E’ un lavoro potente e difficile, “Dentro” di Giuliana Musso. Potente perché racconta e testimonia una storia vera, e in questa storia c’è un abuso, un abuso che è un incesto, inconfessabile, tenuto nascosto, non creduto, archiviato senza aver avuto una qualsiasi forma di giustizia.
Difficile perché è una storia di oggi, di ieri, e di domani; ed è un’esperienza delicata che non è facile ascoltare, rappresentare sulla scena, e raccontare a un pubblico seduto in un teatro senza cadere nella retorica, senza puntare il dito, e senza sommare alla violenza altra violenza.
Sul palco, questa volta, Giuliana Musso non interpreta nessun personaggio ma è se stessa, è colei alla cui porta ha bussato una donna con un segreto e una verità, e la speranza che raccontare la sua storia, raccontare la verità possa servire a qualcosa. Questa donna sul palco si chiama Roberta, è interpretata da Elsa Bossi, ed è la madre di Davide, Samuele e Chiara.
Fuori
Accanto a me, o meglio a una poltrona di stanza, si siede una giovane ragazza, molto bella. La sua bellezza e la semplice eleganza attirano a mia attenzione, e subito dopo la mia simpatia quando la vedo sedersi sulla poltroncina del teatro come ci si siederebbe sul divano di casa, buttandosi a peso morto. La poltroncina però non è morbida come quella di casa, e il fondoschiena della ragazza ne risente, facendola arrossire e sorridere di se stessa. Nella fila davanti, alla stessa altezza si siede il suo accompagnatore. Lo spettacolo inizia.
Dentro
Quella di Roberta era una famiglia comune con il solito tran tran, sembrava andare tutto bene fino al giorno in cui il marito decide improvvisamente di chiedere il divorzio e se ne va di casa senza dare spiegazioni. Roberta crede che la causa sia un’altra donna, ma la verità si fa strada attraverso l’incontenibile rabbia che la figlia esprime sempre di più, attraverso i suoi detti e non detti, il rifiuto di vedere il padre ma anche di aver vicino la madre. Chiara ha solo tredici anni quando il padre se ne va, e probabilmente subisce abusi dall’età di quattro anni, età in cui ha iniziato a manifestare un senso di rifiuto nei confronti dell’affetto della madre, sfociato poi negli anni in una brutale aggressività, un sentimento che era un grido di odio e di aiuto, rimasto inascoltato.
Gli anni trascorsi rivivono nei ricordi di Roberta come una sorta di limbo, in cui la donna ritrova i momenti in cui lasciava che fosse il marito ad alzarsi nel cuore della notte per andare a confortare i pianti di Chiara nella sua cameretta, in cui durante un campeggio ha obbligato la figlia a dormire da sola nel letto con il padre, nonostante la bambina si fosse rabbiosamente rifiutata di farlo, e ancora quando Chiara da bambina le aveva detto che quei lividi sul corpo le venivano fatti di notte, e tutte le volte che ha rincasato tardi la sera per il troppo lavoro, tranquilla come sarebbe qualsiasi madre per la presenza in casa del marito. Sono ricordi che pesano più di qualsiasi giudizio.
Fuori
La storia di Giuliana Musso è pugno nello stomaco fin da subito. Siamo ancora al primo capitolo, ne seguiranno altri dodici, e mentre sono in completo ascolto, mi accorgo di come cambia il respiro della ragazza seduta a una poltrona di distanza. È profondo e sta accelerando la sua corsa. Lo riconosco, è il respiro di quando l’emozione prende il sopravvento sulla nostra capacità di controllo e trabocca. Il ragazzo che siede davanti a lei, dandole le spalle, cerca nel buio la sua mano, che trema, e gliela stringe. Credo abbia iniziato a piangere subito dopo, disperatamente, e ha continuato per tutto il resto dello spettacolo.
Dentro
Giuliana e Roberta ci accompagnano dentro la storia attraverso 13 capitoli, che sono anche la genesi di questo lavoro, e la lenta discesa della madre verso una dolorosa consapevolezza. Entrambe si presentano come donne in prima linea di una battaglia, che è quella di ottenere giustizia, per Chiara, per la sua verità. Almeno sembra questa la spinta iniziale che muove il loro dialogo serrato, dolce e brutale, le incomprensioni, le urla di dolore di entrambe per il senso di impotenza, d’incredulità, e che smuove l’in-decisione di Giuliana Musso, che non sa se portare questa storia sul palco della Biennale Teatro di Venezia, dove è stata invitata da Antonio Latella ad affrontare con il proprio lavoro il tema della censura. E sembra essere sempre in nome di questa battaglia l’indagine che lei stessa conduce per capire come poter far riaprire un caso che è stato archiviato dalla polizia, perché nessuno crede a Chiara, perché “la sofferenza si vede ma non è una prova”.
Sul palco ci sono due file di sedie, sono rosse come il resto della scena, rosse come il “codice rosso” così come è stato nominato il provvedimento legislativo entrato in vigore un anno fa a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenza. Le sedie sono vuote, ci si siedono ora Roberta ora Giuliana mentre con i loro racconti, i ricordi, i dialoghi diretti e indiretti, rendono visibile una ferita che è impossibile rimarginare; a lacerarla oltremodo c’è anche quel cono d’ombra in cui viene lasciata cadere da medici, assistenti sociali, psicologi per salvare l’eterno ordine dei padri. “Ingoiate questo rospo” dice un avvocato. Nessun professionista aiuta Chiara, nessun esperto le crede, solo la madre con la sua inesperienza, e non senza difficoltà; la sola sulla quale probabilmente penderà il giudizio di chi ascolta. Una difficoltà però la sua che arriva da lontano, che nasce insieme al costituirsi del concetto di comunità, perché quella difficoltà è un prodotto culturale e si chiama tabù.
“Il segreto ha un contenuto preciso e un fine positivo: protegge qualcosa o qualcuno. Silenzia una verità che potrebbe danneggiare degli innocenti – spiega Giuliana – Anche la censura ha un contenuto preciso ma il suo fine è contrario a quello del segreto: danneggia gli innocenti, protegge vili interessi. Il tabù, per noi, oggi, è il puro terrore di sapere, quindi il suo contenuto rimane ambiguo e indeterminato”.
Il terrore di sapere la verità: “Io le dicevo – Me lo devi dire cosa ti ha fatto, dimmelo! Ma dentro di me pregavo – non me lo dire, non me lo dire” ammetterà la madre.
Nel corso dell’indagine sarà sempre più chiaro per entrambe che non esiste una via d’uscita, non c’è niente che potrà rimediare al danno subito da Chiara, e confortare la madre per non aver visto e ascoltato nel momento in cui era necessario farlo. La battaglia non può essere vinta. Non è possibile riaprire il caso, non è possibile ottenere giustizia, e comunque nemmeno la giustizia potrebbe riparare il trauma subito. Perché allora raccontare questa storia, perché raccontare un tale segreto? Perché portarlo sul palco di un teatro?
Forse perché non potendo ottenere giustizia, l’unico atto liberatorio possibile è svelarlo questo segreto, romperlo, ascoltarlo, e forse perché, come scrive Giuliana Musso, era necessario omaggiare la verità di tutti quei figli che non sono stati ascoltati e creduti.
Fuori
Mentre esco dal teatro mi risuona nella testa una frase di Roberta: “Ci sono un puttanaio di storie come questa”. La maggior parte delle donne vittime di violenza non denuncia la violenza subita, abusi e stupri spesso accadono in tenera età, e spesso da persone molto vicine; sulle vittime ricadono la sensazione di colpa, la paura di essere giudicate, e non credute, la preoccupazione di distruggere delle famiglie.
Mi è tornato in mente quando, lo scorso maggio su TikTok, sulla scia del #denimday, un numero infinito e impressionante di giovani ragazze e ragazzi in un gesto liberatorio, ebbero il coraggio di raccontare la violenza sessuale subita: i violentatori erano sconosciuti, vicini di casa, amici, parenti, fratelli, genitori. Una storia dietro l’altra, sembravano non finire mai. Rimasi sconvolta. Mi resi conto di quanto, fino ad oggi, io fossi stata semplicemente ‘fortunata’.
Non so chi fosse quella ragazza che sedeva a una poltrona di distanza, poteva benissimo essere Chiara, o l’unica amica che ha custodito il peso del suo segreto, o una delle tantissime ragazze che hanno vissuto la terribile esperienza di un abuso, o semplicemente una ragazza sensibile. Ma sono contenta di aver sentito, poco prima che lo spettacolo finisse, il suo respiro rallentare la sua corsa e riappacificarsi con l’emozione che l’aveva sopraffatto, come dopo aver superato una grande prova.
DENTRO. Una storia vera, se volete
Drammaturgia e regia Giuliana Musso
Con Elsa Bossi e Giuliana Musso
Musiche originali Giovanna Pezzetta
Consulenza musicale e arrangiamenti Leo Virgili
Scene Francesco Fassone
Assistenza e direzione tecnica Claudio Parrino
Produzione La Corte Ospitale
Coproduzione Operaestate Festival Veneto
durata: 1h 30′
Visto a Venezia, 48^ Festival Internazionale del Teatro di Venezia, il 18 settembre 2020
Ma spettacoli sul maltrattamento degli anziani non sono abbastanza politicamente corretti?
Strepitoso