Non servirebbe aggiungere altro: il titolo è sufficiente per Clemente Tafuri, David Beronio, Veronica Righetti e tutta la squadra/famiglia di Teatro Akropolis ad esprimere da dove vengono e dove vanno, per usare un gergo teatrale.
Coerenza, passione, tenacia invidiabili e coraggio, tanto coraggio, che ti permette di guardare avanti anche quando crolla un ponte a meno di un chilometro da dove sei o ti congelano l’approvazione dei lavori già iniziati in sala. Un territorio complicato, un quartiere decentrato, e una purezza d’intenti nella ricerca che, dieci anni fa, sotto una scuola di Sestri Ponente, sembrava pura utopia.
E invece no, tutto è andato come pochissimi avrebbero immaginato, ed ora siamo qui con la brochure in mano che riporta semplicemente la scritta “Dieci” e una mandragora come logo.
Questo vegetale magico, mezzo umano nell’aspetto, è la loro pozione speciale, la ricetta segreta di un percorso che ha avuto la lungimiranza di puntare tutto sull’incontro a trecentosessanta gradi.
Non solo spettacoli, non unicamente studi, convegni e momenti di formazione, ma tutto insieme, nello stesso luogo e per la stessa comunità. Una strategia apparentemente semplice ma di difficilissima realizzazione che però ha dato buoni frutti (ultima conquista la finale del premio Rete Critica 2019 nella categoria “progettualità/organizzazione”).
Oggi Akropolis è realmente ciò che voleva essere, un luogo speciale dal quale escono idee, pubblicazioni importanti, occasioni formative.
Questa decima edizione ha sancito la loro poetica, con una proposta diffusa di spettacoli e workshop per continuare ad intercettare un pubblico in crescita costante.
Molto spazio per la danza, ormai quasi il cuore del festival.
Ed è proprio una performance danzata ad aprire il programma dei 34 eventi spalmati sugli 11 giorni di programmazione attraverso alcuni luoghi cardine della vita culturale genovese.
E’ C&C Company di Carlo Massari a dar vita ad uno dei momenti più interessanti fra quelli a cui abbiamo partecipato. La performance “Beast without Beauty” ha visto il ritorno a Genova, sua città d’origine, di Emanuele Rosa, artista che fa parte della compagnia proprio a partire da questo progetto e un piacevole sold out della sala che ha colpito gli stessi protagonisti.
La miseria dell’uomo, l’affannata ricerca priva di razionalità dei due danzatori, persi nel bianco della scena, travalica la pura dimensione di movimento per tradursi in un’eccezionale drammaturgia della complessità, contaminandosi con la parola e cercando invano di nascondere una violenza che invece esiste ed è tangibile.
Il giorno successivo assistiamo ad un’altra performance di coppia, “Das Spiel (mit Antonella)”, un gioco che si carica di ritualità, lontano dalla parola pronunciata ma vicinissimo ad un racconto lieve intorno ad un tema difficile come la morte. I due performer sono collocati su un tappeto disposto su un lato della piccola palestra della scuola annessa all’Akropolis. E’ questo il luogo deputato ad una ricerca fatta di gesti continui, ripetitivi e costanti, apparentemente insignificanti ma poco a poco sempre più spaventosi.
Antonella Oggiano è davvero precisa e minuziosa nel prendersi cura dei dettagli di un corpo che sembra svanire, quello di Alessandro Bedosti, non nuovo ad esperienze artistiche di ricerca profonda.
Il ritorno nella sala principale del teatro ci porta quindi a confronto con una ricerca molto più visionaria, extraquotidiana e complessa, attivata da Masque Teatro di Lorenzo Bazzocchi che, oltre a curare la regia della performance “Mnemische Wellen”, è anche colui che ha costruito e progettato l’altrettanto complessa macchina teatrale alla quale ci troviamo di fronte. Un enorme struttura metallica tubolare campeggia sul fondo, mentre di fronte ad essa, su un piano inclinato movente, prende vita il corpo nudo di Eleonora Sedioli, pronto a reagire agli abissi dai quali proviene per giungere ad una luce totalizzante e liberatoria.
Il primo fine settimana del festival si dedica quindi al Buto, che vive nuovamente nelle enormi sale del Maggior e Minor Consiglio, a Palazzo Ducale.
Tre sono le performance dedicate, con l’ottica di mettere a confronto i maestri che hanno lavorato a questa disciplina fin dalle sue origini con le ultime generazioni di performer.
La più interessante è portata in scena, in prima assoluta, da Tadashi Endo. La forza espressiva è tale che, come sottolineato da Alessandro Pontremoli durante l’incontro successivo allo spettacolo, sembra che sia il danzatore stesso ad accendere il sontuoso lampadario del salone, attivato invece dalla regia a seguito di un gesto ad esso indirizzato. “Souls in the Sea” è un omaggio del maestro giapponese ai morti in mare. La continua contrapposizione del vuoto e del pieno che contraddistingue la poetica di Endo si sposa con il movimento disperato dei corpi nelle onde e si unisce al ritmo della colonna sonora, che sembra uscire direttamente dagli arti del performer restituendoci una disperazione esplicita e tangibile.
Si torna in teatro per il consueto appuntamento che la programmazione di Akropolis dedica al circo contemporaneo, che vede sempre una grande partecipazione di un pubblico più variegato. Il giovane duo belga André Leo dà vita a “125 BPM”, che ruota intorno alla contrapposizione fisica, ironica e assurda di due ragazzi alle prese con equilibri e disequilibri dei loro corpi che girano, respirano, cadono e si rialzano come marionette alla disperata ricerca del Tempo e dell’equilibrio nel movimento.
Chiude la giornata “L’emozione del pudore” che vede Massimiliano Civica alle prese con un’analisi ironica e curiosa, ossia il cercare la natura del sentimento che si prova a teatro. Per farlo utilizza il video e, in particolare, i contributi di Orson Welles, Nina Simone ed Ettore Petrolini. Il regista vuole dimostrare come i grandi attori ci spingano all’emozione attraverso il pudore dei loro sentimenti, resistendo cioè – ed è questa la parte interessante della sua tesi – alla tentazione classica di farsene travolgere e di darne libero sfogo davanti al pubblico.