Dancer of the Year: Trajal Harrell e la danza come vicissitudine

Dancer of the year (ph: Lorenza Daverio)
Dancer of the year (ph: Lorenza Daverio)

Insignito nel 2018 del premio di miglior danzatore dell’anno, il ballerino americano porta in Triennale la propria autoriflessione tra butô e voguing

«Nella vita o si sale, o si cade» dicono i russi.
Trajal Harrell, ballerino 49enne insignito nel 2018 del titolo di danzatore dell’anno dalla rivista Tanz, è nato a Douglas in Georgia, negli Stati Uniti. E raggiungere l’apice ha significato per lui immergersi in uno stato di crisi che contempla simultaneamente l’andirivieni delle cadute e delle risalite, e le emozioni ad esse connesse.

“Dancer of the Year”, il lavoro che Harrell ha riportato a Milano a Triennale Teatro, è una riflessione sulla danza e sulla sua storia e costruzione. Attraverso “Dancer of the Year”, Harrell attiva dei flashback nel proprio percorso artistico tanto doverosi quanto inconsueti, proprio perché normalmente i premi vengono vissuti come dei riconoscimenti e come punti d’arrivo, e non come occasioni per reinterpretarsi, rinnovarsi e ripartire.

Un album dei ricordi. Harrell si presenta sulla scena di Triennale in tuta old style, e soprattutto con il volto coperto da una maschera. Libera poi il volto e deposita sul pavimento un borsone, da cui estrarrà, per indossarli, una serie di abiti di scena, prevalentemente femminili. Due sgabelli da pianoforte. Su uno c’è un computer, da cui avvia le musiche. Ogni abito una musica, ogni musica una coreografia.

Un tappeto rosso sotto i suoi piedi. Un rettangolo bianco alle sue spalle. Le luci di sala restano accese, a illuminare la relazione con il pubblico, tenacemente considerato, stimolato e interrogato. Musica, abiti, pubblico, dialogo muto sono suggestioni e riferimenti che si intersecano ogni sera in modo diverso, e risuonano nell’artista e nella danza con echi profondi.

Harrell riempie da solo la scena. Catalizza gli sguardi rapiti degli spettatori attraverso il proprio sguardo magnetico. Ne nasce una danza sinuosa, carismatica e spirituale come una preghiera. A danzare non sono solo il busto e gli arti, ma anche mani, labbra, guance, occhi. Sono le pupille, gli zigomi, i piedi, essi stessi oggetto di travestimento mediante bizzarre e sgargianti calze antiscivolo.

La musica scalda l’atmosfera come le corde di un violino sfregate dall’archetto. Scuotono le nostre orecchie note di pianoforte come gocce di pioggia, arpeggi di chitarra come vibrazioni sviscerate in tutta la loro potenza espressiva. I dialoghi con la musica sono pervasivi. Corpo e suoni sono una sola cosa. I movimenti sono quelli di un direttore d’orchestra. Solo che qui è la musica a dirigere: il corpo si limita a eseguire.

È il rumore dei ricordi. Harrell passeggia, balla, zoppica su uno spazio circoscritto. È un Cristo che cammina sulle acque, conscio però di poter affondare. Non è mai impassibile: suda, si muove e si commuove, al punto che gli scendono le lacrime.
Sono sguardi disarmati. La danza è comunicazione senza parole, epifania di segni e sogni. I gesti di Harrell sono emoticon. Le mani distribuiscono baci, sorrisi e cuori come confetti a un matrimonio.

C’è autenticità in quest’arte ammiccante senza essere ruffiana, che coniuga il butô giapponese, con la sua energia poietica, al voguing, danza contemporanea nata nei locali gay afroamericani e latinos, che riproduce le movenze delle indossatrici nelle sfilate di moda, e alterna pose flessuose e spigolose e movimenti plastici, a esecuzioni fluide e aggraziate.

Viene meno il confine tra drammaturgia e coreografia. Le mani esprimono sentimenti e condensano narrazioni. Nasce, attraverso la danza, una costellazione di relazioni assai credibile per gli spettatori, che smettono di essere pubblico per diventare individui: personaggi desiderosi di una relazione personale con l’artista, che avvia l’auto-riflessione e una assai sincera analisi di sé.

Dancer of the Year
coreografia, interpretazione, costumi, design sonoro: Trajal Harrell
drammaturgia: Sara Jansen
produzione: CauseCélèbre vzw / coproduzione: Kunstenfestivaldesarts, Kanal – Centre Pompidou, Impulstanz Festival, Schauspielhaus Bochum, Bit Theatergarasjen, Festival d’Automne à Paris, Lafayette Anticipation, Museum Ludwig, Dampfzentrale Bern, Schauspielhaus Zürich
distribuzione: Art Happens

durata: 50’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Triennale Teatro, il 16 dicembre 2022

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