′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Roma, Mattatoio, il 16 ottobre 2019

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