L’affascinante spettacolo di ammirare da lontano la centrale elettrica di Fies a Dro, che si staglia come un castello sul greto del fiume Sarca, per noi che frequentiamo Drodesera da quasi vent’anni, cioè da quando questo piccolo, ormai grande, festival si teneva ancora in paese, diventa quasi naturale.
L’abbiamo visto crescere anno dopo anno, questo spazio, che sembra fatto apposta per il teatro, con i suoi luoghi dai nomi antichi: Turbina, Forgia, Sala Comando, Mezzelune, e col suo parco dove si attende l’inizio degli spettacoli sorseggiando vino, gustando piatti di tutte le regioni italiane, guardando immagini e ascoltando musica parlando insieme agli artisti.
Tutto naturale appare al pubblico, che vi arriva in navetta dal paesino a dieci minuti da qui. Eppure c’è voluto tanto coraggio e pazienza da parte di Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna per far diventare passo passo questa centrale idroelettrica, situata in un piccolissimo paese del Trentino, uno degli strenui baluardi della ricerca italiana.
Un fortilizio dove si lavora tutto l’anno non solo al festival, perché qua c’è una vera e propria factory di giovani artisti: Pathosformel, Teatro Sotterraneo, Francesca Grilli, Marta Cuscunà, Anagoor, Codice Ivan, Dewey Dell.
“Ci piace osare – ci racconta Barbara Bonisegna – ci piace investire nei giovani, ci piace trovare nuove creatività e poi unire in progetti persone e artisti assolutamente in antitesi tra di loro. Quest’anno Marta Cuscunà, meravigliosa narratrice con burattini e vincitrice due anni fa del Premio Scenario per Ustica, ha lavorato con Francesca Grilli, una performer d’ambiente. Si sono scambiate senza conoscersi una drammaturgia di immagine e parole attraverso veri e propri piccioni viaggiatori. L’anno prossimo sarà invece la volta di Pathosformel e Sotterraneo lavorare insieme”.
E’ una nuova generazione di teatranti che si sta facendo le ossa qui a Dro, come è giusto che sia, e come era giusto vedere all’inizio del percorso del festival con Marco Baliani e Moni Ovadia, e più avanti, non molto tempo fa del resto, Motus, Fanny & Alexander, Romeo Castellucci, Teatrino Clandestino, ma anche una personale dedicata ad Emma Dante.
Sempre avanti coi tempi Drodesera, come aveva intuito sul Corriere della Sera Raboni, con cui chiacchierammo un pomeriggio di molti anni fa con accanto la sua musa vestita di nero, con tanto di guanti, nel caldo di fine luglio.
Nessuna cosa è lasciata al caso a Dro, dopo “Avere trent’anni”, come il festival ed in generale come gli artisti che lo attraversano, quest’anno il titolo della rassegna, che prosegue fino al 30 luglio, è significativamente “Caracatastrofe”, ed il suo senso è lasciato nel preziosissimo catalogo nero come l’ebano ad uno scrittore, Antonio Scurati, ad un politico, Alessandro Politi e ad un geologo, Marco Tozzi.
Catastrofe perché tutto quello che ci ha circondato pare d’improvviso liquefarsi, Cara perché, forse, e diciamo forse, parafrasando la tragedia, dopo la distruzione potrebbe esserci una salvifica risurrezione.
Molti degli artisti presenti quest’anno al festival interpretano a loro modo il tema, a cominciare
dai giovanissimi performer provenienti da tutta Italia che trasformano la Galleria con le loro istallazioni.
E così poi gli Artefatti, tra due crolli: quello del comunismo e quello delle Twin Towers, destrutturando gli Orazi e i Curiazi di Brecht e regalandoci anche un curioso testo di Tim Crouch prodotto alcuni anni fa ma in perfetta sintonia surreale col tema.
E poi gli allegri eversori di Teatro Sotterraneo, che ci introducono filosoficamente al riso per parlarci del tempo presente dove, ahinoi, c’è poco da ridere.
Ogni anno il festival ospita Virgilio Sieni, che questa volta offre attimi di poesia con “Atlante del bianco”, in cui Giuseppe Comuniello si muove in un universo tutto bianco pieno di impalpabile lievità, in un progetto nato all’interno dell’Accademia del Gesto di Firenze che coinvolge danzatori non vedenti.
E ancora un piccolo sguardo anche al botteghino (ma qui, del resto, tutti gli spettacoli sono esauritissimi). In linea con quello che la ricerca più estrema ci offre, il gruppo del momento con fan al seguito Ricci/Forte presenta sia l’ultimo spettacolo “Grimmless” che “Imitationofdeath”, l’esito di un laboratorio con sedici giovani attori e danzatori costruito a Dro e primo studio in vista dello spettacolo.
Su Ricci/Forte come sempre ci si divide: chi li trova troppo modaioli, chi stigmatizza i lividi sul corpo dei giovani attori, chi piange di commozione. Noi che abbiamo amato molto “Macadamia Nut Brittle” e poco “Troia’s discount” stiamo nel mezzo, intravediamo pur nei limiti dell’esito laboratoriale, echi sinceri, immagini con uno stile ormai codificato che riverberano Bausch e Platel, ma avvertiamo anche come il raffinatissimo gioco con le parole che contraddistingue i loro lavori si stia incartando su se stesso, rischiando di diventare mero esercizio di stile.
La lieta sorpresa del festival è lo spettacolo di Codice Ivan “Gmgs_What the hell is happiness”, la loro opera più matura. I molti segni che lo spettacolo offre, tutti per lo più incisi dalla scrittura, nella sua forma meno elaborata, intrisi di divertita ironia, ci rimandano all’impossibilità dell’uomo di essere felice, al ricordo di un Eden perduto che non implicava nessuna scelta e che difficilmente potremmo riconquistare. Codice Ivan sembra qui aver afferrato finalmente, pur nel rispetto dello stile che gli appartiene, tutte le regole del teatro, restituendocele con sapienza lineare ed emotiva.
Avevamo detto ‘cara catastrofe’, e la speranza ce la danno con il loro corpo in evoluzione gli otto adolescenti belgi di Teenage Riot guidati da Alexander Devriendt, una delle frequenti scoperte di Drodesera, per il secondo anno al festival.
Alla fine lasciamo felici questo paesino in mezzo alle montagne, non prima di essere andati in bicicletta ad Arco, sulle orme di Rilke e di Segantini, con il rimpianto di non aver potuto vedere i Motus con il loro terzo contest su Antigone. Ma è tempo di festival e altre visioni ci chiamano.
Ciao MArio,
io c’ero a dro.
è vero che tutti gli spettacoli erano esauriti…ma è vero pure che molti spettacoli non hanno avuto il pubblico che hanno avuto imitation of death e grimmless.
ho visto persone andare via durante molti delgi spettacoli che ho visto al festival..non dico quali solo per non essere molesto !
sicuramente non erano quelli di ricci/forte… ho visto persone incollate alla scena come se ci fosse una calamita che li tirava dentro… il coinvolgimento era tanto.
non credo che loro si ripetano… hanno un linguaggio che si va codificando a poco a poco… ma questo non è un male secondo me anzi… per chi segue il loro lavoro è anche un modo di riconoscere certe chiavi che sono lì pronte per aprire stanze di senso e di significato.
il problema è come ci si predispone alla visione… non tutti sono disponibili… mi sembra chiaro.
una persona a volte ha bisogno di immergersi nell’oblio per resistere ai crolli interiori…ècco ricci/forte non te lo consentono… e quello che chiamate esercizio di stile è il vostro unico modo per schermarvi e dimenticare il prima possibile tutto quello che avete sentito o sentite.
buona giornata a tutti.
allah è grande e gheddafi è il suo profeta!