Dottor Faust alla prova: Giovanni Ortoleva riscrive Marlowe

Mazza e Sorgente (ph: Giulia Lenzi)
Mazza e Sorgente (ph: Giulia Lenzi)

Torna in scena con Francesca Mazza e Edoardo Sorgente “La tragica storia del dottor Faust”, che aveva debuttato a fine 2021 a Genova prodotto dalla Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

In questi giorni, e ancora dal 16 al 19 febbraio al Teatro Fontana di Milano, torna in scena “La tragica storia del dottor Faust”, scritto e diretto da Giovanni Ortoleva, liberamente ispirato alla tragedia di Christopher Marlowe. Terzo capitolo della trilogia dedicata alla ribellione a Dio (dopo “Saul” e “I rifiuti, la città e la morte”), la rilettura-riscrittura del mito del professore di Wittenberg si mostra, secondo una modalità di composizione che sembra essere la cifra riconoscibile del regista, come un costrutto di pattern stilistici eterogenei, che affondano il testo d’origine con intenzioni e motivazioni diverse e che – invece di portare a processi di esclusione e depennamento – lavorano in sinergia, portando a un lavoro concluso che assume pertanto una forma inusuale.

Perché Faust? E perché il Faust di Marlowe?
Giacché, come dimostrato con il suo “Saul” o in qualche modo anche con “I rifiuti”, Ortoleva mostra una predilezione per i testi “imperfetti”, l’occasione di poter lavorare a un testo incompiuto (peraltro già affrontato nel ‘76 da Aldo Trionfo – di cui cadeva il centenario dalla nascita lo scorso anno – con “Faust-Marlowe-Burlesque”) deve essere risultata particolarmente allettante per il regista fiorentino, che su di essa ricama una drammaturgia tutta nuova e sorprendente.

La scelta drammaturgica di Ortoleva è quella di riscrivere completamente il “Doctor Faustus” di Marlowe e dividere il dramma in tre parti, un prologo e un breve epilogo, e di ambientarlo nella cornice-scatola di un teatrino di burattini a dimensione umane (creato da Marta Solari, che firma anche i costumi), in cui i due burattini sono la eccezionale Francesca Mazza e il luminoso Edoardo Sorgente, la prima nel ruolo di Faust, il secondo nel ruolo di Mefistofele, e tutti gli altri personaggi secondari di ispirazione marlowiana (l’assistente Wagner, i fratelli Cornelius e Werner, l’angelo buono e l’angelo cattivo).
Il primo “atto” (in uno spettacolo ad atto unico, sia chiaro), è scritto – o meglio riscritto – in rima e ricalca la drammaturgia di Marlowe, con momenti divertenti e trovate esilaranti, in primis gli attori-burattini che agiscono muovendosi nella finestrella del teatrino soltanto sul piano orizzontale e tenendo le braccia tese con i guanti a manopola, proprio come i burattini della tradizione popolare.
Il burattino è la metafora della condizione dell’uomo costretto all’inazione, impossibilitato nel movimento e nella libertà di espressione corporea in quanto schiavo del suo stesso vivere, della sua stessa mortalità.

Di rilievo in questa parte il trasformismo di Sorgente, vero mattatore istrionico che alterna vari registri comici – sempre molto alti – con cambi di parrucche, agguati col volto sulle finestrelle laterali ad interpretare l’angelo buono e l’angelo cattivo della coscienza del Dottor Faust, un rovesciamento del cappotto nero del servo Wagner ed ecco che l’interno rosso diventa l’abito di raso del demone Mefistofele; proprio con l’arrivo di Mefistofele e con la stipula del patto con cui Faust vende la sua anima al diavolo, in cambio di poteri illimitati per ventiquattro anni, appare in scena l’incarnazione, il passaggio fisico dall’uomo-burattino all’uomo-uomo, una sorta di transustanziazione scenica al contrario, un incantesimo secondo cui il fantoccio scopre il vero sé carnale, le sue braccia di colpo libere e leggere, in un’immagine racchiusa nell’attimo in cui Faust si spoglia della sua tunica e dei suoi guanti, e si sofferma, stupito, a guardare le sue nuove braccia nude e umane.

Nella seconda parte, Faust e Mefistofele sfondano la convenzione teatrale, iconoclasticamente scavalcando la cornice del teatrino e recitando a piedi nudi sul piccolo proscenio, in stretta prossimità col pubblico delle prime file della Claque.
Questa sezione non è più scritta in versi, ma in un dialogato sciolto e serrato. È il momento della vera rivisitazione in chiave contemporanea del mito. Infatti in questo punto, nel testo originale, seppur corrotto da molti interventi più o meno adespoti (come illustrato da Nemi D’Agostino nell’introduzione a “Il Dottor Faust” di Marlowe per Mondadori) avvengono una serie di stranezze e prodigi che Faust decide di compiere negli anni del suo mandato: feste in Vaticano, festini e banchetti orgiastici, prodigiose apparizioni di frutta fuori stagione.

Su questa parte “apocrifa” Ortoleva decide di intervenire con maggiore ingombro personale, creando una tagliente satira surrealista della geopolitica e della sociologia contemporanea, anche recentissima (fra tutti, i riferimenti al governo Meloni, all’immigrazione e al traffico di esseri umani, alla guerra).
È questa sezione il momento in cui il testo drammaturgico si dimostra realmente vivo e vibrante, proprio perché attualissimo, mutevole, dinamico e passibile di rimaneggiamenti (tanto che nelle repliche del 2022 le riflessioni intavolate da Mefistofele e Faust erano più mirate verso la pandemia e il dibattito sui vaccini).

La terza sezione scompagina completamente i registri e ci presenta, stavolta fedele ai versi originali del Doctor Faustus, la dannazione del professore ritornato da solo all’interno della scatola del teatrino, che diventa un inferno rosso infuocato e assordante; la voce urlante e disperata della Mazza è distorta e riverberata da un microfono a mezz’aria con un’asta lunghissima che ne segue i movimenti, come quello del tecnico del suono per la presa diretta.
È un abisso tragico e infernale, un descensus ad inferos reale e spaventoso, evocativo di un vero senso del tragico e dell’orrorifico su un tappeto sonoro avvolgente e stridente, intarsiato di lamenti, lingue esoteriche e pianti di bambini.

Ortoleva drammaturgo, nella sua (ri)scrittura, compie un percorso a spirale sul testo, iniziando da vicino per poi allontanarsene e riavvicinarsi alla casa madre, passando dalla rima al dialogo sciolto, per poi tornare ai versi originali, creando una vertigine che va dal teatro dei burattini alla commedia, dalla farsa alla tragedia in un’unica soluzione, dal dramma elisabettiano alla tradizione epica dei teatrini di piazza fino alla satira dell’oggi e alla distorsione audio ipertecnologica del finale, unendo l’antico e il contemporaneo, il brillante e l’oscuro, il classico e il post-moderno, la fonte originale e l’originale rivisitazione.
E sempre su questa falsariga del gioco degli opposti sta non solo la scelta di scavalcare il gender con un Faust donna (proprio perché un accademico oggi potrebbe benissimo essere una Dottoressa Faust), ma un Faust donna che parla al maschile, inscenando e sottolineando un ampissimo divario fra la scrittura irrisolvibilmente fallica di Marlowe, e la problematicità linguistica della parità del genere odierna e la lingua italiana – dai fautori dello schwa al Signor Presidente del Consiglio.

Anche il cast, la strana ma felicissima coppia Mazza-Sorgente, appartiene a questa logica dei forti contrasti: da una parte l’attrice due volte premio Ubu, già musa di Leo De Berardinis, e dall’altra un talentuosissimo astro “Sorgente”, non ancora premiato ma che ci si augura lo sia presto, che si conferma magnifico interprete della regia dell’amico Ortoleva, suo ex compagno alla Paolo Grassi di Milano.

Concludendo, questo Faust secondo Giovanni Ortoleva, dall’aspetto scherzoso e terribilissimo insieme, si mostra a noi spettatori come un prezioso concentrato di teatralità, un divertissement su un tema originale che gioca al richiamo attraverso le variazioni di un mito noto ma evidentemente non consumato, ricamato su una struttura imperfetta (perché corrotta alla fonte) ricalcata in trasparenza, in un continuo rimbalzo fra la vita e la dannazione, la luce e la tenebra, la parola e la morte, la scena viva e la pagina scritta.

LA TRAGICA STORIA DEL DOTTOR FAUST
liberamente tratto da Christopher Marlowe
con Francesca Mazza e Edoardo Sorgente
drammaturgia e regia di Giovanni Ortoleva
scene e costumi di Marta Solari
musiche a cura di Pietro Guarracino
movimenti e assistenza alla regia Anna Manella
assistente scene e costumi Maria Giulia Rossi
produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

Durata: 1h 05’
Applausi del pubblico: 3’

Visto a Genova, La Claque, il 19 gennaio 2023

 

 

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