Nel piccolo Teatro Mohole di Milano, luogo di ricerca e studio su tutti i linguaggi della modernità, la compagnia storica che gestisce lo spazio ha presentato “Con pene, ovvio”, commedia dedicata ai nostri tempi, all’amore e alla complessità del vivere.
Due coppie, due uomini e due donne, alle prese con gli ultimi 20 minuti dell’ultima seduta psicanalitica, tentano di riflettere su dove vogliono andare: gli uni tentano di affrontare l’annoso problema dell’insicurezza maschile, le altre sono alle prese con lo studio della loro sessualità, latente a volte ed eccessiva altre, in un continuo gioco di ironia e filosofia.
L’idea è raccontare un nuovo modo di concepire la famiglia, insieme alla ricerca di uno strumento che permetta loro di reinventarsi attraverso la legge (i mai attuati Dico, le organizzazioni dell’amore e quant’altro).
Ma come si fa quando un uomo ha paura dei suoi genitali (che ama ma tenta goffamente di eliminare) e la sua donna non riesce a concepire figli perché impossibilitata ad avere rapporti sessuali “normali”, a causa di una sindrome molto particolare?
La scena è composta da un praticabile e due sedie, accompagnati da una grossa bolla di legno che, all’occorrenza, si smonta, si appende, diventa luogo metaforico e fisico, immagine, oggetto, significato o semplice arredamento. A fronte di una scenografia così intelligente e ben costruita, gli attori (bravi) paiono tuttavia avere qualche difficoltà nella gestione della stessa, impegnati tra una scena e l’altra (tutte costruite a “spot”) a spostare praticabili e sedie, non senza difficoltà e con qualche tempo di troppo.
Quando invece la scenografia viene “usata” in modo non convenzionale, e diventa parte narrante della rappresentazione, l’ironia arriva pungente e immediata, e lo spettacolo varia di colpo, diventando interessante e intrigante. Anche gli spunti della commedia e del testo sono interessanti, sebbene qualche volte si sfiori la retorica, che è di troppo anche quando il tema (comunque difficile da affrontare) viene raccontato con parole e momenti leggermente volgari, e non necessari allo svolgimento drammaturgico. L’impressione è che tutto il lavoro nasca da intuizioni molto corrette e divertenti, delle quali alcune non sono ancora state sviluppate fino in fondo.
Tra gli attori si distingue Rachele Bonifacio, che riesce ad essere grottesca ed eccessiva senza essere descrittiva. E questo non è affatto facile con un testo così naturalistico e quotidiano.
E’ d’obbligo una segnalazione al coraggio dello Spazio Mohole che, in questi tempi di crisi, difende con le unghie e con i denti il suo progetto di unire tra loro linguaggi diversi, dal cinema alla grafica, dal teatro al web, in una continua ricerca di modernità e arte.
CON PENE, OVVIO
produzione: Mohole
drammaturgia e regia: Cosimo Lupo
con: Antonio Casella, Debora Mancini, Ivan Taverniti, Rachele Bonifacio
scenografia: Nicola Lamoglie
costumi: Maria Barbara De Marco
luci: Gianluca Castaldo
durata: 60′
Visto a Milano, Spazio Mohole, il 15 febbraio 2011