Lo storico Robin George Collingwood spiega che “le fonti sono fonti quando qualcuno le guarda storicamente”. Henry Laurens, storico del mondo arabo, insiste invece sul fatto che è necessario raccontare la storia come in split-screen: nel momento in cui un evento si svolge in un contesto preciso, altrove ha luogo un altro evento che avrà un’incidenza decisiva sul primo.
Per descrivere il lavoro di Adeline Rosenstein, attrice e regista tedesca, cresciuta a Ginevra e formatasi al mestiere del teatro tra Berlino, Buenos Aires, Gerusalemme e Bruxelles, è necessario rivedere le nostre conoscenze storiografiche e interrogarsi su chi scrive la storia e come la scrive. Il lavoro documentario di quest’artista e dei suoi quattro compagni di scena riesce in effetti a trascinare lo spettatore per quattro ore nell’Inferno umano e storiografico del conflitto palestinese, con forza, intelligenza e umorismo.
Giocando coi mezzi del teatro i più vari – dal mimo all’interpellazione diretta del pubblico a sketch da cabaret – lo spettatore diventa complice di una conferenza fittizia, entrando nei meandri di un conflitto tra i più complessi della storia moderna.
In primo luogo, allo spettatore distratto, informato, impegnato o militante convinto di sapere quanto basta su questa (S)toria, Adeline Rosenstein fornisce tutti gli elementi per poter attraversare agevolmente i tre piani cronologici attorno e oltre i quali il racconto si snoda.
La Storia inizia nel 1798, quando la militarmente disastrosa spedizione di Bonaparte in Egitto provoca la distruzione della flotta francese e (letteralmente) piramidi di cadaveri, mentre in patria alimenta il mito del grand’uomo, del liberatore, e fa nascere un interesse sempre più perverso verso l’Oriente, verso l’esotico, le cui ricchezze dovranno essere salvate e le popolazioni civilizzate.
Alla storia dell’invenzione dell’Oriente da parte dell’Occidente, supporto ideologico per la colonizzazione del secondo sul primo – gioco di “descrizione-devastazione” cui il titolo allude – s’intrecciano le testimonianze di chi, artisti o intellettuali, nel 1948 va in terra di Palestina per edificare il socialismo. Il sogno della terra di Israele, costruita dai diversi sionismi nei secoli, o l’invenzione tutta novecentesca di una nuova Terra Santa dei patriarchi sono decostruite con la forza dei dati e delle ricostruzioni storiche, ma anche attraverso la voce, mai ascoltata, di autori di teatro palestinesi. Voci figlie della guerra del 1967, capaci di rendere il significato profondo della devastazione umana provocata dalla Nakba.
Al contempo, i disastri politici dell’Inghilterra, convinta di poter agevolmente usare e gestire il popolo palestinese per mantenere un controllo sulla regione (senza dimenticare le indicibili connivenze di sionisti o di frange islamiste palestinesi col nazismo al potere), sono tutti fatti raccontati, descritti e ricostruiti per essere devastati dalla forza tragica della realtà.
Ora, ciò che più di tutto è da mettere in luce di questo importante lavoro di riflessione, è il fatto di non cedere mai al pedantismo, di usare il medium del teatro con raffinatezza e misura magistrali, al punto da poter giocare, ridere, quasi irridere il dispositivo ormai classico del théâtre documentaire.
Se in effetti quest’ultimo è ormai da lungo tempo all’onore delle cronache teatrali francesi, quest’anno pare aver toccato il suo massimo con la programmazione al Festival d’Automne di una “personale” dell’artista Mohamed el Khatib capace di portare nuda e cruda la realtà sulla scena, usando come attori i protagonisti della storia che è raccontata.
Con questo spettacolo, invece, la realtà è mostrata attraverso un gioco teatrale semplice ed efficace, fatto della costruzione di due personaggi fittizi: una donna europea che filma gli orrori del conflitto israelo-palestinese e un uccellino dalla testa rotta, salvato da una scolaresca che lo porta con sé, in aereo, passandoselo di bocca in bocca.
Se Khatib fa arte della realtà e la documenta senza giudizio o senza filtri, Rosenstein è capace di giocare abilmente con le metafore costruite tramite l’immagine di una donna e di un uccellino ferito, metafore umane, invenzioni che permettono di attraversare il filtro delle realtà storicamente costruite per toccare con mano il cuore di una verità drammatica e paradossale.
Insomma, non solo con “Décris-Ravage” attraversiamo l’assurdo intorno al quale si dipana il problema palestinese e i suoi orrori, non solo per quattro ore ridiamo di una conferenza inventata, fittizia e ridicola, non solo gli attori in scena danno corpo a metafore e fanno dei conflitti tra popoli piacevoli e intelligenti sketch comici, ma attraverso la decostruzione della stessa narrazione teatrale, la verità umana di questo racconto ci è restituita nella sua interezza. Il che significa nella sua complessità, nella complessità umana di chi ieri voleva costruire la patria del socialismo in Palestina, e invece distruggeva villaggi; di chi voleva difendere la propria patria, e invece uccideva donne e bambini; di chi voleva descrivere e spiegare, e invece devastava.
Un’ultima, piccola, nota. Questo spettacolo è andato in scena nei giorni stessi in cui l’anniversario della Nakba veniva ricordato, in Israele, dai sassi palestinesi e dai tiri dei cecchini israeliani. Questo porta, inevitabilmente, a rileggere con altri occhi i racconti costruiti dai giornali di questi ‘fatti’. Ma porta anche a rivedere il concetto di storia e di racconto, e in una Parigi in cui scioperi, lotte, occupazioni e repressioni sono all’ordine del giorno, obbliga a riflettere profondamente sugli interessi di chi racconta una storia e sul potere del teatro di avvalorarla, sacralizzarla, banalizzarla, oppure sulla possibilità che questo medium propone di decostruirla, di “devastare” questa storia per dare voce all’umanità nascosta dietro il récit dell’attualità.
Décris-Ravage
Testo e Regia: Adeline Rosenstein
Spazio Scenico: Yvonne Harder
Luci e Direzione tecnica: Caspar Langhoff
Creazione Sonora: Andrea Neumann
Sguardi Scientifici : Jean-Michel Chaumont , Henry Laurens, Julia Strutz, Tania Zittoun
Con: Léa Drouet, Céline Ohrel, Adeline Rosenstein, Isabelle Nouzha et Olindo Bolzan
durata: 4 h
Visto a Parigi, Théâtre de la Cité internationale, l’8 aprile 2018