Diplomazia dell’Elfo, partita a scacchi tra sentimento e ragion di stato

De Capitani e Bruni (photo: Laila Pozzo)
De Capitani e Bruni (photo: Laila Pozzo)

La forza salvifica della parola. La capacità di argomentare, anzi, di persuadere. Perché se l’argomentazione è pura astrazione logica, la persuasione scalda l’animo, tocca carne, cuore e cervello, muove all’azione.

“Diplomazia” di Cyril Gely, messo in scena all’Elfo Puccini di Milano (prima della nuova chiusura) da Elio De Capitani e Francesco Frongia, partendo dalla traduzione di Monica Capuani, è uno spettacolo attualissimo sulla forza salvifica della parola.
È la narrazione di un incontro. Siamo a Parigi, al crepuscolo dell’estate 1944. La seconda guerra mondiale è ai sussulti finali. L’esercito germanico è in rotta. La battaglia di Stalingrado (luglio ’42 – febbraio ’43) e il D-Day (giugno ’44) hanno dato il colpo di grazia alle velleità espansionistiche di Adolf Hitler, scampato miracolosamente a un attentato ordito per ucciderlo (operazione Valchiria, luglio ’44).
Il 25 agosto del ‘44 il generale Dietrich von Choltitz, governatore di Parigi durante l’occupazione tedesca, ha l’ordine di radere al suolo la capitale prima della ritirata. L’esplosivo è piazzato nei luoghi strategici, strade e ponti sulla Senna. Sarà una carneficina. Sarà anche la distruzione dei monumenti principali della città.

In “Parigi brucia”, nel 1966, René Clément aveva già inscenato l’incontro decisivo tra von Choltitz (Gert Froebe) e il diplomatico svedese Nordling (Orson Welles), che usando le armi della diplomazia cercò di convincere il generale teutonico a recedere dai propositi distruttivi. La vicenda fu poi al centro di “Diplomatie”, interpretata a teatro nel 2011 da Niels Arestrup e André Dussollier, e portata al cinema nel 2014 dal regista Volker Schlöndorff.

All’Elfo Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani dominano la scena. Von Choltitz (De Capitani), proveniente da una schiera di soldati prussiani, non ha mai esitato a obbedire agli ordini. Tutto ciò preoccupa il console scandinavo Raoul Nordling (Bruni), che sale la scala segreta che lo conduce all’appartamento del generale, all’hotel Meurice.
In sala Shakespeare la scena è un soggiorno arioso, dominato da un’enorme scrivania di legno, puntellato di simboli nazisti. Due ampie portefinestre aprono lo sguardo sulla città, lasciandone intuire la maestosa bellezza. Ne penetra una luce magnifica e putrida. Rumore di scoppi, spifferi di vento. I suoni disegnati da Luca De Marinis sono fragori sinistri.

L’introduzione svela lo scenario pianificato da Hitler per cancellare Parigi dalla mappa: l’esplosione di tutti i ponti, tranne il Ponte Nuovo per consentire il movimento delle truppe naziste dalla riva destra alla riva sinistra, seguita dalla distruzione dell’Opéra Garnier (edificio preferito del Führer), dell’Assemblea nazionale, della Place de la Concorde, dell’Arco di Trionfo, di Notre-Dame, della Torre Eiffel. L’alluvione della Senna a seguito dell’esplosione, come accaduto nel 1910, avrebbe dovuto causare la morte di migliaia di parigini.

Se l’incontro von Choltitz-Nording in soccorso di Parigi è immaginario, ci permette tuttavia di sintetizzare il soggetto, di evocare le sfide e di offrire un formidabile duello di attori: un De Capitani tetro e pensoso e un Bruni ironico, leggero, elegantemente (e didascalicamente) vestito di bianco.
De Capitani e Bruni rinnovano il duello di parole che avevamo già apprezzato in “Frost/Nixon” e nel “Vizio dell’arte”. I tormenti di von Choltitz ricordano la manzoniana notte dell’Innominato. Ma qui la maieutica salvifica che mette a nudo le contraddizioni del generale tedesco, ha il volto e le parole di Nordling, oratore sagace, ironico, capace di porsi sempre un passo avanti all’avversario.

Come in una partita a scacchi ad alta tensione, il pubblico coglie la criticità della situazione. Ma, al contempo, in un “Titanic” invertito, gli spettatori sono rassicurati dalla consapevolezza che hanno sin dall’inizio dell’esito felice della trattativa. Concretezza e speranza, realismo ed enfasi, si mescolano in dosi perfette.
L’approccio dell’opera è più metaforico che rispettoso della verità storica.
Il testo mette in risalto le qualità recitative, ma anche l’amalgama consolidato tra i due navigati attori.
Il ritmo è serrato. La luce, perfettamente calibrata da Michele Ceglia, mantiene alta l’adrenalina prima della sempre ipotetica scadenza della distruzione della capitale.
Un dialogo introspettivo. Una lezione d’oratoria tra ragion di stato, dialettica e psicanalisi, in cui è apprezzabile anche l’apporto degli altri attori (Michele Radice, Alessandro Savarese, Simon Waldvogel).
Una regia sobria d’impianto tradizionale. Al di là di qualche indulgenza alla spettacolarizzazione (specie nel finale) la forza del dramma sta nella contrapposizione di due personalità: un soldato abituato a obbedire agli ordini e un diplomatico amante della cultura e degli uomini. E c’è anche una domanda rivolta agli spettatori: che cosa fareste al mio posto?

In caso di riapertura dei teatri, “Diplomazia” sarà riprogrammato dal 25 novembre al 13 dicembre.

DIPLOMAZIA
di Cyril Gely
traduzione Monica Capuani
uno spettacolo di Elio De Capitani e Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani
e con Michele Radice, Alessandro Savarese, Simon Waldvogel
luci Michele Ceglia
suono Luca De Marinis
produzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Catania
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 20 ottobre 2020
Prima nazionale

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