Il Pasolini di Condemi e Portoghese: Questo è il tempo in cui attendo la grazia

Questo è il tempo in cui attendo la grazia (photo: Claudia Pajewski)
Questo è il tempo in cui attendo la grazia (photo: Claudia Pajewski)

Molte sono le domande che circolano sul futuro e sul presente dell’arte, domande che spesso ci si pone – che ci poniamo, ora più di prima, in questo teatro ritornato al palco – anche in Italia. Domande vaghe, desideranti, richieste di esperienza, di tempo, di identità, che pur poco definite trovano talvolta risposte chiarissime, risposte con nome e cognome: Fabio Condemi, sembra ripeterci il Teatro di Roma, nella conferma di un lavoro che ha per titolo “Questo è il tempo in cui attendo la grazia” (tratto da un verso della poesia di Pasolini “Le nuvole si sprofondano lucide”). Dopo il masterpiece sadiano “La filosofia nel boudoir“, successo indiscusso, critica entusiasta, visto alla Biennale Teatro della scorsa estate, assistiamo a questo lavoro, in realtà precedente: fino alla voglia di scrivere un canone, un giovane teatro nuovo, tutto italiano.
Leonardo Lidi, Alessandro Businaro, Stefano Fortin e l’ultima conferma del suo “Quasi”, efficacissimo podcast uscito per il Piccolo di Milano, sono alcuni degli altri nomi possibili, in parallelo. Novità vere, finalmente, nel teatro.

Il lavoro di Condemi ha però risposte sue del tutto peculiari; esprime con una decisione non violenta la possibilità di un nuovo classicismo contemporaneo del nostro teatro, una linea possibile che ha i tratti intuitivi e intelligenti di qualche cosa in grado di andare davvero oltre il Novecento, che sa far mostra di non dimenticare mai la tradizione, ma stravolgendola e amandola al contempo, come un lascito fecondo e disperato.

Estetiche sempre impeccabili, sostanza profonda – nucleare e necessaria, si direbbe – nei contenuti, innovazioni formali continue nell’uso dei mezzi espressivi, scelte più che convincenti nelle molte e complesse vicissitudini della messa in scena: niente compromessi, per un pubblico che esce sempre stupito, quasi esterrefatto, con il desiderio di vedere presto quale sarà il suo prossimo lavoro, sperando in progetti sempre più ambiziosi, attendendo perfino – almeno a livello personale – le molte ore a teatro: i nuovi capolavori.

Queste le impressioni – anzi, le conferme – che si ricavano di fronte alla scena di “Questo è il tempo in cui attendo la grazia”, in cui un sempre altissimo Gabriele Portoghese – lui, e il suo assoluto superamento di quella retorica che tanto aggrava la nostra italiana attorialità, la prima scelta perfetta di Condemi – scorre le punte più acute di alcune poesie e sceneggiature di Pier Paolo Pasolini. Attraverso questo materiale, Condemi ne propone una sorta di biografia onirica e poetica.
«Sfogliando una sceneggiatura di Pasolini entriamo immediatamente nella sua officina poetica – raccontano Condemi e Portoghese – Lo sguardo su un mondo (quello contadino e preindustriale) che sta scomparendo, le periferie come luoghi di disperata e ultima ricerca della grazia, le “folgorazioni figurative” per i pittori medievali e manieristi studiati sotto la guida di Roberto Longhi. Questo è il materiale col quale ci vogliamo confrontare: non il suo cinema (cioè il prodotto definitivo delle sceneggiature) ma il suo sguardo sempre lucido e sorprendente. Uno sguardo in continuo movimento, pieno di echi antichissimi e sempre pronto a cogliere attorno a sé autentici momenti di grazia e di vita. Uno sguardo che ci riguarda, sempre».

In scena un grande schermo da proiezione, posto sul fondo; al centro, una sedia, un pallone, il meridiano con le poesie di Pasolini, chiuso, a terra, aperto solo da una lettura tanto breve quanto intensa – anche riuscire così, per Portoghese, in una lettura poetica densa e fitta, piena di senso, è forse uno dei grandi elementi di valore della sua interpretazione – e poi un rettangolo di terra vera, con piante alte, che verranno poi scaraventate altrove, in un momento distruttivo, prima della fine.

Il fiore delle mille e una notte, Edipo Re, Medea, ma pure il mai realizzato San Paolo, progetto per un film. Questi i testi che si alternano alle immagini proiettate, che stupiscono per la poeticità così umile, ma non in senso pauperistico, piuttosto in senso bambino, da camera a spalla, con quei movimenti di poco traballanti che danno il senso di una nuova umanità che osserva ciò che è e che è stato, che aspetta ciò che sarà guardando fisso l’obiettivo.

Non manca poi la possibilità di percepire materialmente la alta natura del suo gusto, con qualche tocco di quel compiacimento che sente come il nostro contemporaneo possa davvero essere un nuovo tempo: si filmano allora, e si proiettano, i colori del Pontormo stampati sulla bella carta di un libro, o altri quadri connessi in qualche modo ai testi letti, in grado di rendere il senso di un nuovo modo, analogico e colto, di guardare al prodotto artistico.

Un classicismo analogico, che sa trovare nuove corrispondenze, per la creazione di un innovativo, e più che solido, immaginario visivo e concettuale.

Un lavoro del quale ci stupisce tutto, e in assoluto il finale, l’unico momento propriamente cinematografico, in cui un ormai obsoleto proiettore ci mostra una scena illuminando con i propri colori in movimento lo spazio breve e contratto della camicia bianca che occupa il petto di Portoghese; e quando arriva impressa la parola ‘fine’ si sente che è davvero questo il corpo del nuovo teatro.

Questo è il tempo in cui attendo la grazia
da Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Fabio Condemi, Gabriele Portoghese
regia Fabio Condemi
con Gabriele Portoghese
drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich
filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi
foto di Fabio Cherstich

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 45”

Visto a Roma, Teatro India, il 23 maggio 2021

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