Dame la mano. Teatro Nucleo riparte da Le Serve di Genet

Dame la mano (photo: Daniele Mantovani)
Dame la mano (photo: Daniele Mantovani)

Con “Dame la mano” torna in scena il Teatro Nucleo; alla regia Cora Herrendorf con Natasha Czertok e Martina Pagliucoli, ospiti a fine novembre del Teatro Potlach di Fara in Sabina (RI).

Lo spettacolo è l’ultimo soprendente prodotto della ricerca decennale che la regista compie sull’universo femminile, sulle sue dinamiche, conflitti, linguaggi e memorie. Proprio lo studio permamente sulla memoria tesse il filo, conforma la trama e ramifica la ricerca artistica e poetica. Cora Herrendorf e il Teatro Nucleo considerano l’indagine attorno e sulla memoria uno strumento vivo che ha portato non solo alla creazione di una lunga serie di spettacoli, ma anche a diversi laboratori teatrali e progetti pedagogici.

Memoria e Femminile: sono i due elementi che accendono la danza su cui ruota la poesia di progetti come “Donne Comunitarie”, gruppo teatrale formato da donne di diverse generazioni di cui la Herrendorf dirige gli spettacoli (“Signora Memoria-viaggio nella memoria femminile”, “La Balera di Filomela” spettacolo sulla violenza contro le donne e “Asylum-il manicomio delle attrici”, omaggio all’arte poetica di Alda Merini e ricerca sull’esperienza dell’internamento manicomiale).
Ma la ricerca sul femminile è il motore anche di spettacoli come “Chiaro di Luna” (1978) e “A Media Luz” (1986). Proprio quest’ultimo è stato il primo approccio della regista con il testo de “Le serve” di Jean Genet, al quale fa riferimento “Dame la mano”. Un lungo percorso di ricerca, quarant’anni di studio sull’universo femminile, che oggi ha condotto la regista ad abbracciare un’idea di femminilità ampia e universale.

Il testo di Genet è utilizzato come punto di partenza per un’analisi sulla condizione di conflitto, non solo tra i personaggi in scena, che alternano scontro giocoso a complicità, non solo tra loro e la presenza/assenza costante di Madame, ma anche come conflitto interiore, intimo ed esistenziale tra ciò che la donna è e la sua rappresentazione socio-culturale. Un conflitto che diventa danza grazie alla poesia e ai testi sofisticati ed evocativi di poetesse come Chandra Livia Candiani, Martina Cvetaeva, Gabriela Mistral e Wisława Szymborska.

Il conflitto è rappresentato anche da un eterno tentativo dei personaggi femminili – che in qualche modo rispecchiano la donna nella sua esistenza sociale e universale – di comunicare, comunicarsi.
Le parole sembrano non bastare, le canzoni e le note accompagnano i movimenti, ma forse neppure i movimenti bastano per raccontarsi. Suono, luci, danza, gesto… tutto si confonde tra la polvere e la siccità culturale che circonda la donna. Tanto da impedirne la parola, da bloccarla e rendere difficoltoso ogni tentativo di comunicazione.
L’apice di tutto questo si ha, in scena, quando i due personaggi trasformano le parole della Mistral in LIS e a sua volta il LIS in voce, per poi trasformarsi ancora una volta in danza. Come se ogni tentativo della donna di comunicare sé stessa al mondo fosse difficile fino all’impossibilità. Per questo, poi, i personaggi viaggeranno verso mondi arcaici, nascoste dietro antichi rituali. Altri linguaggi segreti del femminile che nascondono anzichè svelare.

Il mondo che circonda la donna appare così fumoso, polveroso, arido. Cenere che nasconde i volti. Sabbia desertica che opprime e cela i movimenti. E sabbia e deserto sono proprio l’ambiente che circonda le due protagoniste, grazie all’abile scelta di ricoprire l’intero spazio scenico di segatura.
La scena, composta con semplicità da due sedie ed altrettante lampade, accompagnata dall’abile ed evocativo disegno luci di Franco Campioni, diventa essa stessa personaggio, vivendo di vita propria e parlando al pubblico.
Chi è la polvere, chi è la sabbia? Probabilmente, senza troppi sforzi evocativi, è la siccità culturale che circonda la donna, la fumosa e confusa realtà in cui si muove e vive, spesso nascosta, celata e azzittita.
Come a fine spettacolo racconta la stessa regista: “E’ una metafora. […] La donna vive in un deserto da 5000 anni”.

Cora Herrendorf conferma la sua abilità e ricchezza intellettuale, le sue capacità registiche e drammaturgiche che rivelano una fiorente maturità.
Le giovani attrici in scena, Natasha Czertok e Martina Pigliucoli, sanno dare corpo, voce ed emozione ad una drammaturgia ricca di sottili sfumature, dimostrando sensibilità e umiltà artistica rare.

Lo spettacolo è un viaggio che fugge dall’input letterario di Genet, corre e danza verso una ricerca intima dell’essere femminile, lasciando il dubbio che per femminile si intenda qualcosa di ancora più ampio del semplice concetto di donna. Il femminile come arte, come creazione. Come movimento e vita.

Dame la mano
testi liberamente tratti da Le Serve di J.Genet, le poesie di Chandra Livia Candani, Marina Cvetaeva, Gabriela Mistral, Wisława Szymborska
regia Cora Herrendorf
con Natasha Czertok, Martina Pagliucoli
voce off Frida Falvo
disegno luci Franco Campioni
produzione Teatro Nucleo
sartoria Ivonne Mancinelli
realizzazione sedie Elia Veneziani

Visto a Fara in Sabina (RI), Teatro Potlach, il 24 novembre 2018

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