Già un’altra volta, dovendo raccontare un’edizione scaligera del “Così fan tutte” mozartiano, avevamo detto come questo capolavoro fosse intimamente legato al nostro sentire umano e culturale, forse più di ogni altra opera musicale. Per cui non ci siamo lasciati perdere l’occasione di rivederla, seppure in streaming, sul sito del Teatro Regio di Torino. Anche a ragione del fatto che l’opera fosse diretta da Riccardo Muti, uno dei suoi interpreti di riferimento, che avevamo già ascoltato con ammirazione in altre occasioni.
“Così fan tutte, ossia La scuola degli amanti” (1790), opera buffa in due atti di Mozart, rappresenta con “Le nozze di Figaro” e “Don Giovanni”, la terza ed ultima delle tre opere italiane “buffe”, scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo da Ponte. Opera buffa, abbiamo detto, ma sgombriamo subito il campo da malintesi dicendo che, in verità, pur usando tutti i toni della farsa, a nostro avviso di buffo e da ridere vi è ben poco. Ma andiamo per gradi.
Alla base dell’intreccio vi è la scommessa che l’anziano, sapiente del mondo e delle cose, Don Alfonso ha stipulato con gli amici più giovani Ferrando e Guglielmo, che reputano le loro amanti Dorabella e Fiordiligi fedelissime a loro sino alla morte. Dal canto suo Alfonso pensa invece, da buon illuminista, che le rispettive fidanzate, messe alla prova attraverso un inganno ben orchestrato, si sarebbero scordate ben presto del loro amore, non per cattiveria né perché fossero donne, ma solamente perché per il nostro Alfonso, data la natura umana imperfetta, l’amore eterno non esiste.
E infatti il vecchio imbroglione fa partire Ferrando e Guglielmo per una guerra che in verità non c’è affatto e li fa ritornare, camuffati da giovani albanesi, combinando che ognuno di loro faccia la corte alla donna dell’altro, aiutato nell’inganno dalla serva Despina (convinta che “Un uom adesso amate, un altro n’amerete: uno val l’altro, perché nessun val nulla”).
Le iniziali resistenze di Dorabella e Fiordiligi saranno pian piano eliminate, e in un crescendo di dubbi, finti avvelenamenti, ritrosie, occhiate furtive e ripensamenti, le nozze con i nuovi amanti vengono approntate.
E quando alla fine l’inganno verrà svelato, Don Alfonso placherà l’ira dei due ragazzi ponendoli davanti all’evidente fragilità dei rapporti umani, consentendo così a tutti di cantare “Fortunato l’uom che prende ogni cosa per buon verso, e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa. Quel che suole altrui far piangere, fia per lui cagion di riso, e del mondo in mezzo ai turbini, bella calma troverà”.
Altro dunque che opera buffa, semmai apologo dalla morale crudelissima.
Molto spesso si ascolta dire che nel “Così fan tutte” non accade niente, mentre è vero proprio il contrario: la musica, in perfetto accordo con le parole, ci conduce infatti con perfezione in ogni piega dell’animo umano. Non assistiamo ad assassinii, morti atroci o pazzie come succede in Verdi, ma la drammaturgia crudele, insita nell’opera, è condotta da Mozart e Da Ponte attraverso un calibratissimo gioco di incastri, in cui tutto non è ciò che sembra, e in cui la musica del salisburghese riesce nel miracolo di immergere ogni cosa in un’aura elegiaca che camuffa, sotto una finta bonomia di accenti, una disperata adesione ad una atroce seppur consolatoria realtà.
Insomma, siamo di fronte ad un capolavoro in cui il gioco perfettamente simmetrico non solo dei personaggi ma anche dei registri vocali (Fiordiligi-Guglielmo, Dorabella-Ferrando che pian piano diventa Fiordiligi-Ferrando, Dorabella-Guglielmo per poi forse ricomporsi, governato da Don Alfonso e Despina) sembra immettersi nel mondo settecentesco, ma al contempo è perfettamente aderente al sentire contemporaneo.
“Così fan tutte” si innesta dunque in un disegno in cui musica e parole caratterizzano un percorso preciso, che esprime alla perfezione il mutare dei sentimenti (esemplificativo è, dal punto di vista teatrale, il tormentato procedere verso il nuovo amore di Fiordiligi creato da Mozart-Da Ponte, di una profondità psicologica davvero sconcertante, che si esprime splendidamente nel recitativo accompagnato con soli archi, e il susseguente rondò “Per pietà ben mio perdona all’error d’un’anima amante”), dove la forza sta appunto nell’ammantare di elegiaca melanconica bellezza i turbamenti angosciosi e angoscianti della ragazza.
Per l’edizione del capolavoro mozartiano di Torino, rendiamo subito omaggio alla parte musicale, dove Riccardo Muti, chiamato a interrompere un periodo assai tormentato del teatro torinese, ancora una volta ci offre una lettura dell’opera di valore eccelso, dove ogni momento è accompagnato con pregevole cura orchestrale, in perfetta armonia con il canto.
Pensiamo solamente al duetto di Ferrando e Guglielmo accompagnato dal coro “Secondate aurette amiche”, che viene espresso quasi a mezza voce, esaltandone così tutta la bellezza apollinea, o il celebrato terzetto “Soave sia il vento”, uno dei vertici dell’intera opera lirica, addio così difficile da tradurre perché, mentre le donne sono commosse per i loro sposi che partono, Don Alfonso sa bene che “Tutto nel mondo è burla”, di verdiana memoria.
Anche dal punto di vista vocale tutto funziona alla perfezione, dalla meravigliosa Eleonora Buratto che affronta benissimo, è il proprio il caso di dire, due scogli di grande difficoltà: “Come scoglio”, con i suoi temibili salti di ottava, sino al già citato “Per pietà, ben mio, perdona”, dove tutti i tormenti del personaggio vengono risaltati in modo profondo, a Paola Gardina alle prese con due arie di diversa atmosfera “Smanie implacabili” e “È amore un ladroncello”, al giovane mezzosoprano Francesca Di Sauro che impersona in modo sbarazzino e impertinente Despina, imprimendole ottima adesione musicale. Eccellente anche il comparto maschile: Alessandro Luongo è un Guglielmo sempre in parte, dalla vocalità pertinente in ogni passaggio; di grande risalto poi l’interpretazione del giovane tenore Giovanni Sala, come Ferrando, alle prese con una delle arie mozartiane più incantevoli, “Un’aura amorosa”, con quel suo da capo, attaccato perfettamente con un pianissimo, e ancor di più eccellente nell’esprimere tutto il sofferto sdegno dell’amore disilluso nell’aria “Tradito, schernito!”. Autorevole Marco Filippo Romano come Don Alfonso, vero deus ex machina della vicenda, nei recitativi (Mozart non gli concede una vera e propria aria) a cui l’interprete dà sempre spessore nel sottolineare tutti i sagaci sottotesti della trama.
Meno entusiasti ci trova invece la parte registica, di impianto tradizionale, dovuta a Chiara Muti che pur si muove in un bell’impianto scenico, disegnato da Leila Fteita, dove predominano i colori chiari che ben si intonano con costumi di Alessandro Lai, mentre il fondale è soprattutto un mare dal colore azzurro trapuntato da riflessi argentei. Lo spazio centrale invece compete all’azione, divenendo, attraverso semplici accorgimenti, un campo da tennis per i maschietti e il gioco della mosca cieca per le femminucce, la camera da letto delle ragazze e gli altri diversi ambienti dove avviene il gioco delle coppie.
Bella l’idea di improntare il primo atto in modo farsesco, che piano piano si raggela nel finale del secondo lasciando soli i personaggi nella loro completa disillusione. Vi sono anche molte idee di buona invenzione: i nastri che volteggiano a serpentina, simili ad un’onda magnetica per far ridestare, da Despina acconciata da medico, Ferrando e Guglielmo che si sono finti avvelenati, la scena della seduzione dei due uomini travestiti per non farsi riconoscere che si muovono in un labirinto di siepi e della seguente seduzione mentre una mongolfiera scende dall’alto.
Ma tutto ci sembra spesso poco governato con un primo atto eccessivamente farsesco, proprio fuori misura, e un secondo spesso troppo affollato di segni e di controscene.
Riuscito invece ci è parso il finale, che, come si è detto, lieto non è, dove le coppie, in un primo momento ricomposte, si muovono in un alternarsi di opposti sentimenti.
Così fan tutte
Dramma giocoso in due atti
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Riccardo Muti direttore d’orchestra
Chiara Muti regia
Leila Fteita scene
Alessandro Lai costumi
Vincent Longuemare luci
Tecla Gucci assistente alla regia
Luisella Germano maestro al fortepiano
Andrea Secchi maestro del coro
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Allestimento Teatro San Carlo di Napoli e Wiener Staatsoper
Scene, attrezzeria e costumi realizzati dai Laboratori di Scenografia, Costruzioni e Sartoria della Fondazione Teatro di San Carlo
Durata: 2h 39′