Cuore di cane. Bulgakov passa da Massini per approdare a Sangati

Photo: Masiar Pasquali
Photo: Masiar Pasquali

Portare in scena un racconto del primo Novecento, per di più di sapore fantascientifico, anche se intriso di possibili umori contemporanei, è compito assai difficile sia per il drammaturgo, sia per il regista. Ma forse non è un caso che nella stagione attuale due spettacoli prendano origine dal racconto di Michail Afanas’evič Bulgakov “Cuore di cane”, che pur essendo stato scritto nel 1925, per via della censura sovietica fu pubblicato quasi trent’anni dopo la morte dell’autore.

In attesa di vedere la messa in scena che ne ha fatto Licia Lanera, siamo andati al Piccolo Teatro di Milano per assistere alla versione di Stefano Massini con la regia del giovane Giorgio Sangati; in scena due mostri sacri come Sandro Lombardi e Paolo Pierobon.

La vicenda narrata, ambientata nella Russia di Stalin, è quella surreale del professor Filip Filipovič Preobraženskij, andrologo e ginecologo, impegnato in una ricerca sul ringiovanimento del corpo umano che intenderebbe praticare con il suo assistente, il dottor Bormental (Giovanni Franzoni), sul cane Pallino, impiantandogli l’ipofisi di un morto, rendendolo così un essere umano vivente e pensante.
I due si impegnano con qualche durezza nell’impresa di riabilitare il cane, educandolo alla lingua e nel contempo a vivere con proprietà di usanze e modi.
Così Pallino, dopo un’iniziale difficoltà, comincia a camminare seppur maldestramente su due zampe, perdendo pian piano tutte le sue sembianze originarie: i peli, la coda, le zampe, e riuscendo anche a parlare, diventando quindi un uomo a tutti gli effetti.

Purtroppo però, come accade a Frankenstein, eredita anche e soprattutto il bagaglio culturale dell’individuo da cui ha ricevuto l’ipofisi, un balordo morto accoltellato in una bettola moscovita.
Così presto si abbandona al turpiloquio, commette oscenità, ruba a più non posso, nel contempo parlando però di Marx e di Engels, immergendosi a capofitto nella difesa del potere sovietico allora in essere, scagliandosi contro passato e borghesia, peraltro contro le idee del suo creatore che vive in un appartamento di gran lusso.
Inevitabile dunque che il cane, preso il possesso della libertà (forse fasulla) di essere umano, ben presto rinneghi e denunci alle autorità il suo creatore.
Così al nostro professore e al suo assistente non resta che privare Pallino (che nel frattempo ha assunto il pomposo nome, da cittadino registrato all’anagrafe del Comune di Mosca, di Poligraf Poligrafovič Pallinov) della sua essenza umana, facendolo ritornare a ciò che era prima: un semplice cane.

La storia narrata, paradossale, intrisa di humor sarcasticamente amaro, si presta a diverse interpretazioni: risulta intanto una feroce satira ai nuovi borghesi arricchiti impersonati da Filip Filipovič Preobraženskij, ma è anche amara considerazione di come la rivoluzione abbia portato in Russia un clima di fanatismo e di paura; infine è una critica a quella scienza (Bulgakov del resto era medico) che vuole andare al di là dei suoi poteri e doveri.
Bulgakov ci ricorda alla fine come ognuno di noi non possa mai sentirsi libero in maniera totalmente autonoma da un potere che in qualche modo ci governa sempre.

Marco Rossi costruisce lo spazio scenico evocando un grande gabinetto medico al centro di un appartamento, solo alluso ben più grande, non certo quello concesso dai nuovi rivoluzionari al cittadino comune; sotto il palcoscenico vi è una specie di prigione metallica da dove all’inizio il cane fa la sua comparsa.
Molto belli e in stile i costumi di Gianluca Sbicca che, oltre a caratterizzare in modo diametralmente opposto i due protagonisti, assecondano in modo ironico il cambiamento fisico di Pallino. Veste in consonanza con l’epoca la cuoca Petrovna di Bruna Rossi, la sguattera Zina di Lucia Marinsalta e il Commissario del Popolo di Lorenzo Demaria.

Lo spettacolo, dopo un inizio che ci è parso un poco difficoltoso nella sua eccessiva verbosità, prende il volo, con buona partecipazione emotiva e divertimento dello spettatore, grazie al continuo alternarsi di sentimenti e all’arguzia dei dialoghi e delle situazioni che nascono tra Filip Filipovič e la sua creatura.
Giorgio Sangati ci sembra fin troppo ossequioso della riduzione teatrale di Massini, lasciando poco spazio ad invenzioni che possano discostarsi da una tradizione teatrale consolidata, seppur ben condotta. Anche perché, in definitiva, tutto lo spettacolo si regge – giustamente – sulle profonde ed efficaci interpretazioni di Sandro Lombardi e Paolo Pierobon, che danno spessore ai rispettivi personaggi: quello apparentemente più semplice del medico, più sfaccettato e da rivisitare con estro; e quello del cane che diventa uomo, risolto da Pierobon in modo grottescamente e “umanamente” credibile.
In scena fino al 10 marzo.

Cuore di cane
libera versione teatrale di Stefano Massini
dal romanzo di Michail Bulgakov
regia Giorgio Sangati
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace
trucco e acconciature Aldo Signoretti
con (in ordine alfabetico) Lorenzo Demaria, Giovanni Franzoni, Sandro Lombardi, Lucia Marinsalta, Paolo Pierobon, Bruna Rossi
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduzione Compagnia Lombardi Tiezzi

Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 10 febbraio 2019

0 replies on “Cuore di cane. Bulgakov passa da Massini per approdare a Sangati”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *