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La mia poetica. A Roma parole in vita con i drammaturghi di compagnia

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La mia poetica

“Bisognerebbe allargare l’accezione della parola drammaturgo di compagnia, pensando non solo al testo in senso stretto. Si possono considerare testo tutti gli elementi della scena”. Questa frase di Chiara Lagani, della storica compagnia Fanny & Alexander, è forse l’emblema e il sunto concettuale dell’incontro tenutosi lo scorso 6 aprile all’Indiateca (negli spazi del Teatro India) a Roma, terzo e ultimo capitolo del convegno “La mia poetica. Sulla drammaturgia italiana contemporanea”, momento di riflessione e di indagine sul ruolo della drammaturgia italiana degli ultimi quindici anni.

Una tre giorni articolata secondo tematiche specifiche: ‘Con il corpo, senza corpo’, ‘Lingue d’Italia’, ‘Narratori’, ‘Drammaturghi’, ‘Drammaturghi di compagnia’. Al termine del convegno si avvicendano, fino al 13 aprile presso il Teatroinscatola, interventi e performance di autori italiani delle sezioni under 35 e under 25. Il progetto si inserisce all’interno della rassegna “Sentieri d’Ascolto 2011”, realizzata dalla Regione Lazio Assessorato Cultura, Arte e Sport e dall’Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio.

Curatore degli incontri con i drammaturghi è Franco Cordelli, mentre critico testimone della giornata è Laura Novelli. Drammaturghi ospiti: Enrico Castellani di Babilonia Teatri, Riccardo Fazi di Muta Imago, la citata Chiara Lagani di Fanny & Alexander, Daniela Nicolò di Motus e Giampiero Rappa di Gloriababbi Teatro. Un avvicendarsi di voci e di testimonianze vive che hanno esposto i loro percorsi artistici e di vita attorno ad un grande interrogativo: che cos’è la drammaturgia contemporanea e che ruolo ha nel teatro odierno?

A questa domanda non si è cercato di rispondere, semmai di aprire varchi di lettura e confronto. Si sono spalancate le porte direttamente nel nettare della questione scardinando ogni preconcetto. Quello che emerge è che la drammaturgia non può più essere considerata una prerogativa solo della parola. I drammaturghi di compagnia ne sono consapevoli da anni, così il pubblico attento. Il testo, la parola appunto, è solo uno degli elementi drammaturgici che compongono quel variegato quadro che è la scena, lo spettacolo. Ogni elemento risulta essere dialogante con gli altri, intrecciato e profondamente legato ad essi, abbandonando ogni posizione gerarchica tutta occidentale che per decenni, secoli, ha visto il Verbo al centro di tutto.
Lo afferma con chiarezza ed entusiasmo sconcertanti la drammaturga Lagani: “Tutto nasce dal lavoro con l’attore, dall’osservazione dell’attore. Nello spettacolo ‘West’ è stato vitale lo scambio con l’attrice in scena”. Si parla quindi della cosiddetta scrittura scenica, che potrebbe suonare affatto innovativa per alcuni, coloro che vivono il teatro di ricerca dagli anni ’70, ma ancora molto sconcertante per molti, a quanto pare. Lo stesso Cordelli afferma che fino a poco tempo fa egli stesso considerava, in parte forse lo fa ancora oggi, il teatro come l’arte del regista, di cui l’attore ne è strumento privilegiato: “Il teatro è per me la regia”.

La chiave risiede appunto sul significato della parola drammaturgia. Se si considerasse ogni elemento scenico un pezzo del mosaico della scrittura che lo comprende, il concetto stesso di drammaturgia assumerebbe la valenza ampia di contenitore logicamente ed esteticamente modulato. Gli attori, composti a loro volta da voce, corpo, emozioni e immagini interiori; le luci e le ombre, le musiche, i suoni e i rumori, sia dal vivo che registrati o amplificati; gli elementi digitali e le scenografie; il testo e la parola: se ognuno di essi avesse un valore non solo specifico ma relativo all’insieme, questo insieme si chiamerebbe drammaturgia. Partendo da questo presupposto convergono tutti gli altri interventi.

Il giovane Riccardo Fazi di Muta Imago ricorda che “tutti gli elementi del lavoro procedono di pari passo” e questo avviene in un tempo “privilegiato”, quello del lavoro in sala. La nuova figura del drammaturgo è determinata dunque dal fare, oltre che dallo scrivere. Il drammaturgo di compagnia è parte integrante del gruppo, un ingranaggio del meccanismo creativo con ruoli non sempre inerenti alla scrittura. “Negli ultimi mesi non ho fatto che costruire muri, so tutto ciò che riguarda il gesso, potrà essermi utile!” scherza Fazi. In questa battuta risiede lo scarto in avanti, la vera e propria crescita di una figura professionale per troppo tempo relegata davanti ad un foglio bianco. Il suo foglio ora è la scena. La sua penna sono anche gli attori, i suoni, i movimenti, lo spazio.
“Io ragiono in termini di drammaturgia sonora – continua Fazi – mi occupo io delle musiche e dei suoni degli spettacoli, e tutto si risolve in ritmo, tono, volume e montaggio”. Questa è la sua drammaturgia. La parola è significato e significante, è un gesto dell’attore, è un suono pronunciato.
Nel teatro dei Muta Imago la parola non viene detta dal vivo, ma spesso è registrata. “La parola detta non è ancora entrata nei nostri spettacoli perché spesso è stata portatrice di un’assenza. Con l’impianto sonoro caratteristico dei nostri spettacoli, la parola dal vivo creava una cesura – prosegue – La soluzione è forse la strada che stiamo intraprendendo sulla lirica, con il progetto ‘Displace’, in cui la parola diviene gesto e suono”.

Laddove la parola acquista un significato che amplia quello semantico emerge l’intervento di Daniela Nicolò di Motus: “Tutto è scritto in relazione e dialogo continui con l’attore”. Nicolò, assieme ad Enrico Casagrande, si è formata con il Living Theatre, realtà di cui entrambi hanno mantenuto il marchio e l’attenzione ad una “comunicazione orizzontale”. Prima attori dei loro stessi spettacoli e poi drammaturghi e registi, hanno modificato il loro modo di fare teatro proprio uscendo dalla scena. L’utilizzo della parola, prima molto scarno o assente, negli spettacoli degli ultimi anni ha acquistato un peso e una presenza maggiori.
Con il progetto “Antigone” e il rapporto con l’attrice Silvia Calderoni, Premio Ubu 2009 come migliore attrice, ecco la possibilità di investigare le potenzialità della parola detta. “L’attore è il nostro Caronte. L’unione tra noi e la scena”, e la modalità di scrittura nasce dal rapporto con l’immaginario e la fisicità dell’attore. “Mai un nostro testo è stato scritto prima di iniziare le prove – spiega Nicolò – piuttosto si svolge una approfondita ricerca di materiali, ma mai un copione vero e proprio, solo frammenti di testo. Tutta la stesura del testo si è sviluppata con gli attori. Alla fine del lavoro si arriva ad una partitura scenica, dopo una grande palestra”.
Silvia Calderoni nasce come performer e il rapporto con la parola detta è stata una delle ricerche approfondite all’interno dei Motus. Ma Nicolò precisa che la parola si è dovuta adattare alla voce e all’essere dell’attrice e non viceversa. La ricerca ha confluito nel creare una voce che rispecchiasse il più possibile quella della Calderoni e il testo ne rispettasse l’intercalare quotidiano. Il corpo, l’immaginario e l’essere stesso dell’attore hanno determinato il fare scenico.

Per concludere, con le parole di Chiara Lagani, il drammaturgo è colui che “prepara il terreno per un fenomeno grandioso e meraviglioso di cui è lo spettatore privilegiato”. Il risultato del suo lavoro non è un copione, non solo, ma è lo spettacolo stesso, perché né carta né filmato potranno mai restituire ciò che è vita sulla scena.

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