La follia è il simbolo del grande mistero metafisico che avvolge la vita e le nostre esistenze. Ma è anche la cornice nella quale tutti ci muoviamo cercando di definire la nostra identità. È il tempo della notte, faticosamente da illuminare.
In “Delirio bizzarro”, lavoro che Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi hanno portato all’Elfo Puccini di Milano nell’ambito della personale che comprendeva anche “Due passi sono” e “De revolutionibus”, i protagonisti sono un uomo fragile, ricoverato in un centro di salute mentale, e una donna in salute, assorbita dalla propria carriera.
Il delirio bizzarro è un disturbo codificato nella psicologia clinica. Esso caratterizza (leggiamo su Wikipedia) il paziente che «aderisce a un sistema di credenze totalmente non plausibili nella cultura di riferimento».
Cinzia Muscolino costruisce all’Elfo una scena ridotta all’osso. È un’installazione disegnata anche dalle luci di Roberto Bonaventura. Si tratta di una scultura essenzializzata rispetto al debutto dello spettacolo nel 2016, segnato da una struttura architettonica di maggiore impatto, ma forse meno evocativa.
Di quella messa in scena restano un tavolino-scrivania, delle sedie e degli sgabelli. La sagoma stilizzata di un’apertura con la scritta “Uscita” si slancia verso l’alto. Davanti a quella scritta Mimmino, un uomo con una tuta bianca (una sorta di camicia di forza) resta immobile a bocca aperta. Mimmino, rapito dal vuoto, è un gabbiano incapace di prendere il volo.
Nell’inerzia di quest’omiciattolo, nella sua stramba refrattarietà davanti a una libertà irreale, c’è la forza di un progetto che ha visto Carullo e Minasi confrontarsi con le strutture psichiatriche, di cui hanno sondato le dinamiche e di cui, soprattutto, hanno conosciuto i pazienti.
Mimmino, ex netturbino sedotto dalle stelle, rappresenta la vulnerabilità di un paziente che dovrebbe avere bisogno continuo d’aiuto e assistenza. Invece si gode, con la pensione d’invalidità al 90 percento, desideri, piccole manie, vizi innocenti come il tabacco e il caffè.
Mimmino ci ricorda che follia, prigione e anormalità sono categorie dello spirito e proiezioni della mente. Egli intuisce che l’assenza di libertà non è legata alla presenza di ostacoli fisici, ma si nutre di barriere mentali. La follia è la gabbia delle nostre sovrastrutture, l’insieme delle convenzioni del mondo borghese, ossessionato dall’apparenza, logorato dal mito della produttività e dalla mistificazione del successo patinato.
Ha la passione del teatro e sogna un ruolo da protagonista, Mimmino. Accanto a lui c’è Sofia, capelli sciolti fluenti, delizioso abitino viola, italiano forbito, studi classici. Sofia è una bambolina appena scesa da un carillon. Lavora come aiutante di un fantomatico dottor Allone (che in inglese suona all one, a stigmatizzare la pretesa – filosofica e di marketing – di sintetizzare il tutto in unità, di semplificare la complessità del reale in qualcosa di organico e razionale).
«In un’epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia» scriveva Saul Bellow nel romanzo “Il re della pioggia”. Lentamente anche Sofia si smaschera. Fa i conti con la follia di tutti, quella vulnerabilità che ci rende persone nel consorzio degli esseri umani.
La bellezza di quest’altro gioiellino artigianale firmato Carullo-Minasi sta nella sottile poetica dell’assurdo, fatta di silenzi e attese, di parole strascinate, di fissazioni come anafore, di doppi sensi come ossimori. “Delirio bizzarro” è un ulteriore lavoro intimo, delicato, sornione, che sviscera la fragilità umana spaziando tra diversi registri – dal comico al farsesco, dall’assurdo al teatro di figura – regalandoci momenti di tenera malinconia.
DELIRIO BIZZARRO
di e con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
scene e costumi Cinzia Muscolino
luci Roberto Bonaventura
produzione Carullo-Minasi e La Corte Ospitale
progetto vincitore Forever Young 2015/2016
durata: 55’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 31 marzo 2019