Oltre il classico e l’accademico. È la nuova strada che il Balletto di Roma ha iniziato a percorrere sotto la guida artistica di Roberto Casarotto, che da poco più di un anno, affiancato da tre coreografi associati, Fabrizio Monteverde, Alessandro Sciarroni e Paolo Mangiola, ha preso in mano le redini lasciate da Walter Zappolini, storico fondatore della struttura insieme a Franca Bartolomei.
Sradicare un modus operandi consolidato da più di cinquantanni, si sa, non è cosa facile.
Ma pare che a Casarotto piacciano le belle sfide. Oltre alla “scalata” al contemporaneo, nel rinnovare la ricerca coreografica del corpo di ballo, il nuovo direttore artistico ha scelto di affidare la realizzazione di «Paradox» e «Giselle», le prime produzioni di nuova veste, ciascuna a due diversi coreografi, distanti, se non opposti, per formazione, sguardo, linguaggio.
Distanze confluite tuttavia in un dialogo danzato efficace e armonioso, indice, anche, di un arguto processo formativo rivolto a far acquisire al corpo di ballo non solo una maggior plasticità, e la rapidità di far propri processi creativi divergenti, ma esserne soprattutto parte come co-creatori e danzatori pensanti.
In entrambe le produzioni, ma soprattutto per «Giselle», presentata a metà luglio a Bassano del Grappa, il processo creativo è stato affiancato da un percorso di approfondimento sia storico che tematico dell’opera, rivolto non solo alla scoperta di quel ventaglio di domande a cui i grandi classici possono aprire (di cui è stato creato un interessante archivio nel sito del Balletto), ma a stimolare anche, in modo maieutico, il pensiero critico, e trovare in ogni esperienza di vita una continua fonte di arricchimento creativo.
Dopo il debutto al Belgrade Dance Festival, con «Paradox», presentato in primavera in prima nazionale al Teatro Verdi di Padova (il 28 settembre sarà a Madrid e il 27 ottobre a Bologna), Balletto di Roma indaga il concetto di genere attraverso un ideale stato di separazione tra maschile e femminile, con l’originale firma dell’israeliano Itamar Serussi e quella di Paolo Mangiola.
Itamar Serussi (danzatore per Basheva Dance Company e resident coreographer di Scapino Ballet) ha firmato due dei titoli del trittico: «Sycho» e «Tefer».
«Sycho» è una danza in controluce intima ma audace, vulnerabile e fiera, di un maschile libero da ogni possibilità di oggettivazione. Il corpo si piega, molleggia, sobbalza, ondeggia, ma lo sguardo del giovane uomo rimane fiero e frontale. Il suo giovane corpo ha già in sé i semi di un lungo e contraddittorio processo evolutivo. La dinamicità, infatti, trascende la forza fisica per lasciare spazio alle pulsioni e alle vibrazioni di un corpo e di un’anima in crescita.
In «Tefer», costruito sulla partitura sonora di Richard van Kruysdijk, si sviluppa invece la potenza dell’elemento corale. Con un ritmo incalzante, i sei danzatori disegnano traiettorie variabili, si muovono in cerchio, in serie, da soli, senza mai lasciare il gruppo.
Una virilità cangiante che non disdegna l’ironia, quasi a smorzare quel delirio di onnipotenza associato al maschile, che invece si accende di iridescenze celando dietro a edonismo, forza e prestanza inattese sensibilità.
Inserito tra le due coreografie di Serussi, Paolo Mangiola (autore per Royal Ballet e Wayne McGregor | Random Dance) ha affrontato invece in «Fem» l’universo femminile.
Quattro danzatrici, ognuna alle prese con il rigore dei codici accademici, che danno giusto lo spazio per brevi respiri, disegnano un femminile mentale, rigoroso, determinato e solitario.
Ma il femminile è mutevole e imprevedibile, è unione e dispersione, forza e fragilità e, in un cambio di luce e sonorità, le punte, le linee rette, le gambe tese si sciolgono in duetti, soli e momenti corali dai toni tenui e leggeri. Sono incontri, intrecci, abbracci fluidi e contigui di una gestualità di contatto che nella relazione con l’altro costruisce la propria personalità.
La storia di «Giselle» invece, il “balletto perfetto” datato 1841, sarà già forse nota a tutti. In breve, una giovane contadinella, Giselle, amata da Hilarion, si innamora dell’aristocratico Albrecht, arrivato al villaggio travestito da uomo semplice, che la corrisponde nonostante sia già fidanzato con la nobile Bathilde.
Hilarion scopre tutto e mette in guardia Giselle, che per il tradimento impazzisce e muore di dolore per riapparire nel secondo atto nei panni di una Villi. Secondo antiche leggende slave, le Villi sono spiriti di donne morte prima di convolare a nozze, che di notte, nei boschi, si vendicano con qualunque uomo facendolo danzare fino allo stremo.
Così dovrà fare Giselle, salvo approfittare del fatto che, con le prime luci dell’alba, il potere delle villi svanisce, e quindi salvare il suo amato.
Nella rilettura anti-narrativa a quattro mani di «Giselle», da parte di Itamar Serussi e Chris Haring, non c’è la commovente trama del balletto, non ci sono i personaggi e gli episodi conosciuti; veri protagonisti sono i temi dell’innamoramento, della delusione, della vendetta e della rivalsa, in un insieme coreografico che si fa celebrazione e risonanza di una femminilità assoluta.
In linea con il suo stile, e con quell’abilità compositiva che lo contraddistingue, Serussi trasforma il primo atto in una danza corale, fisica, potente ma giocosa, dalla nudità velata e una sensualità mai invadente.
Il coreografo israeliano non porta in scena una sola Giselle, i ruoli diventano interscambiabili, indipendentemente dal sesso, e ogni danzatore, con eleganza e delicatezza, ne diventa l’essenza.
Serussi affida alla luce il compito di ricreare quel richiamo emotivo di cui Giselle è l’icona, dipingendo sulle tonalità tiepide della carne tutte le sfumature del sentire umano.
Ci si sarebbe aspettata la combinazione tra danza e video nel secondo atto firmato da Chris Haring, direttore artistico del collettivo Liquid Loft, e Leone d’Oro alla Biennale Danza 2007. Invece, per «Giselle», il coreografo austriaco porta l’attenzione quasi esclusivamente sul corpo del danzatore, dando vita a una danza sinuosa, macabra, perfida e ammaliante.
Dai colori tenui e dalle sfumature luminose di Serussi si passa al buio e alla penombra di Haring, che apre la scena con un respiro profondo e amplificato, che sa della bestia pronta a cacciare la sua preda: il respiro della vita e della morte.
È il mondo ultraterreno delle Villi, è la caccia all’uomo o la minaccia di cui è portatore, per sedurlo con la sinuosità del corpo, che si arma in arabesque, e attraversa la scena ondeggiando ritmicamente.
Una danza lenta ed estenuante, i cui i corpi agiscono come sensuali baccanti, sirene incantatrici, perfide fate, che cercano di sgretolare la carne in polvere prima dal di dentro.
Sono delle voci fuori campo a spezzare l’incantesimo dei corpi: voci registrate dagli stessi danzatori che raccontano quel che sanno di Giselle, quel che c’è in più in loro di Giselle.
Si chiude così il cerchio di un atto creativo di auto-scoperta, aperto da quello sguardo che i danzatori, sedendosi in proscenio, hanno rivolto al pubblico durante il primo atto, come a chiedere: chi è per voi, oggi, Giselle?
PARADOX
coreografie: Itamar Serussi Sahar e Paolo Mangiola
con i danzatori del Balletto di Roma
Musiche originali: Richard van Kruysdijk
SYCHO coreografia Itamar Serussi Sahar – musica Richard van Kruysdijk
FEM coreografia Paolo Mangiola in collaborazione con le danzatrici musiche Eric Satie e Anna Meredith
TEFER coreografia Itamar Serussi Sahar musica Richard van Kruysdijk
GISELLE
coreografie Itamar Serussi Sahar e Chris Haring
Concept Development
Peggy Olislaegers
Musiche originali
Adolphe Adam
Rielaborazioni musicali
Richard Van Kruysdijk, Andreas Berger
con i danzatori del Balletto di Roma
Paradox visto a Padova, Teatro Verdi, il 16 aprile 2016 /
Giselle visto a Bassano del Grappa, Teatro Remondini, il 16 luglio 2106