Dieci anni esatti (era il 20 febbraio del 1999) dalla scomparsa di una delle drammaturghe che, in un tempo brevissimo, ha dipinto un’immagine nuova del teatro, del concepirlo e del farlo.
Sarah Kane indubbiamente è, al di fuori dei gusti di genere, un’artista a tutto tondo che non ha mai avuto bisogno di spiegarsi, di teorizzare o seguire unicamente l’istinto… è tutto questo insieme, con una modalità fluida e dinamica.
“Se dovessi riscrivere ‘Blasted’… taglierei ancora più parole… perchè il teatro per me è immagine” dichiarava in un’intervista con Granah Saunders. E sono immagini quelle che la Kane inventa e ci fa vedere, che riguardano il dettaglio, la sensibilità, il dolore, l’estrema consapevolezza della disperazione.
Immagini, quindi, popolarmente scomode e che raccontano di stupri, violenze, rapporti incestuosi, della spazzatura di un società che si affretta a smaltire e nascondere perchè scomoda, specchio del non voluto, dell’inutile o, peggio ancora, dello scartato.
Per questo la Kane si guadagna, fin dalle prime rappresentazioni al Royal Court Theatre di Londra, il beffeggio della critica anglosassone, l’epiteto di “peggiore della classe”, diventando poco dopo una delle portavoci più acclamate dello ‘in-yer-face theatre’, proprio quello ‘in-yer-face theatre’ diventato, oggi, un genere che prende il pubblico per la collottola e lo scuote finché non gli arriva il messaggio, un messaggio che frantuma i tabù, nomina ciò che è vietato, mette a disagio… la spazzatura, appunto.
Ma il lavoro della Kane va ben oltre la provocazione, usata solo come mezzo per nascodere, in un sottotesto visuale, un’etrema sensibilità, priva di giudizio e ricca di un vissuto interiore molto intenso, duro, spigoloso, premuto e spremuto.
E’ questo il filo conduttore che si dipana e si evolve in tutta la sua produzione: in “Blasted” è la violenza della guerra e quella interiore di rappori morbosi e stupri, in “L’amore di Fedra” è l’incesto e l’atroce violenza della rigidità, in “Purificati” la tossicodipendenza, in “Febbre” genericamente la follia ed in “Psicosi delle 4.48” il guardare da dentro i pezzi di tutta quella follia ed il suicidio, inteso lucidamente come l’unica cosa luminosa rimasta: la coscienza che il non esserci risulti l’unica scappatoia, l’ultimo respiro ancora possibile.
Una lettura anche solo testuale delle opere mostra un’evoluzione sia formale che concettuale, che si spinge sempre di più verso i sensi, il visuale, l’uditivo.
In questo senso “Purificati” è il ‘trait d’union’ fra due momenti, è un passaggio tra un sentire teatrale ancora influenzato da un bagaglio accademico ed un vivere teatrale che diventa davvero personale, dando vita ad un genere proprio.
Questo percorso è legato a ciò che alla Kane accadeva in quegli anni, alle sue sempre più frequenti depressioni, malesseri, nausee, ed ai disperati tentativi di trovare ancora una volta, di nuovo dopo aver raschiato la faccia sull’aslfalto, la forza di rialzare la testa.
Sul suicidio della Kane, buona parte della critica, i familiari e gli amici hanno trovato innumerrevoli cose da dire e non dire.
Alcuni, spingendosi troppo oltre, sono arrivati a dire che “Psicosi delle 4.48” sia un testamento spirituale, una sorta di diario di una suicida: “Starò in piedi su una sedia con un cappio intorno al collo”.
Non c’è certezza, ovviamente, su nulla, ma una cosa da considerare, della Kane come di tutti i geni artistici, è la notevole dose di autoironia, sprezzante e a tratti ‘chic’ che ritroviamo in Ian che violenta una ritardata, in Teseo, il principe che si mastubra con i calzini e mangia hamburger, nel Tinkler di “Purificati”, in A di “Febbre”, che continua con gusto a raccontare scene di violenza e di stupro, ed anche, seppur con toni più velati, in “Psicosi della 4.48”, dove l’unica terapia che sembra sortire un certo effetto è quella delle cento aspirine mescolate con Sauvignon bulgaro di annata.
Quindi, forse, è proprio questa sprezzante autoironia che, in un momento delicatissimo, nell’istante in cui si sceglie di non esserci, si fa risentire, con quel famoso cappio intorno al collo di cui si legge appunto in “Psicosi delle 4.48”.
Il merito di aver aperto l’Italia a Sarah Kane va a Barbara Nativi, che la traduce e la porta in scena per la prima volta nel nostro Paese con “Blasted” e “Crave” con la Compagnia Laboratorio Nove al Teatro della Limonaia. Di qui si apre uno spiraglio, in cui altre grosse produzioni tentano con difficoltà e mestiere di infilarsi.
Tra queste sono da ricordare “Psicosi delle 4.48” di Piepaolo Sepe e “Purificati” di Marco Plini, prodotti dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, ed ancora “Psicosi delle 4.48” di Davide Iodice, “L’amore di Fedra” di Valter Pagliaro e il “Purificati” di Latella, fino ad arrivare al recente “Blasted” di Elio De Capitani dell’Elfo di Milano. Uniche grosse produzioni, le ultime due, che decidono di portare in scena uno spettacolo della Kane (e che fanno discutere e rumoreggiare per alcune scelte) nell’anno di ricorrenza del decannale della scomparsa .
Sempre quest’anno vanno in scena anche “Crave” della compagnia Murmuris di Firenze diretta da Laura Croce nel Circuito Teatripossibili, e “Psicosi delle 4.48” con due piccole produzioni diverse: una della compagnia Max Aub di Alessandria ed una dell’Estroteatro di Trento.
Nasce anche nel 2009 una fondazione non profit dedicata all’artista, partorita da un gruppo di addetti ai lavori (registi, attori, fotografi di scena e critici) con l’intento di raccogliere, nel tempo, tutto il materiale audiovisivo e cartaceo prodotto a livello mondiale, andando a costiture così un data base on-line disponibile a tutti.
Il sito della fondazione (www.sarahkane.org) aprirà proprio stasera e da qui proseguirà il lavoro di catalogazione ed archiviazione negli anni successivi, organizzando anche eventi e seminari ad hoc. Sempre dalla fondazione arriva la notizia che questa sera a Helsinki, al KoKoTeatteri, si svolgerà una serata di commemorazione dell’artista a cui parteciperanno alcune delle grosse produzioni finlandesi, mentre a Trento, notizia questa ancora da confermare, per domani sera è prevista una serata analoga al Teatro Spazio 14, di dimensioni di sicuro più ridotte ma dai contenuti interessanti, organizzata dalla giovanissima regista Antonella Fittipaldi.