A confronto. Giudizi, sensazioni, messaggi, visioni. Ricci/Forte sbarcano a Roma con la novità/natività site-specific “Some disordered Christmas interior geometries”.
Klp manda in avanscoperta due redattori. Diversi per gusti, età, stili, opinioni.
Ora li interroghiamo. Ecco cosa esce da quest’incontro multiplo.
Cominciamo dalla location.
SP: Tra le viscere della Roma antica, con un tocco di contemporaneità. Labirintica e nascosta.
SLG: Si tratta di un’installazione site-specific, dunque non può che appoggiarsi, nelle intenzioni e nella realizzazione, alla location. Il Silos della Fondazione Alda Fendi è situato nel bel mezzo del Foro Traiano, proprio di fronte alla colonna omonima. Praticamente uno dei posti più antichi e meglio conservati di Roma. Le stanze interne sono una commistione di antico e moderno: da un ambiente iniziale a mura bianche si passa vertiginosamente a una sorta di sotterraneo imperiale, dove una rete di passerelle corre sopra rovine di colonnati e mozziconi di statua. Una sorta di catacomba del classico.
Di che colore è lo spettacolo?
SP: Bianco candido, come il latte con cui abbiamo brindato.
SLG: Verde acido.
Tre aggettivi per sintetizzarlo.
SP: Viscerale, nostalgico, raffinato.
SLG: Trash-pop, sovraesposto, innocuo.
Quale canzone natalizia gli mettiamo in sottofondo?
SP: “Vorrei cantare insieme a voi in magica armonia (magica armonia). Auguri Coca Cola e poi un coro in armonia (canta insieme a noi)…”.
SLG: Forse una Jingle Bells cantata dai Sex Pistols.
Una performance col botto o una rispolverata agli addobbi già utilizzati gli scorsi anni?
SP: Col marchio di fabbrica ricci/forte: seducente e scomoda.
SLG: Nessuna delle due cose. Si nota che c’è un percorso: la location fa molto ed è molto interessante. Stefano Ricci e Gianni Forte tentano sempre di creare qualcosa di nuovo e si vede che si affidano anche ai performer, per lo meno nelle idee. Il problema, in questo caso, sta molto nella percezione dello spettatore. Come spesso accade nei site-specific il pubblico sa di essere al centro di qualcosa di irripetibile. Se la performance fa il botto non è merito della performance in sé ma della risonanza interna ed esterna al pubblico che ha l’intera produzione.
L’elemento più bello.
SP: Le cadute dalle zeppe delle ambigue infermiere immacolate.
SLG: La parte iniziale, di grande impatto visivo grazie alle lampade wood che fanno brillare ogni sfumatura del bianco: dai denti al latte che viene offerto, dagli occhi ai lacci delle scarpe. Il gioco delle infermiere che fanno specchiare gli spettatori nei vassoi è interessante. Tutta la prima parte lascia libero lo spettatore di partecipare, non lo incatena. E questo è fondamentale.
L’elemento più brutto.
SP: Il ritardo nell’inizio, in aumento a ogni performance. Troppo pubblico.
SLG: La seconda parte dello spettacolo, da quando ci si sposta nelle altre sale. Se all’inizio è interessante strisciare tra le rovine, è poco efficace il parlare alle orecchie degli spettatori, che sono troppi per riuscire davvero a partecipare. Il momento peggiore è quello dei monologhi finali, in cui affiora una grande banalità. Pur comprendendo che il target generale non ammetta troppe sottigliezze, occorrerebbe un’idea drammaturgica più coraggiosa. In questo modo invece non ci disperiamo: vediamo qualcuno che si dispera. È noioso.
E’ una performance che fa discutere?
SP: Fa riflettere più che discutere, sui sogni rubati e sul mercato dei sentimenti.
SLG: Fa discutere quelli che hanno aspettative più alte, perché Stefano e Gianni hanno affilato punte molto più aguzze con cui infilzare gli spettatori. Fa discutere se si pensa che il teatro sia solo da “frequentare” in maniera voyeuristica. In questo lavoro lo spettatore assiste come in un museo (non una galleria, un museo), al sicuro da ogni reale turbamento.
Amante o detrattore di questa operazione?
SP: Amante, su tutta la linea.
SLG: Curioso nei confronti del loro lavoro, detrattore di questa operazione, che banalizza certa ricerca fatta dal loro modo di fare teatro e confeziona Ricci e Forte etichettandoli come quello che non sono. A loro dico direttamente, ripetendomi, che il rischio è che diventino l’imitazione di se stessi.
Cosa, Ricci/Forte, possono buttar via dallo spettacolo?
SP: …
SLG: C’è più di un momento che tende alla pura estetica. E in uno spettacolo che vuole dissacrare non dovrebbe esserci posto per la pura estetica. Forse toglierei la poesia recitata (pure bene) da Anna Gualdo e di certo, se non resi più acuminati, anche i due monologhi seguenti. Ridurrei il numero degli spettatori, in modo che possano davvero sentirsi accerchiati da certe atmosfere.
Lo rivedresti?
SP: Sì, per nascondermi sotto terra e farmi raccontare buffe storie di Natale. Per divertirmi ancora a vedere le reazioni degli invitati della famiglia Fendi.
SLG: Solo se ci fossero dei margini di cambiamento, o anche solo di improvvisazione. Così com’è, no.
Quante stelle?
SP: Tre e mezzo.
SLG: Due e mezzo.
A chi lo consiglieresti?
SP: A chi scrive la letterina a Babbo Natale, ai fan di Hello Kitty, agli shopaholic.
SLG: A uno spettatore radical chic che, per sano egocentrismo, ha voglia di sentirsi al centro di una provocazione e di un’azione estrema; a chi si è lasciato conquistare da questa psicosi modaiola che circonda (anche loro malgrado) Ricci/Forte e vuole poter dire d’aver visto un loro lavoro; a chi si accontenta di emozioni già confezionate; e, per dovere di testimonianza, a tutti i colleghi.
SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES
con: Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Anna Terio, Barbara Caridi, Elisa Menchicchi, Fabio Gomiero, Giuseppe Sartori, Marco Angelilli, Valentina Beotti, Valerio Sirna, Velia Esposito
stylist: Simone Valsecchi
movimenti: Marco Angelilli
assistente regia: Barbara Caridi
regia: Stefano Ricci
durata: 25′
Visto a Roma, Silos Fondazione Alda Fendi, il 10 dicembre 2010
Repliche ancora oggi e domani (14, 15 dicembre)