Una riflessione a tutto tondo su Milano e sul sistema culturale della Lombardia, con vista sul panorama italiano nel segno dell’internazionalità. Conclusa la tre giorni di incontri e dibattiti alla Fabbrica del Vapore, di Luoghi Comuni edizione 2016 resta la sensazione di una rotonda dalle varie possibilità: poliedrica, aperta a una Milano meno autoreferenziale, più a contatto con territori fisici e creativi che trovano nel confronto inaspettati esiti e possibilità.
Se la parola chiave della scorsa edizione a Bergamo era “Regeneration”, il fulcro di questa edizione meneghina curata da Etre Residenze Teatrali e diretta da Davide D’Antonio, Michela Marelli, Annamaria Onetti, Silvia Pinto e Marina Visentini (con l’organizzazione di Silvia Bovio, Cristina Carlini e Andrea Zaru) sembra essere la sperimentazione nel segno della circolarità. Di un fare rete che parte dalle periferie e si apre a una cultura europea, oltre gli steccati d’appartenenza e le barriere delle singole arti.
Dopo il sapere parcellizzato, dopo la specializzazione settoriale, si sta recuperando l’idea di una città come ideale luogo di condivisione, animata da input plurimi, permeata di saperi multidisciplinari volti a un nuovo umanesimo. Nelle nuove comunità artistiche coesistono cibo e letteratura, musica e politica, terzo settore, managerialità, formazione e divertimento.
Le tecnologie digitali tendono sempre di più a interconnettere lavoro, svago e cultura. Fondono pubblico e privato. Collegano centro e periferie. Architetti e designer stanno riscoprendo un ruolo più incisivo nella costruzione dei nuovi paesaggi sociali.
Milano patria del Futurismo, capitale della moda e del design, ospita da qualche tempo anche la Casa della Cultura e quella della Memoria. Intende confermarsi fucina del pensiero creativo. Ecco perché, come ha ricordato l’assessore Filippo Del Corno, vuole rilanciare, costruendo Case della Cultura in ciascuna delle nove zone della città.
Per adesso Luoghi Comuni riflette su esperienze come Mare Culturale Urbano, centro di produzione artistica che arriva nella zona ovest per costruire un nuovo modello di sviluppo territoriale delle periferie. «Il mare a Milano – ha spiegato Andrea Capalbi, uno dei fondatori – parte da un forte legame con la dimensione locale per sviluppare scambi a livello internazionale e attivare processi di inclusione sociale, rigenerazione urbana e innovazione culturale».
Il modello operativo di Mare prevede il coordinamento di residenze artistiche temporanee in dialogo per generare contenuti e servizi che abbiano impatto sui territori per i quali sono stati pensati, con esperti che curano la produzione di teatro, danza, cinema, arti visive, musica e cultura digitale, e un dramaturg con il compito di favorirne l’interazione e la contaminazione. Un’area complessiva di 7700 mq aperti 365 giorni l’anno, con cinema, sale teatrali e per concerti, co-working, studi di registrazione e sale prova musica, atelier e spazi di prova e formazione, spazi per la comunità, caffè e bistrot, una corte, una grande area di verde pubblico e un passaggio sempre aperto sulla città.
Altra felice e ben avviata esperienza sembra essere La Fabbrica del Dialogo con il Suq delle Culture: un melting-pot di percorsi creativi e workshop dedicati a recitare, cucinare, abitare, cucire, disegnare e suonare. Un bazar dei popoli. Un crogiuolo di trenta nazionalità all’insegna della fusione e della multiculturalità. Un’osmosi tra pubblico, nuovi cittadini e luoghi della cultura. Il Suq delle Culture ripropone a Milano l’esperienza del Suq Festival di Genova, vetrina sui temi dell’integrazione attraverso il teatro, la musica, l’arte, la cucina e l’artigianato.
Luoghi Comuni è stata l’occasione per riflettere anche sullo spettatore contemporaneo. Tra pubblico tradizionale e possibilità offerte dall’arricchimento multimediale, tra documentari televisivi, video su YouTube e balletti live nei cinema, si riesce a monitorare il dato quantitativo e qualitativo degli spettatori reali? Come porsi di fronte ai nuovi pubblici? Quale valore mantiene lo spettacolo dal vivo in un contesto sempre più digitalizzato? E ancora: fino a che punto è lecito spingersi nella formazione dello spettatore? Quanto quest’obiettivo deve essere appannaggio degli artisti, e non piuttosto della critica, o meglio ancora qualcosa che l’utente si costruisce da sé?
Infine: fino a che punto l’apertura all’internazionalizzazione delle imprese di spettacolo dal vivo diventa investimento artistico, oltre che economico?
Molti gli interventi: Mimma Gallina, Stefano Bottura, per finire con lo staff della sezione lombarda di C.Re.S.Co (Laura Valli, Giuliana Ciancio, Carlotta Garlanda, Cristina Carlini).
Molte cose sono cambiate, dai seminari degli anni Settanta nelle fabbriche alla divulgazione di massa degli anni Ottanta, dalla costruzione di uno spettacolo con il pubblico negli anni Novanta allo spettacolo come entità liquida dei nostri anni, che spazia attraverso molteplici forme artistiche.
Ecco perché è importante dotare lo spettatore di una bussola sin da quando è in erba. È il proposito del progetto “Acrobazie Critiche”, illustrato dalla giornalista di “Stratagemmi” Maddalena Giovannelli: fornire agli studenti della scuola superiore uno strumento di comprensione, la capacità di essere non più spettatori passivi ma protagonisti attivi. Dopo aver seguito un ciclo di lezioni di critica teatrale, gli studenti milanesi assistono a spettacoli e si cimentano con un concorso di critica.
Essere pubblico, in effetti, significa essere spettatore critico. Può voler dire anche dissentire dall’opera. In ogni caso resta un’esperienza che ci si augura possa instillare nel pubblico giovane il fermento dell’appartenenza: il contatto con una comunità, di cui si potrebbe perfino desiderare, prima o poi, di entrare a far parte.
L’esperienza della comunità e dell’appartenenza è anche il punto di forza di eventi musicali come Mi Ami Festival, organizzato dalla rivista “Rocky.it” o Suoni mobili, che coniugano creazione e ricreazione.
Resta l’urgenza, sancita dal tavolo conclusivo domenicale presieduto dal presidente del festival Davide D’Antonio, di trasformare i nuovi luoghi in crescita in Lombardia, in entità permeabili. I nuovi luoghi della cultura devono diventare capaci di uscire dalle nicchie, per attrarre un pubblico ampio e curioso.
Lo spettatore può essere sedotto dalla proposta artistica, ma deve anche trovare, in un luogo confortevole, la possibilità di un confronto paritetico con l’artista, che soddisfi i suoi gusti. Allo spettatore vanno garantiti servizi essenziali come la ristorazione, prezzi accessibili e tempi distesi che consentano di giostrare e scegliere tra le varie proposte.