La vita è da intendersi come una lotta o come una lotteria? Nessuna delle due probabilmente. Certo è che siamo messi in gioco, o forse sarebbe meglio dire: giocati, impigliati in una vicendevole rete tra chi comanda e chi subisce.
Siamo parte di un gioco sociale in cui se non si ha un “capitale di partenza” (economico o culturale) a garanzia di una serena lucidità, si rischia di essere come Linda Barbiani (qui interpretata da Consuelo Battiston), smarrita e in ritardo sulla lettura delle dinamiche terrene, in preda ad una vaga speranza di cambiamento, quella tanto astutamente cara ai mercanti di sogni eterodiretti, così popolari ai giorni nostri.
“Docile” come un animale domestico, come un cristiano quieto nella subordinazione o come un impegnato impiegato, Linda entra in scena in ritardo, mentre il pubblico in sala sta già imparando da Andrea Argentieri come far crescere il proprio essere nel tempo, tra self efficacy ed empowerment, come far di sé stessi un’azienda o una macchina dal massimo rendimento.
Lui – un po’ motivatore aziendale, un po’ imbonitore da televendita, un po’ guru – saprà anche diventare, in un’altra delle “stanze” allestite nell’ultimo lavoro di Menoventi, un medico dal cinismo facile, dal bizzarro atteggiamento, alla ricerca della sua gallina dalle uova d’oro con cui arricchirsi facilmente.
Lei, incastrata nelle trafile del quotidiano, sulla soglia dell’autismo, non sa che farsene della sua vita mancante, e forse neppure di un’altra al posto di quella.
Ma c’è un meccanismo di attivazione del desiderio che progressivamente trasforma la docilità in determinazione, e la subordinazione in proattività. A quel punto anche Linda verrà sollecitata a farsi qualche domanda per capire dove una maggiore lucidità vorrebbe portarla. Si azzarda a pensare di poter agire davvero. Inizia a credere agli aforismi che scorrono sulla tabella luminosa che sovrasta la scena: dal dovere passa al volere, il suo destino diventa impregnato di magia…
Come in esperimenti precedenti (“Perdere la Faccia” e “Invisibilmente”, ad esempio), Menoventi gioca con ambiguità sullo statuto della messa in scena e del dispositivo spettacolare, sul rapporto di sottile e, più o meno coatta, complicità con lo spettatore, in un divertito metterci e mettersi in mezzo, insinuando dubbi sull’autenticità del reale, nello spirito dei Truismi di Jenny Holzer (ossia realtà ovvie) utilizzati durante lo spettacolo, tra impulsi irrazionali e fredde indicazioni didascaliche.
In una scena che ricorda a tratti una sala bingo e poi, con una sorta di montaggio alternato, uno studio medico, “Docile” – alla regia, come di consueto, Gianni Farina – procede con fare fiabesco, per apertura di porte, stanze, orizzonti, ricorrendo a cavalcate nei ricordi infantili di Linda, passando a episodi esemplari in grado di plasmare il prosieguo di una vita, fino ai “grandi temi” sulla bocca di ogni venditore di speranze: lavoro, salute, affetti, stabilità.
Nella grande ludocrazia in cui siamo piombati, macchina algoritmica avara di poesia, cos’altro volere dalla propria esistenza? Cos’altro pensare di poter vincere?
In scena il 9 febbraio al Teatro Biagi D’Antona di Castel Maggiore (BO) e il 16 febbraio a Rimini.
DOCILE
di Gianni Farina e Consuelo Battiston
con Consuelo Battiston e Andrea Argentieri
regia Gianni Farina
immagine di Marco Smacchia
organizzazione Ilenia Carrone
produzione E/Menoventi
in collaborazione con Masque teatro, progetto interregionale di residenze artistiche 2017
grazie a Ravenna Teatro, Teatro Due Mondi/Casa del Teatro, Flora Moretti, Giovanni Delvecchio, Paolo Banzola
applausi del pubblico: 60’’
Visto a Roma, Angelo Mai, il 18 novembre 2018